Le ragioni e i rischi delle proteste

L'Economist di questa settimana dà qualche consiglio a chi manifesta e alla politica

Il pezzo di apertura dell’Economist di questa settimana si occupa dei movimenti di protesta contro la crisi economica sorti negli ultimi mesi in tutto il mondo, da quelli spagnoli a quelli americani di Occupy Wall Street, che hanno toccato il loro momento più intenso nelle manifestazioni internazionali del 15 ottobre. Quella giornata ha mostrato che persone molto diverse in luoghi del mondo molto diversi condividono la volontà di protestare contro le ingiustizie percepite nel sistema economico e finanziario mondiale. L’Economist analizza le cause del movimento, le cose su cui pensa abbia ragione e quelle su cui pensa abbia torto, provando a suggerire che cosa dovrebbero fare i governi per venire incontro alle richieste più condivisibili dei manifestanti.

Le proteste, dice l’Economist, sono “piccole e disordinate”, ma sono il segno della rabbia che esiste nei paesi occidentali. Questa rabbia è causata in primo luogo dal fatto che le nuove generazioni sono messe davanti al fatto che molto probabilmente avranno peggiori condizioni economiche rispetto ai loro genitori, per quanto riguarda il livello di tassazione o l’età a cui potranno andare in pensione. La loro condizione attuale non li preoccupa meno del loro futuro: la disoccupazione giovanile è molto alta in tutti i paesi occidentali (dal 17,1 per cento tra gli under 25 negli Stati Uniti fino al drammatico 46,2 per cento in Spagna) e il costo della vita è in crescita, una situazione che colpisce anche i salari e le pensioni delle generazioni più anziane.

In passato, continua l’Economist, la socialdemocrazia europea ha promesso un sistema di welfare troppo costoso, che ora si rende conto di non poter più permettersi. D’altra parte, invece, il “modello anglosassone” – che si affidava al libero mercato per creare ricchezza – ha deluso gli elettori, che protestano contro un’economia che reputano stia facendo ricchi solo pochi finanzieri, mentre su di loro è scaricato il peso del debito e delle bolle speculative.

I manifestanti, insomma, hanno ragioni per lamentarsi, ma bisognerà vedere in che cosa si evolverà la protesta: il pericolo della “rabbia populista”, in particolare, potrebbe essere favorito dalla mancanza di un’agenda definita, e provocare una deriva irreparabile del movimento. L’Economist fa l’esempio dei tea party statunitensi: la rabbia “giustificata” della classe media americana conto una presenza statale invadente non è riuscita a produrre, in pratica, più che uno sterile ostruzionismo “nichilista”, che ha bloccato qualsiasi proposta per ottenere miglioramenti dal governo centrale.

Da parte loro, i politici hanno due aspetti su cui concentrarsi per gestire nel modo migliore la protesta e le sue cause, dice il settimanale:

La prima è combattere velocemente le cause della rabbia. Questo vuol dire, soprattutto, far sì che le economie ricomincino a muoversi. […] In generale, i politici si devono concentrare sui provvedimenti per incentivare la crescita: contrattare meno austerità a breve termine per aggiustamenti nel medio periodo, come un’età pensionabile più alta. […] Devono riformare la finanza con decisione. “Applicare gli accordi di Basilea 3 e maggiori garanzie per il capitale bancario” non è uno slogan affascinante, ma farebbe di più per diminuire i bonus di Wall Street che la maggior parte delle idee che si sentono dalle parti di Zuccotti Park.

La seconda proposta dell’Economist ai politici è “dire la verità”, soprattutto a proposito di che cosa non ha funzionato in passato. “Il pericolo maggiore è che le legittime critiche agli eccessi del sistema finanziario si trasformino in un ingiustificato assalto all’intero sistema della globalizzazione”, dice l’Economist, che prosegue dicendo che la causa principale della crisi del 2008 è stata la gestione delle proprietà immobiliari e finanziarie degli Stati Uniti, un ambito in cui l’intervento del governo è stato molto pesante. Al di là degli eccessi del sistema finanziario, aggiunge, il problema di fondo è stato quello di “politici che spendono troppo nei periodi di crescita economica e fanno promesse sulle pensioni e sulla spesa sanitaria che non saranno in grado di mantenere”.

foto: EMMANUEL DUNAND/AFP/Getty Images