La disperazione di Bondi

Sul Foglio di giovedì Salvatore Merlo ha intervistato il deputato del PdL ed ex ministro Sandro Bondi sulle difficoltà attuali del suo partito.

“Questa storia è finita”. Gli occhi di Sandro Bondi si aprono foschi, con un lampo di rimprovero attraverso la piccola scrivania in mogano che arreda il suo studio al Senato, una stanza senza fasto, dimessa, come l’umore dell’uomo che parla e sorprende chi lo ascolta. “Dietro Berlusconi non c’era niente”, mormora Bondi, la schiena leggermente tonda del sedentario e un sorriso rassegnato, rivolto a Manuela Repetti, sua compagna. Lei, raggomitolata in uno spicchio di divano, ogni tanto ammicca, benedice, lancia polvere di stelle, comunica con il suo Sandro attraverso un codice impalpabile, fatto di elettricità, musa e angelo custode (“da quando la conosco ho riscoperto la libertà, ho preso il primo aereo della mia vita”). Dice la musa: “Solo Berlusconi, riprendendo le redini, adesso può intestarsi un finale diverso per questa storia”. Ma Bondi, cupo: “In questi anni non abbiamo costruito nulla di umanamente e politicamente solido o autentico. Finisce male”. E da queste parole si sprigiona l’avversione per il presente e la nostalgia del passato, per le occasioni perdute, l’idea del declino, lo spettro del tradimento e dell’ingratitudine che per Bondi oggi ha i volti di Angelino Alfano, Maurizio Lupi, Gaetano Quagliariello “e di tutti gli altri che senza Berlusconi non sarebbero stati niente”, dice, “soltanto delle rape. Almeno Fini e Casini avevano il coraggio di affrontare il Dottore nel fulgore dei suoi anni migliori, oggi è facile… Ma si illudono, spariranno anche loro, spariremo tutti”.

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