Dopo il Petruzzelli
A vent'anni dall'incendio del teatro per cui fu a lungo accusato e poi scagionato, il Corriere ha intervistato Ferdinando Pinto
La storia di Ferdinando Pinto se la ricordano in pochi, ed è stata molto intricata ma anche molto esemplare. Le indagini contro di lui sull’incendio del Teatro Petruzzelli si conclusero scagionandolo, ma dopo un percorso pieno di errori e forzature (tra cui un interrogatorio i cui verbali divennero caso di scuola ed episodio letterario assieme). Oggi ci torna il Corriere della Sera.
Il clic risale all’alba del 27 ottobre 1991 quando lo storico Petruzzelli di Bari, quarto teatro italiano per dimensioni, inaugurato nel 1903, vanto culturale non solo della Puglia ma dell’intero Sud, andò in cenere per un incendio doloso. Ferdinando Pinto era dalla metà degli anni 70 il gestore: «Mi telefonarono, corsi lì, vidi lo scempio. Da allora, ogni 27 ottobre quell’alba si ripete. Anno dopo anno». Un lampo negli occhi, una sistemata all’impeccabile gessato grigio scuro: «Non sono mai riuscito a entrare nel Petruzzelli ricostruito. Quando mi trovo lì fuori, mi tremano le gambe. Anche la capacità di rimuovere ha un limite».
Il dramma cominciò due anni dopo, il 7 luglio 1993. Pinto venne arrestato con l’accusa di aver commissionato l’incendio e di concorso in associazione a delinquere di stampo mafioso: «In provincia basta saper gettare nel posto giusto la scintilla della calunnia, e poi tutto va avanti. Rimasi in carcere sedici giorni. Capii che l’attacco era a me, al progetto che stavamo mandando avanti». Per ritrovare dignità, Pinto dovette aspettare il 15 gennaio 2007 quando la Cassazione, con una seconda sentenza, lo scagionò da ogni accusa: «Il giorno più bello fu quando il procuratore, proprio in Cassazione, disse che il processo non sarebbe mai dovuto nemmeno cominciare». Cosa prova il manager di un teatro quando viene accusato di aver ordinato la sua distruzione? «Un’infamia nefanda, quasi come l’accusa di aver ucciso un figlio. Per fortuna ho potuto contare su una solidissima famiglia, mia moglie, le mie tre splendide figlie. Una ora vuole tentare il concorso per diventare magistrato. Pensa tu».
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