Il bourbon del tornado
Dopo un incidente, una celebre distilleria del Kentucky ha cominciato a ripensare i modi vecchi di secoli in cui si fa invecchiare e si conserva il liquore
Nell’aprile del 2006 un tornado colpì la città di Frankfort, nello stato del Kentucky, Stati Uniti. Diversi edifici vennero danneggiati, tra cui la Buffalo Trace Distillery, una distilleria molto famosa e premiata della zona: parte del tetto dell’edificio fu distrutto e alcune pareti vennero buttate giù. Dentro c’erano circa 25 mila botti, accatastate una sopra all’altra, che per giorni rimasero esposte alla pioggia, al sole e al vento. Mark Brown, che gestisce la distilleria, disse che quando il tornado passò tirò un sospiro di sollievo: le botti e il whisky che vi era dentro erano state risparmiate. Disse che lo si poteva chiamare il “bourbon salvato dal tornado”, racconta in un lungo articolo l’Atlantic.
Il bourbon è una delle molte varietà di whisky e prende il nome da una contea che si trova proprio nello stato del Kentucky, dove si concentra ancora oggi la maggior parte della produzione nazionale. La miscela di cereali che lo compone è formata fino al 70 per cento da mais e il resto da grano, segale e orzo maltato (i whisky scozzesi, invece, almeno all’origine erano fatti esclusivamente di orzo) ed è chiamata di solito mash: si ottiene tramite fermentazione, attraverso un processo nel quale alla miscela viene aggiunta dell’acqua demineralizzata e un’infusione di lieviti attivi. Terminata la fermentazione si procede alla distillazione. Grazie alla permanenza nelle botti, poi, si passa da un distillato incolore a uno dal colore più o meno intenso, a seconda degli anni di invecchiamento.
Le botti della Buffalo Trace Distillery vennero aperte nel 2011, dopo cinque anni dal tornado: il liquore era rimasto lì dentro, in tutto, per dieci anni. Mark Brown lo assaggiò e pensò che fosse molto buono. La società decise di metterlo in vendita con una nuova etichetta: “Tornado Surviving”. Ebbe un grande successo, soprattutto tra i clienti storici della distilleria, che ne rimasero impressionati. Superiore, per alcuni, a tutti quelli che erano stati prodotti fino a quel momento.
L’episodio fece riflettere molti distillatori della zona, che si chiesero se ci fossero condizioni migliori a quelle comunemente conosciute per l’invecchiamento del bourbon nelle botti. Da secoli le distillerie accatastano le botti vicino alle finestre, credendo che questo aiuti ad ottenere un whisky migliore. Ci si interrogò inoltre su quale fosse la proporzione, nella valutazione del sapore di un ottimo whisky, da assegnare alla condizione e conservazione della botte e ad altri fattori come i tipi di grano usato o il metodo di distillazione. Si può dire che un liquore, e il whisky in particolare, deve la sua qualità soprattutto alle botti in cui è tenuto: quelle in legno di quercia vengono usate da secoli per trasportare il bourbon che, secondo un detto comune, è sempre più buono quando arriva rispetto a quando parte.
Ancora oggi le botti hanno un ruolo fondamentale nella realizzazione di diversi tipi di bevande alcoliche. Le botti in rovere sono tra le più diffuse: per ottenere un risultato migliore vengono tostate all’interno, cioè leggermente riscaldate con una fiamma, mentre altre vengono proprio carbonizzate, annerite. In base alla legge americana, il bourbon, per essere classificato come tale, deve essere tenuto in botti di quercia carbonizzate, che danno molto più sapore. L’alcol, infatti, è un solvente che con il tempo scioglie gradualmente e in parte alcuni degli elementi che compongono il legno.
Quanto successo nel 2006 con il tornado fece decidere ai dirigenti della Buffalo Trace Distillery di investire in alcune specifiche ricerche per capire di quali materiali dovesse essere fatta una botte perfetta. Dopo anni di lavoro sono state costruite 192 diverse botti con diverse composizioni di legno, in cui il bourbon è stato messo a fermentare. Dopodiché la società ha deciso di mettere in vendita, con cadenza di tre mesi l’una dall’altra, le diverse bottiglie del liquore, chiedendo ai degustatori sul proprio sito Internet di darne un giudizio. L’esperimento è ancora in corso, andrà avanti per altri due anni e alla fine la società metterà insieme i dati e i vari giudizi raccolti, con l’obiettivo di fabbricare la migliore botte possibile.
In attesa di capire quale delle bottiglie di bourbon avrà successo, Mark Brown ha avviato un altro progetto sperimentale che si concentra sul processo di invecchiamento. Ha iniziato a costruire un laboratorio – chiamato Warehouse X, “magazzino X” – rivestito in pietra. Alla fine sarà composto da quattro diverse stanze con la facciata rivolta verso sud, ognuna con un tetto apribile. Oltre alla luce, ogni stanza avrà al proprio interno studiati flussi d’aria e apparecchi per regolare la temperatura e l’umidità.
In più ci sarà una quinta sala che invece rimarrà in gran parte scoperta ed esposta quindi alla pioggia e al sole. Quando sarà completata, la Warehouse X potrà contenere fino a cento botti, molte meno di quante contenute nella storica distilleria, per realizzare un’edizione limitata di bourbon che dovrà essere messo poi a invecchiare per circa sei anni: «sarebbe divertente se si scoprisse che alla fine l’unica cosa che bisogna fare è lasciare le botti in mezzo a un campo, abbandonate a se stesse», ha detto Mark Brown.
Foto: Jeff J Mitchell/Getty Images