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  • Giovedì 23 agosto 2012

Quel pomeriggio di un giorno da cani

Come andò la rapina che ispirò il film di Sidney Lumet, 43 anni fa

Il 22 agosto 1972 era un martedì e a New York faceva molto caldo. Intorno alle 3 del pomeriggio, la filiale di Brooklyn della Chase Manhattan Bank stava chiudendo, e una guardia giurata in uniforme ma senza pistola stava iniziando a chiudere le porte, mentre dentro la banca rimanevano gli ultimi clienti e due ragazzi, il reduce del Vietnam John Wojtowicz di 27 anni e Salvatore “Sal” Naturale, di 18. I due si presentarono allo sportello con l’intenzione di rapinare la banca e Naturale puntò la pistola contro il direttore: iniziò così uno dei fatti di cronaca nera più celebri della storia recente americana, anche grazie a un famoso film di Sidney Lumet del 1975, Quel pomeriggio di un giorno da cani, interpretato da Al Pacino, John Cazale e Chris Sarandon.

Il piano dei rapinatori era prendere il denaro e scappare il più in fretta possibile, chiudendo dentro l’edificio i dipendenti. Ma la polizia arrivò in molto meno tempo del previsto, a causa di una telefonata di routine fatta da un dirigente di un’altra filiale della Chase a Manhattan: quando il direttore della filiale di Brooklyn rispose, riuscì a far capire al suo interlocutore, senza dirglielo direttamente, che qualcosa stava andando storto. Intorno alla filiale arrivarono in pochi minuti centinaia di persone, tra poliziotti, agenti dell’FBI, giornalisti e curiosi.

Wojtowicz uscì diverse volte sulla porta della filiale, mentre il suo complice rimaneva all’interno a tenere sotto tiro il direttore della filiale e i pochi altri impiegati della banca, per la maggior parte donne: quello che disse – «Ce ne stavamo andando, quando è arrivata una stupida macchina della polizia» – venne ripreso a distanza e trasmesso in diretta dalle radio e dalle televisioni.

Una delle immagini più celebri dell’evento ritrae Wojtowicz sulla soglia, con una maglietta a V e il braccio che indica lontano: si può vedere nella bella galleria fotografica pubblicata ieri dal New York Times, in occasione del quarantesimo anniversario della rapina. In un caso, quando arrivò un fattorino per consegnare delle pizze ai rapinatori e agli ostaggi, Wojtowicz pagò gettando circa 2000 dollari fuori dalla porta della banca: alcuni poliziotti andarono a raccogliere le banconote sparse sul marciapiede.

Una delle richieste di Wojtowicz per rilasciare un ostaggio fu quella di vedere il suo amante, Ernest Aron, che venne portato sul posto con indosso un camice del Kings County Hospital, dove era stato ricoverato a causa di un tentato suicidio.

All’interno, dopo che l’FBI sembrò acconsentire alla richiesta di fornire un aereo ai rapinatori per andarsene, fu permesso agli ostaggi di ascoltare per radio la partita di baseball dei Mets contro gli Houston Astros: successivamente gli ostaggi dissero che i rapinatori li avevano trattati bene e presero le loro difese, uno dei casi della “sindrome di Stoccolma” che prese però il nome da un’altra rapina accaduta quasi esattamente un anno dopo.

Durante il trasferimento su una limousine verso l’aeroporto JFK di New York dei due rapinatori e di sette ostaggi, accompagnati da una ventina di auto delle forze dell’ordine, l’FBI riuscì ad arrestare Wojtowicz e uccise Naturale. Il convoglio di auto partì dalla filiale alle 4 del mattino del 23 agosto. Quando fu ucciso, Naturale si trovava insieme a un ostaggio (una donna di 48 anni, Dolores Goettisheim) nell’ultima fila della limousine con 14 posti: quando la macchina si fermò vicino a una pista dell’aeroporto, l’agente dell’FBI alla guida si voltò e gli sparò, colpendolo al petto. La limousine venne immediatamente circondata dagli agenti di polizia e gli ostaggi vennero liberati.

Wojtowicz venne condannato nell’aprile 1973 a venti anni di carcere e ne scontò sette prima di essere liberato. Quello che rese veramente famoso l’episodio fu in realtà un articolo comparso sulla celebre rivista LIFE, firmato dal giornalista e scrittore Paul Frederick Kluge insieme con Thomas Moore e intitolato I ragazzi nella banca (The Boys in the Bank). Da quell’articolo (disponibile qui) presero ispirazione Lumet e lo sceneggiatore Frank Pierson per il film.

La lettera di Wojtowicz
Nel dicembre del 1975, mentre si trovava rinchiuso nel carcere federale di massima sicurezza di Lewisburg, Pennsylvania, Wojtowicz scrisse una lunga lettera al New York Times in cui si lamentava di diverse cose a proposito del film. Per prima cosa, l’uomo diceva che era stato fatto un accordo con la produzione del film per avere una percentuale degli incassi e dei ricavi netti, ma quella parte non gli era stata pagata. Wojtowicz passava poi a commentare il modo in cui le cose erano raccontate nel film, aggiungendo dettagli molto personali per spiegare meglio quelle che reputava come le sue mancanze (le maiuscole sono nell’originale).

La ragione principale per cui ho fatto quello che ho fatto il 22 e 23 agosto 1972 non è mai spiegata nel film, e voi spettatori siete invece lasciati con molte domande. Ho fatto quello che un uomo deve fare per salvare la vita di qualcuno che amavo parecchio. Il suo nome era Ernest Aron (ora noto come signora Liz Debbie Eden) ed era Gay. Voleva diventare una donna attraverso il procedimento del cambio di sesso e per questo era stato definito dai medici come sofferente di un Problema di Identità di Genere. Sentiva di essere una donna intrappolata nel corpo di un uomo. Questo gli causava indicibile dolore e problemi che gli causarono molti tentativi di suicidio.

Wojtowicz proseguiva raccontando la storia della sua relazione con Aron, che aveva conosciuto nel 1971, e accusava l’FBI di avere ucciso il suo complice anche se era già stato immobilizzato e non poteva nuocere, cosa che non veniva rappresentata adeguatamente nel film, «come succede in molte altre scene». «Considero che il film sia vero solo al 30 per cento», scriveva subito dopo, aggiungendo diversi altri dettagli inesatti o inventati. La cosa che Wojtowicz trovava più falsa era “il sospetto” avanzato nel film che lui avesse stretto un qualche tipo di accordo con l’FBI per tradire il suo compagno Sal in modo da potersela cavare.

Wojtowicz scriveva di avere comunque apprezzato molto il film e gli attori, con l’eccezione di quella che interpretava sua moglie Carmen: al contrario del personaggio, «nella vita reale mia moglie è meravigliosa e una moglie amorevole». La lettera si sofferma molto sugli attori del film, il più apprezzato dei quali è sicuramente Al Pacino, che secondo Wojtowicz meritava l’Oscar (insieme a Sarandon) per la sua interpretazione. Entrambi ricevettero una nomination ma non vinsero il premio, che andò invece al film per la sceneggiatura.

Nonostante le proteste sull’inadeguato guadagno economico dal film, che si protrassero per molti anni, Wojtowicz ottenne circa 7.500 dollari dai diritti del film. Ne dette circa 2.500 al suo amante Aron, che si pagò l’operazione per il cambio di sesso diventando Liz Eden. Eden morì a 41 anni nel 1987, mentre Wojtowicz, dopo aver vissuto a lungo con il sostegno della previdenza sociale a Brooklyn, morì nel 2006. Nei primi anni Duemila, con la sua collaborazione, vennero fatti due documentari sulla rapina a cui aveva partecipato.

Il titolo
Infine, il titolo dà l’opportunità di fare un’osservazione linguistica sull’origine dell’espressione “giorno da cani”. Il titolo inglese è Dog Day Afternoon e in italiano Quel pomeriggio di un giorno da cani, anche se si potrebbe tradurre anche con un meno cinematografico “Quel pomeriggio di un giorno di canicola”. In inglese, “dog days” si riferisce originariamente ai giorni più caldi dell’anno, quelli che in italiano si chiamano “giorni di canicola”. La parola italiana “canicola” viene dai diēs caniculārēs degli antichi romani, che duravano dal 23-24 luglio al 23-24 agosto, iniziando con il giorno in cui Sirio iniziava a sorgere insieme al Sole. Sirio è la stella più luminosa del cielo e fa parte della costellazione del Cane Maggiore, da cui il nome, e i “giorni del cane” erano considerati giorni di cattiva sorte per il caldo torrido mandato in terra da Sirio, nella mitologia greca e latina il cane del cacciatore Orione.

Tutti i film di Sidney Lumet

foto: AP Photo/Dave Pickoff