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  • Venerdì 12 luglio 2013

È lui lo “strangolatore di Boston”?

Le indagini su uno dei serial killer americani più famosi, che ha ispirato film, romanzi e canzoni dei Rolling Stones, sono arrivate a una svolta dopo 50 anni

Tra il giugno del 1962 e il gennaio 1964 undici donne tra i 19 e gli 85 anni furono uccise nelle loro case, a Boston e nell’area circostante, in uno dei casi di omicidi seriali più famosi degli Stati Uniti: quello dello “strangolatore di Boston”. Nessuno venne mai incriminato per gli omicidi ma giovedì 11 luglio – a quasi cinquant’anni di distanza dall’ultimo omicidio – il caso è arrivato a una svolta. Un campione di DNA trovato sul luogo di uno dei delitti è stato collegato all’uomo che confessò di essere il colpevole ma non venne mai processato per la vicenda, morto molti anni fa in carcere mentre era detenuto per altre accuse.

Un procuratore della contea del Suffolk – dove si trova Boston – ha annunciato che alcuni investigatori del dipartimento di polizia della città hanno concluso di recente l’esame di un campione di DNA trovato nella casa di Mary Sullivan, ritenuta l’ultima persona uccisa dall’assassino, nel gennaio 1964.

Ne è risultata un’identificazione “quasi certa” con il DNA di Albert DeSalvo, l’uomo che confessò tutti gli undici omicidi solitamente collegati allo strangolatore (più altri due) ma che non fu mai processato per quei crimini. Per circa cinquant’anni si sono cercate prove definitive che confermassero la confessione di DeSalvo, senza risultato, e su di essa ci sono state infinite discussioni e molto scetticismo. L’ultima svolta è comunque riferita solo all’ultimo omicidio in ordine temporale e gli stessi investigatori di Boston hanno ammesso che gli altri casi rimangono senza un colpevole ufficiale.

Lo strangolatore di Boston
Il primo omicidio avvenne il 13 giugno 1962. Una donna di 55 anni, Anna Slesers, sarta di origini lettoni, venne trovata dal figlio uccisa nel suo appartamento, dove viveva sola dopo il suo divorzio. Era stata strangolata con la corda della sua vestaglia, l’unico indumento che indossava al momento della morte. La notizia venne data in tre righe in fondo alla pagina del Boston Globe del giorno successivo.

Se l’omicidio di Anna Slesers passò inizialmente quasi inosservato, il 30 giugno altre due donne (Nina Nichols di 68 anni e Helen Blake di 65) vennero trovate uccise nell’area di Boston, in entrambi i casi strangolate con un paio di calze di nylon. Ai primi di luglio, la stampa di Boston stava già parlando di un assassino seriale a Boston. Ci furono altri omicidi ad agosto di quell’anno, poi a dicembre e nel corso del 1963, mentre la polizia consigliava alle donne sole di chiudere bene porte e finestre e di fare attenzione agli sconosciuti che si presentavano a casa.

Quasi tutte le vittime vennero strangolate con oggetti in loro possesso, come calze di nylon o un reggiseno. Molte erano state violentate. La più anziana aveva 85 anni al momento della morte. Una delle donne uccise era nera e le altre tutte bianche, cosa che provocò una certa confusione agli investigatori che cercavano di mettere ordine nel caso. La più giovane fu anche l’ultima: Mary Sullivan, uccisa il 4 gennaio 1964 nel suo appartamento, tre giorni prima del suo ventesimo compleanno.

Il caso dello strangolatore di Boston lasciò una profonda impressione nell’opinione pubblica della città e molti resoconti della stampa, negli anni successivi, gli attribuirono un ruolo importante in diversi cambiamenti di grande rilievo nella città, tra cui anche lo spostamento delle famiglie benestanti nelle aree periferiche ritenute più sicure.

La vicenda ispirò numerosi romanzi e film – il primo nel 1968, The Boston Strangler, con Tony Curtis e Henry Fonda – e i Rolling Stones ci fecero riferimento in una loro canzone del 1969, “Midnight Rambler”. Sono stati pubblicati anche parecchi libri, fino a pochi anni fa, da parte di esperti e appassionati del caso che hanno esposto le proprie teorie sull’identità dell’assassino e hanno valutato la confessione di DeSalvo, solitamente senza accettarla come veritiera e indicando piuttosto altre persone.

A partire dal 1963 diverse persone vennero di volta in volta indicate come sospette per gli omicidi dalla polizia e dalla stampa – solitamente persone arrestate per omicidi simili a Boston o altrove – mentre rimase sempre il dubbio che i colpevoli fossero più di uno. A un certo punto la polizia pensò che il colpevole dovesse essere un omosessuale – in quanto “sessualmente deviato” – e fece una serie di retate in locali gay della città.

Nel 1965 il 32enne Albert DeSalvo, che aveva una lunga serie di precedenti per rapina e reati minorili, fu arrestato per una serie di stupri. Mentre si trovava sotto processo, DeSalvo disse di essere lo strangolatore di Boston. La polizia fece alcuni controlli, trovò diverse cose che non tornavano e concluse che nel periodo degli omicidi l’uomo si trovava in carcere. Lo stesso DeSalvo più tardi ritrattò la sua confessione, mentre il processo per gli stupri e una breve evasione nel febbraio del 1967 causarono la sua condanna all’ergastolo. DeSalvo fu ucciso nel sonno mentre era detenuto nella prigione di Walpole, nel novembre 1973.

Nel frattempo le indagini sul caso non si arrestarono mai del tutto. Venticinque anni dopo la morte di DeSalvo un investigatore del laboratorio della polizia di Boston, Don Hayes, trovò un lenzuolo non ancora esaminato tra il materiale raccolto nell’appartamento di Mary Sullivan nel 1964. I tentativi di Hayes di recuperare DNA utilizzabile per le analisi si rivelarono inutili, ma i campioni furono conservati sperando in un futuro miglioramento della tecnologia.

Nell’autunno dello scorso anno quei campioni furono inviati a due laboratori privati per un nuovo tentativo e si riuscì a identificare il DNA di un uomo. Il problema diventava quindi capire chi fosse quell’uomo. DeSalvo, il principale sospettato, non c’era più, ma c’erano i suoi discendenti: il New York Times scrive che gli investigatori di Boston hanno seguito un nipote di DeSalvo e hanno recuperato una bottiglia d’acqua che aveva usato e buttato via. L’esame del materiale genetico recuperato dalla bottiglia ha permesso di dire che quasi certamente il DNA sul lenzuolo e sul corpo di Sullivan apparteneva a DeSalvo. Un giudice di Boston ha già permesso la riesumazione dei resti di Albert DeSalvo per un confronto definitivo e il procedimento potrebbe concludersi già la prossima settimana.

Foto: Albert DeSalvo nel 1967. (AP Photo)