• Sabato 24 settembre 2011

Il caso Laudati

La storia delle indagini sul capo della procura di Bari, accusato di aver rallentato l'indagine su Tarantini

di Francesco Costa

Antonio Laudati ha 57 anni ed è il capo della procura di Bari. Lo è dal settembre del 2009: prima aveva lavorato come magistrato a Lecco, ad Avellino, a Napoli come sostituto procuratore all’antimafia. Nel 2007 era stato nominato direttore degli Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia. Negli ultimi due anni si è trovato più volte al centro delle cronache giudiziarie per via di un’importante inchiesta condotta dalla sua procura, quella sull’imprenditore Giampaolo Tarantini. Ultimamente i quotidiani hanno parlato parecchio di lui: da qualche giorno Laudati è indagato dalla procura di Lecce per abuso di ufficio, favoreggiamento e tentata violenza privata. E il Consiglio Superiore della Magistratura ha aperto un’indagine nei suoi confronti. C’entra Tarantini, fino a un certo punto. Questa è la storia, raccontata dall’inizio.

L’inchiesta Tarantini
Nell’estate del 2009 Antonio Laudati non è ancora il capo della procura di Bari. I magistrati indagano sull’assegnazione di alcuni appalti nel settore della sanità, tengono sotto controllo tra gli altri un imprenditore che si chiama Giampaolo Tarantini. Si accorgono che l’uomo parla al telefono delle feste che organizza a casa del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. E parla di una donna, ex candidata al consiglio comunale di Bari, che si chiama Patrizia D’Addario e che nel giro di pochi giorni racconta alla stampa quello che dice di sapere su quelle feste. D’Addario racconta di avere ricevuto dei soldi – nonché la stessa candidatura alle amministrative – grazie alla sua partecipazione ad alcune feste a casa di Berlusconi. Giampaolo Tarantini sarebbe, dice, l’uomo che teneva i contatti con lei e altre ragazze, portandole alle feste dietro il pagamento di una somma in denaro. La procura di Bari apre un’inchiesta anche per induzione alla prostituzione. Il fascicolo è in mano al pm Giuseppe Scelsi: tenete a mente questo nome. L’inchiesta è ancora in corso, nel frattempo Tarantini è stato undici mesi agli arresti domiciliari e lo scorso giugno è stato condannato a due anni e due mesi di reclusione per detenzione ai fini di spaccio di cocaina. Tarantini è stato arrestato all’inizio di settembre su richiesta della procura di Napoli, accusato di estorsione ai danni di Silvio Berlusconi.

L’arrivo di Laudati
Antonio Laudati si insedia alla procura di Bari il 9 settembre del 2009, come abbiamo detto proviene dalla direzione degli Affari Penali del ministero. Tra le sue prime dichiarazioni, nonché nel suo discorso di insediamento, le parole più incisive sono quelle inerenti alle fughe di notizie dalla procura di Bari alla stampa. «Sono consapevole», spiega il procuratore, «della pressione nazionale e forse internazionale che in questo momento esiste sulle indagini della procura di Bari; quindi, mi accingo con l’aiuto dei colleghi, a cercare di stabilire dei rapporti con l’informazione che garantiscano correttezza e soprattutto il corretto svolgimento delle indagini perchè la violazione del segreto è sempre un nocumento allo sviluppo delle indagini». L’altro concetto su cui Laudati insiste molto è quello della necessità per i magistrati di collaborare tra loro, di coordinare il loro lavoro nelle indagini. Ma non è per queste frasi che, a pochi giorni dall’insediamento, Laudati finirà nei titoli dei giornali.

Laudati su Berlusconi
L’11 settembre del 2009 Laudati dichiara alla stampa che è «di tutta evidenza che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è assolutamente fuori da qualsiasi responsabilità penale». Commentando quanto raccontato dalla stampa sulle feste di Palazzo Grazioli, il premier e le escort, Laudati dichiara che «esistono dei comportamenti che sono previsti dal codice penale e poi esistono altri comportamenti: noi ci occupiamo di quelli previsti dal codice penale e il presidente del Consiglio è fuori da questo». Scrive Repubblica, quel giorno:

La posizione di Laudati, quindi, sembra mettere in dubbio una seconda fase dell’inchiesta che sembrava invece interessare la Guardia di Finanza. E cioè capire se Gianpaolo Tarantini sia stato ricambiato in qualche maniera dal presidente del Consiglio: come lo stesso imprenditore ha ammesso, per “ingraziarsi” il premier con tutte quelle ragazze ha speso molto denaro. «Cosa gli è venuto in cambio?» si sono chiesti gli investigatori, anche sulla base di alcune intercettazioni telefoniche nelle quali Tarantini faceva accenno a possibili business, per esempio con la protezione Civile.

L’inchiesta prosegue. Poco dopo Tarantini viene fermato: Laudati e Scelsi firmano il provvedimento ipotizzando il pericolo di fuga e l’inquinamento delle prove. A ottobre Laudati decide di cambiare l’organizzazione delle indagini su Tarantini: ce ne sono tre in corso, sanità, appalti e feste. Laudati affianca a Giuseppe Scelsi altri due pm, Ciro Angelillis ed Eugenia Pontassuglia. Proseguono pure le fughe di notizie, però. Patrizia D’Addario va ad Annozero a raccontare ampiamente la sua versione dei fatti. Il Corriere della Sera pubblica i verbali degli interrogatori di Giampaolo Tarantini. Laudati dice che «devo lavorare ancora di più in relazione all’organizzazione della procura». Di fatto i pm di Bari iniziano a indagare anche sulle fughe di notizie.

L’inchiesta sulla talpa
A febbraio del 2010 l’ANSA scrive che la procura di Bari ha raccolto “elementi significativi ma finora non determinanti” sulla persona che avrebbe passato le informazioni alla stampa, in particolare il verbale dell’interrogatorio di Tarantini in cui si parlava di Patrizia D’Addario. Scriveva Repubblica:

La ‘talpa’ può essere solo una persona che ha accesso agli atti del fascicolo poiché, per evitare fughe di notizie, l’interrogatorio di Tarantini si tenne in una caserma della Guardia di finanza alla presenza di alcuni finanzieri e del pm inquirente, Giuseppe Scelsi, e dei difensori dell’indagato. Per cautela fu deciso di non far trascrivere alla stenotipista le dichiarazioni dell’imprenditore, che furono salvate direttamente in file di un computer da un militare. I difensori dell’indagato, Nicola Quaranta e Nico D’Ascola, rinunciarono ad avere copia del verbale proprio per ‘blindare’ ulteriormente l’audizione.

Pochi mesi dopo, a giugno, sempre Repubblica scrive che “non una sola fonte, ma almeno cinque sarebbero gli investigatori che hanno passato notizie coperte da segreto ai giornalisti: per ben 189 volte, secondo quanto ricostruito puntigliosamente dalla Procura”. Alla fine si arriverà, pochi mesi fa, all’arresto di un giornalista ed ex consulente informatico, Andrea Morrone, che sarà scarcerato pochi giorni dopo a fronte di un debolissimo quadro indiziario. Ma intanto era successa anche un’altra cosa. A giugno del 2010 viene arrestato Salvatore Paglino, altro nome da tenere a mente, tenente colonnello della Guardia di Finanza. Paglino collaborava all’indagine su Tarantini e viene arrestato con l’accusa di stalking e peculato: secondo la procura, avrebbe molestato una testimone, la escort Terry De Nicolò (quella della famosa intervista circolata molto in questi giorni) utilizzando il cellulare e l’auto di servizio.

E l’inchiesta Tarantini, intanto?
Continua, e forse va per le lunghe. Ad aprile del 2011 le indagini sono ancora aperte e i pm aspettano di leggere l’ultima informativa redatta dalla Guardia di Finanza, sulla base della quale dovranno decidere come impostare le accuse nei confronti di Tarantini. Il pm Giuseppe Scelsi, primo titolare dell’inchiesta, chiede di essere trasferito alla procura generale e si parla di “attriti insanabili” con Antonio Laudati. All’inizio dell’estate la Finanza presenta l’informativa finale. Il 9 luglio però Scelsi scrive al Consiglio Superiore della Magistratura, si lamenta del ritardo della Finanza e lo attribuisce – insieme ad altre circostanze – al tentativo da parte di Laudati di non fargli concludere l’inchiesta su Tarantini, in particolare il filone sulle feste organizzate da Tarantini a casa di Berlusconi.

Le contestazioni di Scelsi sono quattro. Del ritardo della Guardia di Finanza abbiamo detto. Scelsi sostiene poi che Laudati avrebbe chiesto alla Finanza di ricevere personalmente l’informativa, senza dare la possibilità a Scelsi di conoscere il lavoro della polizia giudiziaria. Terzo, Scelsi sostiene che il suo trasferimento sia stato anticipato di un mese rispetto alla prassi: lo aveva chiesto lui, ma sostiene sia stato portato avanti con gran fretta dal ministero allo scopo di impedirgli di vedere l’informativa. Ancora: Scelsi racconta di essere stato convocato a luglio del 2009 da Laudati insieme a una serie di ufficiali della Guardia di Finanza per chiedergli una relazione sullo stato delle indagini. A quella riunione c’era lo stesso Paglino e c’era pure il generale Vito Bardi, oggi indagato a Napoli con l’accusa di aver passato informazioni riservate a Luigi Bisignani (Bardi dirà di essere stato presente solo alla parte finale di quella riunione). Scrive Carlo Bonini su Repubblica.

Di quanto accade in quella riunione Scelsi ricorda la «sfuriata di Bardi a D’Alfonso e Paglino» per essere stato tenuto allo scuro dell’indagine sulle escort. Ma, soprattutto, l’avviso ai naviganti di Laudati. «Disse che era molto amico del ministro della Giustizia che gli aveva concesso l’onore del tu e che, grazie a questo, aveva garantito per me, impedendo l’avvio di un’ispezione. Aggiunse che era stato mandato a Bari per conto del ministro e che era necessario costituire un organo che sovraintendesse alle indagini, in particolare su Tarantini».

Laudati risponde dopo poco. Dice che i tempi del trasferimento di Scelsi, anticipati o no, “non dipendono in nessun modo dalla volontà del procuratore”. Dice che il comportamento della Guardia di Finanza “è sempre stato esemplare”, compreso nel caso dell’incontro di luglio 2009, che Laudati reputa legittimo e non anomalo.

Il coinvolgimento del CSM
La lettera di Scelsi arriva alla prima sezione del Consiglio Superiore della Magistratura, che aveva già in piedi un fascicolo su Laudati e il caso Bari. Nato da un esposto anonimo, denunciava l’organizzazione da parte di Laudati di un convegno sulla Giustizia finanziato dalla regione Puglia con 100.000 euro, nel periodo in cui il presidente della Puglia Nichi Vendola era indagato per concussione nell’ambito dell’indagine sulla gestione della sanità (per Vendola la procura aveva chiesto l’archiviazione diverso tempo prima del convegno, ma il gip l’aveva disposta solo il 24 febbraio 2011). A quel fascicolo poi si erano aggiunti altri elementi, sull’utilizzo “non appropriato” di alcuni militari della Guardia di Finanza che risponderebbero direttamente a Laudati, sulla creazione di una banca dati centrale sulle indagini alla quale i sostituti procuratori non avevano accesso, sulle indagini intraprese su due procuratori di Bari, quando in realtà sui magistrati baresi è competente la procura di Lecce. Laudati fornisce immediatamente la sua versione inviando una relazione al CSM. Il 3 settembre la procura di Lecce – competente sui magistrati del distretto della corte d’appello di Bari – apre un fascicolo sui suoi colleghi di Bari in relazione alla vicenda Tarantini: nessun indagato, si ipotizzano i reati di abuso di ufficio e di rivelazione del segreto istruttorio.

Le nuove intercettazioni
Siamo quasi ai giorni nostri. Succede infatti, poche settimane fa, che la procura di Napoli fa arrestare Tarantini: lo accusa di estorsione nei confronti del presidente del Consiglio, ha indagato su di lui e ne ha intercettato a lungo le telefonate. Il contenuto delle telefonate è riassunto così da Repubblica.

Tarantini fa capire di avere sponde a palazzo di giustizia a Bari e di aver concordato, tramite il suo avvocato Nicola Quaranta, una linea di difesa comune con gli investigatori. E in particolare con il procuratore Antonio Laudati. In riferimento all’intervista rilasciata da Patrizia D’Addario nella quale gridava a un complotto contro Berlusconi, Tarantini spiega a Lavitola che il tutto è stato organizzato per rinviare la chiusura dell’inchiesta «per non mandare l’avviso di conclusione, così non escono intercettazioni». «L’ha fatto apposta Laudati – dice – perché si sono messi d’ accordo, nel momento in cui riaprono l’indagine e non mandano l’avviso di conclusione, le intercettazioni non diventano pubbliche». E ancora, Tarantini dice di avere parlato con l’ avvocato Quaranta che è andato a «parlare con il capo». «Là c’è un problema grosso – dice – praticamente quelli dove andasti tu a parlare hanno fatto un puttanaio, un putiferio, hanno trascritto tutto, cosa che non dovevano fare…». «E quello lui, il capo stava cacato nelle mutande, ha detto ti prego aiutatemi…» perchè, aggiunge, quello «non se la può più tenere questa cosa finale, la deve per forza mandare». «Lui ha detto a Nicola (Quaranta, ndr) che il suo ruolo è fallito là, hai capito, perché lui era convinto, ti ricordi, di archiviarla». Il tenore delle telefonate è inquietante.

La tesi di Tarantini al telefono con Lavitola è: Laudati voleva rimandare la chiusura dell’inchiesta per non fare uscire le intercettazioni, e quindi Patrizia D’Addario – d’accordo con lui e con Tarantini – si è fatta intervistare parlando di un complotto contro Berlusconi per dare ai pm la possibilità di tenere aperte le indagini.

Bùm
Si tratta comprensibilmente di un terremoto. Le parti in causa smentiscono, tutte. I pm fanno notare che nelle intercettazioni Tarantini dice di voler patteggiare sebbene, considerate le accuse nei suoi confronti, non possa avvalersi del patteggiamento. L’avvocato di Tarantini, Nicola Quaranta, dice che «neanche una virgola di quanto riportato da Tarantini a Lavitola corrisponde al vero» e che Tarantini avrebbe fatto quei nomi e quelle ricostruzioni inventate «per dare credito e consistenza alle sue ipotesi nei confronti del suo interlocutore». Quaranta dice di avere incontrato Laudati per parlare di Tarantini ma solo per parlare del procedimento, per lamentarsi del duro trattamento inflitto dai pm a Tarantini e mai per stringere accordi o avere notizie coperte dal segreto istruttorio.

Anche Laudati si difende, dice di non aver mai parlato con Tarantini o Quaranta di quelle questioni, dice che non c’è stato ritardo nella definizione dell’inchiesta (anzi, parla di «tempi record») e fa notare che alla pubblicazione dell’intervista di Patrizia D’Addario l’indagine era già conclusa. Inoltre, Laudati si mette «a completa disposizione delle Procure di Napoli e Lecce», dice che se dovesse essere indagato non potrebbe «continuare a svolgere il suo ruolo con la serenità e il dovuto prestigio che deve caratterizzare la sua funzione» e chiede «al ministero della Giustizia di disporre un’ispezione immediata sull’indagine e sul mio operato. Se alla fine degli accertamenti penali e amministrativi una sola ombra dovesse emergere sul mio operato, mi impegno a richiedere immediatamente al CSM di essere destinato ad altro incarico».

Tarantini, interrogato dai pm di Napoli, dirà di aver detto a Lavitola «delle cose un po’ esagerate o distorte, ma solo esclusivamente perché volevo che Lavitola mi considerasse, mi desse peso. Cioè quando io nomino a Lavitola Laudati, siccome Laudati che è il capo della procura, mi dà una certa importanza e credibilità. Se io a Lavitola gli nomino Scelsi, dice: Giampaolo, non mi rompere le palle!». Sempre durante un interrogatorio, Tarantini parla addirittura dell’esistenza di un tacito accordo tra lui e Scelsi – «tu racconti tutto e io non ti faccio arrestare» – sostenendo quindi che sia stato Laudati a premere per il suo arresto.

Il ministro Nitto Palma intanto manda gli ispettori alla procura di Bari. Il CSM decide di sentire Giuseppe Scelsi il 19 settembre e Antonio Laudati il 22 settembre.

Laudati indagato
Il 17 settembre la procura di Lecce sente i pm di Bari Scelsi e Pontassuglia. Il 19 settembre Scelsi viene sentito dal CSM, il contenuto dell’audizione è secretato. Un paio di giorni dopo la procura di Lecce iscrive formalmente Antonio Laudati nel registro degli indagati, con le accuse di abuso di ufficio, favoreggiamento e tentata violenza privata. Si sostiene, in pratica, che Laudati avrebbe tentato di rallentare la chiusura delle indagini sulle escort, come denunciato da Scelsi, nonché fatto pressioni sullo stesso Scelsi (da qui l’accusa di tentata violenza privata).

Siamo all’altroieri. Il 22 settembre Laudati viene sentito dal CSM. Anche nel suo caso l’audizione viene secretata, ma Laudati approfitta della circostanza per dichiarare pubblicamente che nonostante l’indagine di Lecce nei suoi confronti, e nonostante quanto aveva detto poco tempo prima, non ha «mai pensato di lasciare la guida della procura di Bari». Laudati dice inoltre di avere denunciato per calunnia Giuseppe Scelsi e Salvatore Paglino, tenente colonnello della Finanza (quello indagato per stalking e peculato). Laudati dice che Scelsi aveva un’ostilità «preconcetta» nei suoi confronti, nega di aver mai detto di essere stato “mandato da Alfano”, dice che la squadra di polizia giudiziaria ai suoi ordini è «una prassi», nega nuovamente di avere ritardato la chiusura del caso escort.

A che punto siamo
I componenti della prima commissione del CSM hanno deciso di convocare e sentire altri magistrati di Bari, gli aggiunti Drago e Tosto, i pm Pontassuglia e Angelillis. L’inchiesta della procura di Bari contro Giampaolo Tarantini non è più un’inchiesta per sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione. L’accusa è associazione finalizzata alla corruzione e alla concussione, all’interno della quale le escort erano “utilità” da offrire in cambio di favori. Anche questo, scrive Repubblica, contraddice quanto detto da Tarantini e Lavitola al telefono.

Un’impostazione che farebbe crollare l’idea del ricatto messa su da Tarantini e Lavitola («sono il solo indagato, quindi se Berlusconi non vuole che escano quelle carte deve trattare con me») e sbugiarderebbe i contatti con gli investigatori che i due millantano di avere nelle loro telefonate: con tanti indagati, non si può certo blindare la circolazione delle carte, comprese le intercettazioni del premier.

foto: Mauro Scrobogna / LaPresse