La regolarità degli tsunami

I geologi non si aspettavano un terremoto così potente, ma tsunami giganteschi avevano già colpito Sendai

di Massimo Sandal

A Japanese rescuer walks across an area devastated by the tsunami in Sendai on March 13, 2011. The massive earthquake and tsunami on March 11 left more than 1,000 dead with at least 10,000 unaccounted for as shortages for food and fuel in many parts of eastern Japan creating havoc. AFP PHOTO / Philippe Lopez (Photo credit should read PHILIPPE LOPEZ/AFP/Getty Images)
A Japanese rescuer walks across an area devastated by the tsunami in Sendai on March 13, 2011. The massive earthquake and tsunami on March 11 left more than 1,000 dead with at least 10,000 unaccounted for as shortages for food and fuel in many parts of eastern Japan creating havoc. AFP PHOTO / Philippe Lopez (Photo credit should read PHILIPPE LOPEZ/AFP/Getty Images)

“È stata una lezione di umiltà”: questo il commento di Emile Okal, geofisico alla Northwestern University, Illinois ed esperto in terremoti e tsunami. In effetti, i geologi non se lo aspettavano un terremoto così potente da quelle parti. Bisogna ovviamente intendersi sul termine “potente”: per gli standard giapponesi, terremoti fino al grado 8 della scala Richter (e si parla di un evento con un’energia 2000 volte superiore a quello che ha colpito l’Aquila) sono da considerarsi normali.

Ben altra cosa è un terremoto di grado 9, come quello che ha colpito il Giappone in questi giorni, o quello che ha causato lo tsunami del 2004. Un terremoto del genere ha un’energia quasi 32 volte superiore a quella di un terremoto di grado 8. E come riporta oggi Nature in un breve articolo, quella zona del Giappone non doveva, in teoria, tremare così forte.

Finora i geologi avevano correlato i terremoti così potenti al moto delle placche oceaniche più giovani. La crosta oceanica giovane è infatti la parte più sottile della crosta terrestre, la “buccia” rocciosa che ricopre il nostro pianeta. In regioni ad alto rischio sismico come il Giappone, la crosta oceanica che ricopre il fondale del Pacifico scivola lentissimamente sotto la crosta meno densa del continente asiatico, di cui il Giappone è l’ultima propaggine. La crosta oceanica giovane, essendo sottile, è leggera e tende a galleggiare meglio sul mantello di lava sottostante; fa dunque più fatica a scivolare sotto alla crosta confinante. E nello sforzo di scivolare comunque giù, spinta inesorabilmente, l’energia viene rilasciata in terremoti estremamente potenti.

Ma la crosta dalle parti di Sendai è antica, molto antica: quasi 140 milioni di anni. Una crosta così antica è anche spessa e molto densa, e dovrebbe quindi affondare più facilmente e scivolare senza troppi scossoni. I dati sismologici sembravano confermare questa ipotesi (fino alla triste, recente confutazione): qualche terremoto di grado 8, ma nulla di più.

Col senno di poi, qualche dubbio c’era. Dati recenti mostravano una situazione più complessa: la zona intorno a Sendai era distorta, come se il fondale del Pacifico fosse bloccato e, invece di scivolare giù, premesse contro il Giappone stringendolo “come in una morsa”, secondo Nature. Inquietantemente, alcuni scienziati pensano che l’energia immagazzinata in quella zona sia immensa, a tal punto che il recente cataclisma potrebbe non essere bastato affatto a rilassare la situazione. Il mistero anzi, secondo alcuni, è che una tensione così grande non provochi un numero maggiore di terremoti: “Nonostante il sisma di grado 9, quella zona è ancora misteriosa” dice Thomas Heaton, geofisico al California Institute of Technology.

Quanto agli tsunami, l’unico comparabile noto in tempi storici in quella regione è un evento nell’869 d.C., noto come il “terremoto dell’era Jogan” dai giapponesi. Una coincidenza? Nature rispolvera uno studio del 2001 di Koji Minoura e colleghi, all’Università di Tohoku, a Sendai, che non solo dimostrava che lo tsunami dell’869 “era molto più forte di quelli generati da terremoti normali” per la zona (l’ondata arrivò fino a 4 km oltre la costa, e la magnitudine stimata era 8.3) ma ha trovato anche, nel terreno, che strati di sabbia scaraventata dal mare nell’entroterra per chilometri – l’impronta digitale geologica di uno tsunami – si alternano regolarmente: una gigantesca ondata intorno all’anno Zero, e un’altra dal 670 al 970 avanti Cristo. Un ciclo quasi regolare, di 800-1100 anni (intendiamoci: non certo il tipo di regolarità che possa servire a decisioni pratiche di emergenza). Nelle parole di Minoura e colleghi:

“Più di 1100 anni sono passati dallo tsunami dell’era Jogan e, dato l’intervallo di ricorrenza degli eventi, è elevata la possibilità di un vasto tsunami che colpisca la pianura di Sendai. Le nostre simulazioni al calcolatore indicano che uno tsunami simile a quello dell’869 inonderebbe la pianura attuale fino a 2.5 – 3 km nell’entroterra”

Lo studio era stato ulteriormente corroborato da un’altra ricerca del 2007 da parte di un altro team giapponese (abstract accessibile qui). Ironia amara della sorte, all’articolo di Minoura e colleghi del 2001 si può accedere tuttora solo dalla cache di Google. La versione originale, ospitata su server giapponesi, è invece accessibile a singhiozzo – un laconico e cortese messaggio ci informa che i server sono spenti per i blackout causati dallo tsunami. Quello che avevano in qualche modo previsto.

foto: PHILIPPE LOPEZ/AFP/Getty Images