• Italia
  • Mercoledì 20 giugno 2012

I ritardi della nuova metro di Roma

Si chiama B1, è stata inaugurata la settimana scorsa e da allora ci sono polemiche e proteste per i suoi malfunzionamenti, con accuse ai macchinisti

nella foto, la fermata della linea B "Rebibbia" (ALBERTO PIZZOLI/AFP/Getty Images)
nella foto, la fermata della linea B "Rebibbia" (ALBERTO PIZZOLI/AFP/Getty Images)

Da qualche giorno a Roma è stata aperta la linea metropolitana B1, ossia un prolungamento della linea B (la più vecchia della città) che parte dalla stazione di Piazza Bologna e attraversa principalmente la zona nord-est di Roma e il cosiddetto quartiere africano (si chiama così dai nomi delle singole vie che si rifanno tutti a luoghi africani). I lavori erano cominciati nel 2005 e a oggi, nonostante l’inaugurazione, c’è ancora un tratto della linea non attivo, ovvero quello tra le fermate di Conca d’Oro e Jonio che dovrebbe essere pronto entro luglio 2013.

Prima dell’apertura della B1, in molti avevano temuto gravi disagi sulla linea, almeno nei primi giorni. La linea B della metropolitana di Roma, infatti, è oggettivamente più lenta della linea A (a volte, anche negli orari di punta, passano anche 8-9 minuti tra un treno e l’altro) e dunque l’aggiunta di un ramo supplementare da piazza Bologna era sembrata una decisione sicuramente utile, ma che avrebbe potuto provocare disagi e contrattempi ai passeggeri della linea B e della stessa B1.

Questo è successo mercoledì scorso, quando è stata aperta la linea B1, nonché nei giorni successivi. I passeggeri della linea B1 hanno dovuto aspettare anche 40 minuti per un treno che, il più delle volte, era inaccessibile perché stracolmo. Questi problemi hanno causato molte polemiche a Roma e all’interno dell’amministrazione comunale. Il sindaco della città, Gianni Alemanno, ha accusato i macchinisti dei treni della metropolitana di rallentare volutamente il servizio della B1 in quanto in lotta con l’ATAC (l’azienda per il trasporto pubblico a Roma) e il Comune sui turni e il sistema degli straordinari (come vedremo tra poco più in dettaglio) e di attuare così “scioperi selvaggi”. Alemanno ha chiesto la precettazione dei macchinisti apparentemente ribelli, che però non è arrivata.

I macchinisti dicono di non aver fatto “scioperi selvaggi”, ma di aver esercitato solo i propri diritti. Come ha spiegato Ernesto Menicucci sul Corriere della Sera,

il sistema è un po’ complesso. Ogni macchinista deve lavorare 160 ore mensili, ma – con turni di 6 ore e 10 minuti – scatta anche il cosidetto «turno a recupero» da circa otto ore. Se un macchinista è (o si dà) malato, altri colleghi si dividono le sue otto ore «di recupero». Questa copertura non rientra negli straordinari, ma è pagata con una maggiorazione. E, alla fine, chi fa i «turni a straordinario» ci guadagna in busta paga.

Ora, però, i sindacati sono in subbuglio: le trattative per il rinnovo degli accordi sono in corso, i sindacati hanno proposto che il «turno a recupero» divenga di dieci ore (significa più ore a retribuzione maggiorata, in caso di copertura per qualcuno che è in malattia), ma l’azienda ha rifiutato. Inoltre, con l’assunzione di quaranta macchinisti, la necessità di «turni a recupero» si è ridotta.

La metro B e B1, così, rischia di trasformarsi in una sorta di red carpet della protesta: gli scioperi, su una linea appena inaugurata, fanno più notizia. Secondo le sigle sindacali il problema è un altro: «Nessuno sciopero selvaggio, è una lotta spontanea dei macchinisti che attuano le misure di sicurezza: escludono i treni che non rispondono ai requisiti e rifiutano gli straordinari», dice Walter Sforzini dell’USB (Unione Sindacale di Base). Maurizio Marozzi, FIT-CISL, aggiunge: «Con l’azienda c’è un confronto aperto, non solo sulla metro: ci sono questioni sindacali aperte, rinnovi di contratti. E quando si apre una linea in fretta e furia qualche disguido è normale che ci siano delle difficoltà».

Se alcuni di loro si definiscono “capri espiatori” dei disservizi strutturali della linea metro di Roma, per Claudio Marincola del Messaggero, invece, i macchinisti, che “guadagnano una media di 2.300 euro al mese che possono però facilmente diventare 3 mila e in alcuni casi ronzare intorno ai 4 mila”, non starebbero solo escludendo “i treni che non rispondono ai requisiti” ma starebbero approfittando della situazione per creare appositamente disagi:

Sono 452, di cui 9 donne, quelli che stanno rallentando in questi giorni i romani. Guadagnano una media di 2.300 euro al mese che possono però facilmente diventare 3 mila e in alcuni casi ronzare intorno ai 4 mila. Se vogliono tirano la leva e scendono dalla locomotiva per un nonnulla: un estintore troppo carico, una cabina maleodorante, un bulloncino allentato, un vetro opaco.

La sicurezza innanzitutto, certo. Ma ogni cavillo va bene per rifiutarsi di effettuare i turni straordinari e mettere in crisi il sistema underground della capitale. Che già viaggia, rispetto ad altre città europee, con mezzo secolo di ritardo. Il contratto da macchinista prevede l’effettuazione di 160 ore al mese. Ogni giornata lavorativa dura 6 ore e 10 minuti ma un turno di «conduzione» raramente supera le 3 ore. Il resto dell’orario si completa grazie alla mezz’ora iniziale di «accudienza» e al rimanente tempo in cui si resta a disposizione per movimentare i treni o per le emergenze. Inoltre, grazie a un accordo firmato nel 2006 con l’allora capo del personale Vincenzo Tosques indagato per abuso d’ufficio nell’inchiesta sulla Parentopoli ATAC nel monte ore rientra il cosiddetto turnone: una mega-giornata compensativa di 8 ore e 17 minuti. É turno straordinario ma non è straordinario.

Il segreto è tutto qui. Un piccolo grande privilegio sottoscritto nel 2006 quando ancora la crisi delle municipalizzate romane non aveva toccato il fondo. Nell’ultimo incontro tra sindacati e azienda i macchinisti hanno proposto di estendere quell’accordo anche alla linea B e portare così il turnone a 10 ore e 17 minuti. Ma come, non s’era detto che i turni così come erano già troppo pesanti? È la prima contraddizione. La seconda è che un macchinista su 3, secondo quanto risulta all’azienda, quando capita il turnone si dà malato oppure utilizza la legge 104 che disciplina i permessi per assistere i parenti invalidi. In questo caso il turno straordinario si spalma in una sorta di mutuo soccorso.

E lo stipendio lievita. «Dietro i disagi della linea B si nasconde in realtà una lotta portata avanti dai vecchi macchinisti per continuare a effettuare straordinari dopo l’assunzione di 40 nuove unità», ammise un ex sindacalista nei primi giorni della protesta.

Secondo Massimiliano Valeriani, consigliere comunale del PD, invece, la colpa dei disagi sulle linee B e B1 sarebbe dovuta alla scarsità dei treni in servizio sulla linea, 20 invece dei teorici 27 che garantirebbero una frequenza di 4-5 minuti sulla linea B e di 8-10 minuti sulla B1. Ieri, tuttavia, macchinisti, sindacati e ATAC hanno raggiunto “una tregua” in attesa di nuove trattative e accordi nei prossimi giorni. Questa mattina le linee metro B e B1 avevano pochissimi ritardi.

nella foto, la fermata della linea B “Rebibbia” (ALBERTO PIZZOLI/AFP/Getty Images)