Cambiare un pezzettino di mondo

Ognuno il suo, suggerisce Mauro Covacich raccontando Barbara De Anna

Mauro Covacich racconta oggi sul Corriere della Sera la storia di Barbara De Anna, la funzionaria italiana dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) morta a 40 anni dopo essere stata gravemente ferita in un attacco dei talebani a Kabul, capitale dell’Afghanistan.

Parlare di Barbara De Anna richiede che si parli del mondo, il globo terracqueo nel quale ognuno di noi è stato gettato come abitante con speciali funzioni di amministratore responsabile. In realtà queste funzioni ci mettono quasi sempre in difficoltà: qualsiasi prospettiva di miglioramento ci appare utopistica, il nostro contributo personale ci sembra troppo poco rilevante per decidere anche solo di prenderlo in considerazione, inoltre l’ingenuità di un intervento diretto per cambiare il mondo ci conduce presto a un dibattito teorico che ha i connotati inestricabili di un dilemma.

Da un canto, c’è il nostro relativismo culturale, che comporta non soltanto l’autodeterminazione dei popoli, ma anche il rispetto delle regole di convivenza autoctone, ovvero dei costumi radicati nella tradizione di ogni singolo Paese. Già, ma allora devo accettare anche l’acido gettato in faccia alle donne pachistane, il rito dell’infibulazione in Somalia, lo sfruttamento dei lavoratori in Cina? Devo accettare i massacri di civili in Siria, gli idranti con sostanze urticanti sparati contro i dimostranti di piazza Taksim? D’altro canto, c’è la nostra vocazione universalistica, quella ispirata da coloro che nel 1948, dopo la seconda guerra mondiale e la Shoah, si sono messi a scrivere «La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo».

Si tratta della nostra vocazione a considerare meritevoli di difesa tutti gli essere umani i cui diritti più elementari (di vita, libertà, parola, pensiero, cittadinanza, eccetera) siano oltraggiati, questo a prescindere dalle ragioni politiche, morali o religiose accampate per giustificare l’oltraggio. Già, ma allora i caschi blu dell’Onu dovrebbero imperversare ovunque? Il che, tra l’altro, sarebbe già un’ipotesi ottimistica, visto e considerato che le cosiddette missioni di pace vengono condotte dalle forze della Nato, con l’inevitabile scia di sospetti neocolonialisti a gravare sulle superpotenze occidentali.

Allora che fare? Ebbene, esiste un’esigua categoria di persone che sa sfuggire allo stallo provocato da questo dilemma e lo fa lavorando ogni giorno con le proprie mani e il proprio cervello per modificare un pezzettino di mondo. Barbara De Anna apparteneva a questa categoria.

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Foto: SHAH MARAI/AFP/Getty Images