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Il caso Laudati

La storia delle indagini sul capo della procura di Bari, accusato di aver rallentato l'indagine su Tarantini

di Francesco Costa

Antonio Laudati ha 57 anni ed è il capo della procura di Bari. Lo è dal settembre del 2009: prima aveva lavorato come magistrato a Lecco, ad Avellino, a Napoli come sostituto procuratore all’antimafia. Nel 2007 era stato nominato direttore degli Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia. Negli ultimi due anni si è trovato più volte al centro delle cronache giudiziarie per via di un’importante inchiesta condotta dalla sua procura, quella sull’imprenditore Giampaolo Tarantini. Ultimamente i quotidiani hanno parlato parecchio di lui: da qualche giorno Laudati è indagato dalla procura di Lecce per abuso di ufficio, favoreggiamento e tentata violenza privata. E il Consiglio Superiore della Magistratura ha aperto un’indagine nei suoi confronti. C’entra Tarantini, fino a un certo punto. Questa è la storia, raccontata dall’inizio.

L’inchiesta Tarantini
Nell’estate del 2009 Antonio Laudati non è ancora il capo della procura di Bari. I magistrati indagano sull’assegnazione di alcuni appalti nel settore della sanità, tengono sotto controllo tra gli altri un imprenditore che si chiama Giampaolo Tarantini. Si accorgono che l’uomo parla al telefono delle feste che organizza a casa del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. E parla di una donna, ex candidata al consiglio comunale di Bari, che si chiama Patrizia D’Addario e che nel giro di pochi giorni racconta alla stampa quello che dice di sapere su quelle feste. D’Addario racconta di avere ricevuto dei soldi – nonché la stessa candidatura alle amministrative – grazie alla sua partecipazione ad alcune feste a casa di Berlusconi. Giampaolo Tarantini sarebbe, dice, l’uomo che teneva i contatti con lei e altre ragazze, portandole alle feste dietro il pagamento di una somma in denaro. La procura di Bari apre un’inchiesta anche per induzione alla prostituzione. Il fascicolo è in mano al pm Giuseppe Scelsi: tenete a mente questo nome. L’inchiesta è ancora in corso, nel frattempo Tarantini è stato undici mesi agli arresti domiciliari e lo scorso giugno è stato condannato a due anni e due mesi di reclusione per detenzione ai fini di spaccio di cocaina. Tarantini è stato arrestato all’inizio di settembre su richiesta della procura di Napoli, accusato di estorsione ai danni di Silvio Berlusconi.

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L’arrivo di Laudati
Antonio Laudati si insedia alla procura di Bari il 9 settembre del 2009, come abbiamo detto proviene dalla direzione degli Affari Penali del ministero. Tra le sue prime dichiarazioni, nonché nel suo discorso di insediamento, le parole più incisive sono quelle inerenti alle fughe di notizie dalla procura di Bari alla stampa. «Sono consapevole», spiega il procuratore, «della pressione nazionale e forse internazionale che in questo momento esiste sulle indagini della procura di Bari; quindi, mi accingo con l’aiuto dei colleghi, a cercare di stabilire dei rapporti con l’informazione che garantiscano correttezza e soprattutto il corretto svolgimento delle indagini perchè la violazione del segreto è sempre un nocumento allo sviluppo delle indagini». L’altro concetto su cui Laudati insiste molto è quello della necessità per i magistrati di collaborare tra loro, di coordinare il loro lavoro nelle indagini. Ma non è per queste frasi che, a pochi giorni dall’insediamento, Laudati finirà nei titoli dei giornali.

Laudati su Berlusconi
L’11 settembre del 2009 Laudati dichiara alla stampa che è «di tutta evidenza che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è assolutamente fuori da qualsiasi responsabilità penale». Commentando quanto raccontato dalla stampa sulle feste di Palazzo Grazioli, il premier e le escort, Laudati dichiara che «esistono dei comportamenti che sono previsti dal codice penale e poi esistono altri comportamenti: noi ci occupiamo di quelli previsti dal codice penale e il presidente del Consiglio è fuori da questo». Scrive Repubblica, quel giorno:

La posizione di Laudati, quindi, sembra mettere in dubbio una seconda fase dell’inchiesta che sembrava invece interessare la Guardia di Finanza. E cioè capire se Gianpaolo Tarantini sia stato ricambiato in qualche maniera dal presidente del Consiglio: come lo stesso imprenditore ha ammesso, per “ingraziarsi” il premier con tutte quelle ragazze ha speso molto denaro. «Cosa gli è venuto in cambio?» si sono chiesti gli investigatori, anche sulla base di alcune intercettazioni telefoniche nelle quali Tarantini faceva accenno a possibili business, per esempio con la protezione Civile.

L’inchiesta prosegue. Poco dopo Tarantini viene fermato: Laudati e Scelsi firmano il provvedimento ipotizzando il pericolo di fuga e l’inquinamento delle prove. A ottobre Laudati decide di cambiare l’organizzazione delle indagini su Tarantini: ce ne sono tre in corso, sanità, appalti e feste. Laudati affianca a Giuseppe Scelsi altri due pm, Ciro Angelillis ed Eugenia Pontassuglia. Proseguono pure le fughe di notizie, però. Patrizia D’Addario va ad Annozero a raccontare ampiamente la sua versione dei fatti. Il Corriere della Sera pubblica i verbali degli interrogatori di Giampaolo Tarantini. Laudati dice che «devo lavorare ancora di più in relazione all’organizzazione della procura». Di fatto i pm di Bari iniziano a indagare anche sulle fughe di notizie.

L’inchiesta sulla talpa
A febbraio del 2010 l’ANSA scrive che la procura di Bari ha raccolto “elementi significativi ma finora non determinanti” sulla persona che avrebbe passato le informazioni alla stampa, in particolare il verbale dell’interrogatorio di Tarantini in cui si parlava di Patrizia D’Addario. Scriveva Repubblica:

La ‘talpa’ può essere solo una persona che ha accesso agli atti del fascicolo poiché, per evitare fughe di notizie, l’interrogatorio di Tarantini si tenne in una caserma della Guardia di finanza alla presenza di alcuni finanzieri e del pm inquirente, Giuseppe Scelsi, e dei difensori dell’indagato. Per cautela fu deciso di non far trascrivere alla stenotipista le dichiarazioni dell’imprenditore, che furono salvate direttamente in file di un computer da un militare. I difensori dell’indagato, Nicola Quaranta e Nico D’Ascola, rinunciarono ad avere copia del verbale proprio per ‘blindare’ ulteriormente l’audizione.

Pochi mesi dopo, a giugno, sempre Repubblica scrive che “non una sola fonte, ma almeno cinque sarebbero gli investigatori che hanno passato notizie coperte da segreto ai giornalisti: per ben 189 volte, secondo quanto ricostruito puntigliosamente dalla Procura”. Alla fine si arriverà, pochi mesi fa, all’arresto di un giornalista ed ex consulente informatico, Andrea Morrone, che sarà scarcerato pochi giorni dopo a fronte di un debolissimo quadro indiziario. Ma intanto era successa anche un’altra cosa. A giugno del 2010 viene arrestato Salvatore Paglino, altro nome da tenere a mente, tenente colonnello della Guardia di Finanza. Paglino collaborava all’indagine su Tarantini e viene arrestato con l’accusa di stalking e peculato: secondo la procura, avrebbe molestato una testimone, la escort Terry De Nicolò (quella della famosa intervista circolata molto in questi giorni) utilizzando il cellulare e l’auto di servizio.

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