Perché nessuno vuole sfidare Obama

Quattro anni fa a questo punto i repubblicani avevano già messo in campo otto candidati

Tra meno di un anno cominceranno le primarie democratiche e repubblicane in vista delle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Chi non ha dimestichezza con la politica americana potrebbe pensare che c’è ancora molto tempo, ma in realtà non è così: di norma le campagne elettorali negli Stati Uniti cominciano uno o due anni prima dell’inizio delle primarie, poco dopo le elezioni di metà mandato. Quattro anni fa, a questo punto, otto repubblicani e dieci democratici si erano già candidati alle primarie. Oggi tra i repubblicani non si è ancora candidato nessuno mentre i democratici, come è ovvio, sosterranno la ricandidatura di Obama. Un ritardo del genere non accadeva dalle presidenziali del 1992. L’Economist di questa settimana cerca di spiegare le ragioni di questo fenomeno.

La prima ragione è statistica, diciamo. Dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi, solo tre presidenti hanno fallito nell’ottenere la rielezione: Gerald Ford, Jimmy Carter e George H. W. Bush. Tutti e tre avevano avuto seri sfidanti alle primarie, cosa che Obama non avrà. Ford e Bush erano arrivati alla presidenza alla fine di un lungo periodo di governo del loro partito, mentre i democratici si sono ripresi la Casa Bianca solo due anni fa.

La seconda ragione è politica. È noto che Obama in campagna elettorale è formidabile, bravo come nessun altro a mobilitare i suoi elettori e raccogliere fondi e sostegno. La macchina della sua campagna del 2008 è ancora lì, è stata tenuta in caldo in questi due anni ed è pronta a rimettersi in moto. I suoi avversari lo sanno e non lo sottovalutano. Haley Barbour, governatore del Mississippi e potenziale candidato, ha detto che Obama è “uno dei più grandi politici della storia degli Stati Uniti”.

La terza ragione è strategica. Per candidarsi alle presidenziali, com’è noto, bisogna vincere le primarie del proprio partito. Le elezioni di metà mandato e la storia politica degli ultimi due anni hanno dimostrato quale influenza abbiano in questo momento i tea party all’interno del partito repubblicano: considerato che le primarie solitamente mobilitano l’elettorato più motivato e radicale, è probabile che le frange più estremiste del partito giocheranno un ruolo significativo nella scelta del candidato. Esiste quindi il rischio che i candidati più moderati, quelli capaci di convincere gli elettori indipendenti, possano essere bruciati dalle primarie; mentre a vincere possano essere candidati ritenuti non potabili dalla grandissima maggioranza dell’elettorato americano.

Ci sono anche ragioni per ritenere Obama vulnerabile, ovviamente. Su tutte lo stato dell’economia e della disoccupazione, che migliorano con estrema lentezza. Nel 1980 il tasso di disoccupazione al 7,5 per cento fu cruciale nella sconfitta di Carter a favore di Reagan. Quattro anni dopo, però, Reagan ottenne una larghissima rielezione con la disoccupazione al 7,2 per cento. La differenza la fece la tendenza: quattro anni prima le cose stavano peggiorando, la volta successiva stavano migliorando. E oggi è troppo presto per capire quale sarà lo scenario tra un anno e mezzo.

L’Economist presenta poi una tabella con i potenziali candidati tra i repubblicani, in ordine di probabilità. Sappiamo che alcuni potenziali candidati si sono già tirati indietro, come il senatore John Thune, il deputato Mike Pence, il governatore del New Jersey Chris Christie e quello del Texas Rick Perry, il neoeletto senatore Marco Rubio. Le candidature più probabili, in questo momento, sono quelle di Newt Gingrich, speaker della Camera ai tempi dell’amministrazione Clinton, di Mitt Romney, ex governatore del Massachusetts, di Tim Pawlenty, ex governatore del Minnesota, di Jon Huntsman, ex governatore dello Utah, oggi ambasciatore degli Stati Uniti in Cina, e quella di Rick Santorum, ex senatore della Pennsylvania. I migliori, in questo lotto, sono probabilmente Romney, Pawlenty e Huntsman. Poi ci sono quelli che ci stanno pensando: Sarah Palin, Mike Huckabee, Rudy Giuliani, Haley Barbour, Mitch Daniels. La candidatura di uno di questi può togliere aria e spazio a un altro: non ci sono finanziatori e attivisti per tutti. E bisogna far presto. Nel 2007 il promettente Fred Thompson aspettò fino a settembre prima di annunciare la sua campagna, che poi si sciolse nel giro di pochi mesi.

foto: Official White House Photo by Pete Souza