Chrysler vuole quotarsi in borsa

O meglio: non vorrebbe ma deve, almeno finché Marchionne non trova un accordo con il sindacato statunitense

AUBURN HILLS, MI - APRIL 28: The Chrysler world headquarters is seen April 28, 2009 in Auburn Hills, Michigan. Chrysler has until April 30, 2009 to meet the conditions of a government imposed restructuring plan in order to avoid having to file for bankruptcy. (Photo by Bill Pugliano/Getty Images)
AUBURN HILLS, MI - APRIL 28: The Chrysler world headquarters is seen April 28, 2009 in Auburn Hills, Michigan. Chrysler has until April 30, 2009 to meet the conditions of a government imposed restructuring plan in order to avoid having to file for bankruptcy. (Photo by Bill Pugliano/Getty Images)

La casa automobilistica americana Chrysler, di cui FIAT è azionista di maggioranza, ha fatto domanda per quotarsi in borsa presentando alla US Securities and Exchange Commission (ente che si occupa della vigilanza della borsa statunitense) la documentazione per l’IPO, Offerta Pubblica Iniziale. Il titolo Chrysler non era quotato in borsa dal 1998, anno in cui la società si fuse con Daimler AG. Secondo quanto si legge nella documentazione S1 (Registration statemen) di 393 pagine, «il numero delle azioni da offrire e il range di prezzo non sono stati ancora determinati», ma Chrysler ha indicato che il totale dell’offerta potrebbe essere intorno ai 100 milioni di dollari e che potrebbe essere guidata dalla banca JPMorgan.

Le azioni vendute saranno quelle di Veba, il fondo del sindacato United Auto Workers (UAW), azionista di minoranza di Chrysler che detiene il 41,5 per cento delle quote e che vuole venderne una parte. L’azionista di maggioranza di Chrysler è FIAT, che ha il 58,5 per cento dell’azienda e la gestione. Chrysler ha fatto sapere che i proventi della vendita andrebbero esclusivamente a Veba e che se l’offerta dovesse partire la Chrysler verrebbe convertita da “società a responsabilità  limitata” (Llc) a “corporation”, e verrebbe ribattezzata così Chrysler Group Corporation. Il documento indica come data di consegna attesa dei titoli la fine del 2013.

FIAT vorrebbe però evitare l’IPO di Chrysler. La domanda per quotarsi in Borsa è stata infatti un passo obbligato, dovuto al mancato accordo tra il sindacato e FIAT per la cessione delle quote di Chrysler: Sergio Marchionne, capo di Chrysler e di FIAT, vorrebbe unire le due aziende in un’unica grande società comprando le azioni in una trattativa privata e non sul mercato. Finora però Marchionne non è riuscito a mettersi d’accordo sul valore delle azioni di Chrysler con i sindacati. Nel documento di Chrysler si legge: «FIAT ha espresso il desiderio di acquistare il 100 per cento del nostro capitale o comunque di creare una struttura di capitale unificata rilevando la quota di Veba, una parte della quale è oggetto di questa operazione. Il suo completamento impedirà o ritarderà questo obiettivo di FIAT e la stessa FIAT ha dichiarato che una Chrysler quotata impedirà o ritarderà il conseguimento dei benefici dell’alleanza». Si precisa anche che «Se FIAT non volesse lavorare con noi al di là degli attuali obblighi contrattuali esistenti, potrebbero esserci effetti avversi sulle nostre prospettive e sulle condizioni finanziarie».

Il Wall Street Journal fa notare che Marchionne si trova così in una situazione piuttosto scomoda e imbarazzante: da una parte, in qualità di capo di Chrysler, dopo la domanda per quotarsi in borsa dovrà incontrare investitori e convincerli ad acquistare eventualmente le azioni al prezzo più alto possibile; dall’altra, in qualità di capo di FIAT, è in trattativa con i sindacati per comprare le quote in mano al sindacato alla cifra più bassa possibile.

Marchionne è a capo di Chrysler dal 2009, quando l’azienda era in grande difficoltà e secondo molti era diventata troppo piccola per competere globalmente. Il governo statunitense fu promotore di un accordo che evitò il fallimento di Chrysler e diede a FIAT il 20 per cento dell’azienda e il controllo operativo. Da allora Chrysler è ritornata a produrre utili, ha ripagato in anticipo i prestiti erogati dal governo e ha visto la quota di FIAT al proprio interno salire fino all’attuale 58,5%.