Le nuvole dopo il Big Bang

Ne sono state scoperte due gigantesche e incontaminate, "fossili" della prima grande esplosione che ci aiuteranno a capire come tutto è cominciato

di Massimo Sandal - University of Cambridge

Ci sono diciassette minuti cruciali nella storia dell’Universo. Tre minuti dopo il Big Bang, 13,7 miliardi di anni fa, la temperatura dell’universo nascente si raffreddò fino a permettere la nascita dei primi nuclei atomici – le combinazioni di neutroni e protoni che sono al cuore di tutti gli atomi – e a rimescolarli, tramite fusione nucleare. Venti minuti dopo, l’universo in rapidissima espansione era ormai troppo freddo: il Big Bang aveva smesso per sempre di produrre nuclei atomici.

Quei nuclei erano i semi dei primi atomi. Il Big Bang non fu molto fantasioso: la grande maggioranza furono nuclei di idrogeno e deuterio (un isotopo dell’idrogeno), con un 8 per cento di atomi di elio e una minuscola manciata di atomi di litio. Tutto qui. Idrogeno, elio, litio: i primi tre elementi, sui 92 che conosciamo in natura.

Tutti gli altri 89 elementi – il carbonio dei nostri corpi, l’ossigeno nella nostra aria e nella nostra acqua, il silicio e il ferro nel nostro pianeta, il cloro e il sodio nel sale dei nostri mari, l’oro delle nostre monete, eccetera- sarebbero stati creati solo a partire da 150 milioni di anni dopo, all’interno delle prime stelle. È solo all’interno delle stelle che le temperature e le pressioni sono tali da fondere insieme i nuclei di idrogeno ed elio creandone di nuovi e più complessi, e sono sempre le stelle a disseminare i nuovi elementi nello spazio quando esplodono sotto forma di novae e supernovae.

Oggi sono passati tredici miliardi e mezzo di anni dopo quei fatidici diciassette minuti e il nostro universo è inevitabilmente “inquinato” dagli elementi prodotti da generazioni di stelle: noi stessi siamo, alla fine, una minuscola parte di questo “inquinamento”. Dovunque guardiamo nel cosmo, troviamo sempre le impronte digitali dello “sporco” lasciato dalle stelle. Della giovinezza dell’universo, quei 150 milioni di anni in cui il cosmo era popolato solo da nubi rarefatte di idrogeno ed elio, non avevamo che evidenze indirette -per quanto schiaccianti.

Fino a oggi. Tre astronomi all’Università di Santa Cruz California – John O’Meara, Xavier Prochaska e soprattutto il giovane italiano Michele Fumagalli, astrofisico laureato a Milano – affermano infatti di aver identificato per la prima volta due nubi di gas idrogeno primordiale – ovvero, non ancora inquinato da nessuna esplosione stellare. Due nubi di materia che vagano nel cosmo ancora intatte da quando vennero create, un quarto d’ora dopo la nascita dell’Universo, descritte in un articolo appena apparso online su Science.

Le nubi primordiali sono state trovate con un po’ di fortuna mentre i ricercatori studiavano la composizione del rarefatto gas intergalattico. Per questo sfruttano sorgenti di luce assai remote ma potenti – i quasar, nuclei galattici attivi e luminosissimi, visibili anche a distanze di vari miliardi di anni luce – e osservano come viene assorbita la luce dai gas rarefatti che si trovano tra loro e noi. Dallo spettro di questa luce, ovvero osservando quali “colori” vengono assorbiti dal gas e quali no, è possibile capire quali atomi si trovano all’interno del gas, con una sensibilità tale da riconoscere elementi presenti anche solo in una parte su 10.000. Normalmente tali nubi contengono percentuali variabili di silicio, carbonio, ferro, azoto – in alcuni casi molto basse ma rilevabili, tracce sicure dell’inquinamento “stellare” che hanno subito nel tempo. Ma nei due casi recentemente scoperti – LLS1134a e LLS0956b – le nubi sembrano prive di qualsiasi elemento che non sia l’idrogeno e l’elio.

I ricercatori hanno studiato gli spettri ricavando un altro parametro fondamentale: il rapporto tra idrogeno normale e deuterio (un isotopo pesante dell’idrogeno formatosi anch’esso durante il Big Bang). Questo numero è critico perchè dipende direttamente da un parametro fondamentale del Big Bang – ovvero la densità di materia. Il valore del rapporto originario tra idrogeno e deuterio, osservato direttamente nelle nubi primordiali, è del tutto consistente con quello dedotto indirettamente dalle osservazioni della radiazione cosmica di fondo: la prova che le nubi sono composte, effettivamente, di gas immacolato dai tempi della nascita dell’Universo.

Com’è stato possibile conservare un tale fossile? Innanzitutto le nubi osservate sono a grandissima distanza -più di 11 miliardi di anni luce- e quindi noi le osserviamo molto indietro nel tempo, in un momento in cui l’Universo aveva circa 2 miliardi di anni. C’è stato quindi meno tempo per inquinare le nubi. Ma questo da solo non basta a giustificare la loro inconsueta “pulizia”: gli stessi astronomi hanno infatti osservato altre nubi confinanti, a distanze analoghe, che invece contengono già concentrazioni visibili di altri elementi. Sembra invece che tali nubi di gas facciano fatica a mescolarsi l’una con l’altra, e che gli elementi pesanti residuo delle esplosioni stellari diffondano con più difficoltà di quanto atteso. L’universo sarebbe quindi sporco ma “a chiazze”: zone contaminate dalle esplosioni stellari coesisterebbero con zone ancora incontaminate. Gli autori stessi scrivono che “queste due nubi potrebbero essere solo la punta dell’iceberg di una popolazione molto più ampia di nubi non contaminate, che costituirebbero una grande percentuale del mezzo intergalattico denso”.

Tale scenario, già affascinante di per sè, ha implicazioni interessanti sulla formazione delle prime galassie. Flussi di gas freddo e puro come quello osservato da Fumagalli e colleghi sarebbero quindi resti delle strutture che condensandosi e scaldandosi, attratti dalla loro stessa gravità, hanno formato le prime galassie e le prime stelle. In quelle nubi, remote e gelide, c’è una importante parte della storia della nostra stessa esistenza.

Nella foto, la regione centrale della Via Lattea, la nostra galassia. (NASA)