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  • Giovedì 6 giugno 2013

Sofia si veste sempre di nero

Il primo capitolo del libro di Paolo Cognetti, tra i 12 finalisti del Premio Strega per minimum fax: dieci racconti autonomi sui trent'anni di vita di una donna speciale

di Carlotta Caroli - Caffeina

Dicono che gli uomini non capiscano le donne; dicono che le conoscano poco. Che ci siano pieghe dell’universo femminile che l’uomo non scoprirà mai. Falso. Paolo Cognetti, milanese, classe 1978, autore di documentari e scrittore di Sofia si veste sempre di nero – pubblicato da minimum Fax – l’universo femminile lo conosce eccome. In modo dettagliato, profondo, intenso, sorprendente. Il suo romanzo è una raccolta di dieci racconti autonomi che illustra trenta anni di vita di una donna speciale. Dall’infanzia passata in una famiglia borghese, all’adolescenza turbolenta fatta, tra le altre cose, di disturbi psicologici; dalla scoperta del sesso alla passione per il teatro; dalla trasformazione in adulto al bilancio di una vita. Un ritratto femminile indimenticabile: una donna inquieta, capace di sopravvivere alle proprie nevrosi e di sfruttare improvvisi attimi di illuminazione fino a trovare, faticosamente, la propria strada.

“Sofia si veste sempre di nero” è tra i dodici finalisti del Premio Strega e, in occasione della rinnovata collaborazione con il Festival Caffeina Cultura, pubblichiamo il primo capitolo di questo libro avvincente, in cui ciascuno può trovare momenti di bellezza e di dolore, di ansia e di riscatto, di vita vissuta sulla propria pelle.

***

Prima luce

Una notte l’infermiera si affacciò alla finestra del reparto e vide il furgone di lui fuori dall’ospedale. Gli abbaglianti lampeggiarono tre volte, poi si accesero di nuovo quando lei alzò il braccio per salutare. Chiese il cambio alla sua collega e scese per le scale di servizio fino all’ingresso fornitori, e lì, sotto una pioggia autunnale, l’uomo abbassò il finestrino e le disse di avere preso delle decisioni. L’infermiera lo squadrò, incerta se credergli o meno. Controllò che nessuno li vedesse e lo fece salire al primo piano, dove trovò una stanza vuota in cui potevano parlare in pace.
Nei baffi di lui c’era un sapore di vino sotto a quello solito di fumo. In camera la abbracciò e la spinse verso il letto, ma aveva modi che a lei non piacevano e fu respinto. Fece l’offeso. Aprì la finestra, accese una sigaretta e guardò fuori. Dopo un minuto disse: «Se piove ancora per un po’, qui ci spuntano le pinne come ai pesci».
«Allora?», chiese l’infermiera. «Mi spieghi cosa sei venuto a fare?»
L’uomo non rispose subito, guardò la pioggia e fece un altro paio di boccate. Poi disse che a casa quella notte non ci tornava. Era uscito sbattendo la porta e aveva gridato alla moglie di scordarsi di lui. Non disse che dopo era stato al bar, ma si capiva. Erano le due meno un quarto. Si passò una mano nei capelli umidi e l’infermiera immaginò che avesse tirato tardi bevendo, parlando di donne con gli altri uomini al banco e facendo la corte alla cameriera, e che per questo alla fine fosse venuto a cercarla. Lui disse: «Se non mi vuoi neanche tu dormo in furgone, per me è uguale». Quando riprovò ad abbracciarla lei lo lasciò fare, chiuse gli occhi e si sforzò di non pensare al cumulo dei suoi imbrogli e delle sue bugie.
cognetti_sofia_altaPiù tardi quella notte fu chiamata per un parto d’urgenza. Una ragazza di ventidue anni, incinta al settimo mese. Partorì una femmina minuscola e cianotica insieme a un bel po’ di sangue. L’ostetrica le diede qualche pacca sulla schiena per farla piangere e respirare, ma la bambina non respirava né piangeva e dovette essere rianimata. Al medico qualcosa non quadrava di quel parto prematuro: venne fuori che, senza dire niente a nessuno, la madre aveva preso dei farmaci per l’ulcera vietati in gravidanza, ma adesso era troppo sconvolta per dare spiegazioni. Aveva avuto una forte emorragia. Nel letto urlava e malediceva se stessa. La sedarono, le misero una flebo al braccio e lasciarono che si addormentasse, rimandando le indagini a più tardi.
Sull’incubatrice della bambina c’era un cartello con un nome: Sofia Muratore. Il padre veniva a vederla parecchie volte al giorno. Esausto, smarrito, faceva avanti e indietro dalla moglie alla figlia chiedendosi quale delle due fosse colpevole del male dell’altra. Non potendo toccare la bambina la osservava a lungo attraverso il vetro, incerto se affezionarsi a lei e se trovarla bellissima o mostruosa, come succede con i neonati e gli anfibi tropicali.
L’infermiera cominciò a parlare con Sofia di notte, quando nessuno la vedeva. Si sedeva accanto all’incubatrice e raccontava. Era come parlare alle piante del suo balcone: magari non serviva a un bel niente, ma a lei faceva bene e alla bambina non poteva far male. Una notte dopo l’altra raccontò a Sofia tutto quanto: della cascina in cui era cresciuta, della vita che aveva fatto fino ai trent’anni, del prete che l’aveva convinta a trovarsi una vocazione, delle suore crudeli della scuola da infermiera, del giorno in cui era venuta a stare in città e vedendo l’appartamento aveva pianto. Era stato necessario imparare a essere dura. Proprio come con il sangue, il vomito, le feci, le piaghe infette, quello che ti toccava vedere quando un corpo si apriva, quand’era invaso dalla malattia o mutilato da un incidente, e non potevi distogliere lo sguardo. Le disse tutte queste cose con le parole più semplici che conosceva.
Una notte, mentre parlava con Sofia, sentì il suono di un clacson, si affacciò alla finestra e vide il furgone dell’uomo nel parcheggio. I fari lampeggiarono ma lei non si mosse. Restò lì in piedi per essere sicura che il messaggio fosse chiaro. Lui scese dal furgone, guardò in su verso la finestra, fumò un’intera sigaretta, poi gettò il mozzicone e lo schiacciò sotto la scarpa come se il mozzicone fosse lei, rimontò sul furgone, fece manovra e se ne andò.
«Sofia», disse l’infermiera a voce alta, «lo sai che cos’è la nascita? È una nave che parte per la guerra».
Quella mattina il pediatra dichiarò la bambina fuori pericolo, e finalmente la portarono dalla sua vera madre.

© Paolo Cognetti, 2012 – minimum fax, 2012 – Tutti i diritti riservati