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  • Giovedì 24 novembre 2011

L’onorevole Biancofiore e l’apostrofo

La deputata del PdL ha litigato con Gian Antonio Stella sulla propria conoscenza dell'italiano, dando una curiosa giustificazione informatica

In un articolo apparso ieri sul Corriere della Sera, il giornalista Gian Antonio Stella aveva criticato duramente la deputata del Popolo della Libertà Michaela Biancofiore, 40 anni, per i suoi errori nell’uso della lingua italiana. Biancofiore è nata a Bolzano e ha iniziato la sua carriera politica in Alto Adige, ma dal 2006 è alla Camera dei Deputati e si è spesso presentata come difensore della “italianità dell’Alto Adige”, come scrive Stella.

Il giornalista le rimprovera diverse scorrettezze che, scrive, sarebbero inaccettabili per un alunno di seconda elementare, in particolare nell’uso degli accenti: la Biancofiore avrebbe scritto (Stella non precisa dove) “dò”, “stà”, “pò”. Stella criticava poi la sua coerenza a proposito di questioni altoatesine. La deputata è contraria alla rimozione di un altorilievo di Mussolini a cavallo nel Palazzo degli Uffici finanziari di Bolzano, ma non avrebbe reagito con altrettanta fermezza quando, nell’autunno del 2010, Berlusconi si accordò con il leader del SVP per la rimozione dell’altorilievo in cambio di un voto favorevole all’allora ministro Sandro Bondi.

Oggi Michaela Biancofiore ha risposto con una lettera al direttore del Corriere della Sera, dicendo di voler rispondere “soprattutto per mia madre, che è stata insegnante e ha seguito il mio percorso scolastico, oggi gravemente malata e che non ha bisogno di altri dispiaceri, per la memoria di mio padre e per i professori che hanno contribuito alla mia formazione”. Si lancia poi nell’unica questione che merita una spiegazione, secondo Biancofiore, nell’articolo di Stella (definito “pezzo patchwork”): la questione degli accenti. La spiegazione, in realtà, non è proprio cristallina.

Ho scritto un po’ con l’accento sulla o, è vero, non come lo vedete ora, perché chiunque usi un computer sa che si trovano le lettere già accentate e che per mettere l’accento di lato devi fare tre mosse con la mano molto poco pratiche quando si scrive in velocità. E così è valso per altri casi. Sarei stata ignorante se avessi scritto «un apostrofo po’» non come era evidente a chiunque non fosse animato da pregiudizi faziosi, l’aver messo accenti certamente fuori posto ma dettati dalla comodità delle nuove tecnologie. Chiunque possieda un iPad può provare in questo istante a scrivere «ne» con l’accento e si troverà un «ne apostrofato». Il resto sono refusi di stampa dovuti ai programmi dei computer che tutti coloro che li usano regolarmente sanno che correggono automaticamente gli scritti facendoti incappare in facili errori.

Le tastiere italiane non comportano alcun movimento particolare delle mani o delle dita per inserire l’apostrofo, che Biancofiore chiama “l’accento di lato”: il tasto per inserire l’apostrofo è anzi spesso vicinissimo a quelli con le lettere accentate, e non serve nemmeno premere il tasto shift, quello per inserire le maiuscole.

foto: LaPresse