Pornografia e astronavi

Le prime pagine del nuovo libro di Giuseppe Culicchia, Ameni inganni, edito da Mondadori

di Giuseppe Culicchia

È da una vita che aspetto questo momento. No, sbaglio. In realtà lo aspetto solo da quando avevo cinque anni, e sognavo che da grande avrei fatto l’astronauta. Da quel giorno d’inverno in cui anziché a Cape Canaveral venni portato al funerale della nonna. Quando la bara scomparve nella terra, chiesi a mia madre: tu non morirai mai, vero? Ma lei, anziché rispondermi che non sarebbe mai morta, si limitò ad accarezzarmi la nuca. Ecco: sono trentasei anni che aspetto il funerale di mia madre. E ora, finalmente, ci siamo. Da bambino e poi anche in seguito, non sono mai riuscito neppure a sfiorare l’idea che un giorno avrei dovuto fare i conti con tutto questo. Per non mettermi a piangere, o meglio a urlare, mi obbligavo a pensare a qualcos’altro. Alla mia collezione di astronavi, innanzitutto. E, più tardi, a quella di riviste porno. Ma pur costringendomi a non pensare che un giorno anche mia madre sarebbe morta, come prima di lei mio padre e i nonni, il pensiero della sua scomparsa è sempre stato presente sullo sfondo dei miei giorni e delle mie notti. E così, giorno dopo giorno e notte dopo notte, la mia mente è stata obbligata a concentrarsi sempre più sia sulle astronavi sia sulle riviste porno.

So tutto quel che c’è da sapere, in fatto di astronavi e di riviste porno. Le astronavi e le riviste porno mi hanno accompagnato e in un certo senso aiutato in tutti questi anni. Strano a dirsi, me ne rendo conto solo ora mentre seguo gli uomini delle pompe funebri dentro il cimitero senza poter fare a meno di notare che uno di loro è palesemente ubriaco, non mi è mai piaciuto veder mischiate le due cose. Ovvero, trovarmi di fronte a un’astronave su una rivista porno. Che senso ha fotografare una o più ragazze nude su un’astronave? Su “hustler” per esempio è successo. Credo che l’editore, Larry Flynt, abbia voluto celebrare l’anniversario dello sbarco sulla luna. Perciò ha pubblicato un servizio fotografico dove a bordo di un’astronave, tra pannelli di controllo e robot, un astronauta maschio e un’astronauta femmina si toglievano le tute spaziali eccetera. Ma a parte il fatto che in assenza di gravità certe cose sarebbero oggettivamente un po’ più complicate rispetto a quanto illustrato dalla rivista, per quel che mi riguarda è come se aprendo una scatola della Tamiya saltassero fuori, insieme con i pezzi di un’astronave e le istruzioni di montaggio, anche degli astronauti e delle astronaute in pose da set porno. Non esiste, insomma. l’uomo delle pompe funebri ubriaco incespica, e per un attimo la bara pare sfuggirgli di mano, poi però riacquista l’equilibrio e tutto procede come da copione.

Benché per quasi quarant’anni mi sia costretto a non pensare alla morte di mia madre e al suo funerale, in un certo senso è come rivedere uno a uno i fotogrammi di un film che conosco a memoria. In fondo, sapevo già tutto. Nemmeno l’ubriaco mi pare fuori posto. Al contrario, me l’aspettavo. ecco, ora il percorso iniziato un tot di ore fa a casa con la pulizia e la vestizione della salma e la visita dei vicini e la formalità delle condoglianze e la chiusura della bara, proseguito con il piccolo corteo funebre e il funerale in chiesa e la processione fin qui, è arrivato alla meta.

Il becchino ha fatto per bene il suo dovere, come gli aveva raccomandato mia madre in occasione delle sue quotidiane visite al cimitero per pregare sulla tomba del marito e dei genitori, e le ha già scavato la fossa. la bara viene posata a terra, su un paio di corde. Poi, utilizzando queste ultime, gli uomini delle pompe funebri la sollevano di nuovo e la calano nel buco nero. A dire la verità a questo punto mi sarei aspettato di piangere, o perfino di urlare. Già in chiesa, anzi, e ancor prima a casa. Gettato a terra, scosso dalle convulsioni, mani estranee e fredde che contro la mia volontà mi soccorrono mentre sbavando mi strappo i capelli. Invece niente. Ora che di tutta la mia famiglia resto solo io, mi dico, la prossima volta toccherà a me. E al mio funerale non verrà nessuno, a parte gli addetti ai lavori, perché intanto anche i vicini di casa saranno morti. Almeno spero. Il prete benedice la bara nella fossa e attacca l’Eterno Riposo. Devo assolutamente finire di montare il mio ultimo modello di Apollo 11, mi dico, ricordandomi che a questo punto il copione prevede che io getti un pugno di terra sulla bara. Devo anche ricordarmi, mi dico chinandomi, la prima volta che vado in città, di comprare all’edicola di piazza Dante gli ultimi numeri di “Hustler” e “Barely legal” e “Club” e “Club international” e “High Society” e “Hawk” e “Swank”, oltre che di “Playboy”, anche se “Playboy” lo prendo proprio solo per via della collezione, sono anni ormai che praticamente gli do a malapena un’occhiata.


L’edicola di piazza Dante, mi dico gettando il pugno di terra sulla bara di mia madre, mi è comoda perché sta a quattro passi dal negozio di modellismo di corso impero dove compro le astronavi. È vero, mi dico, guardando il becchino che attacca a coprire la bara con la prima palata di terra, continuare a comprare riviste porno al tempo di internet non ha molto senso. Ma a parte il fatto che ho deciso da un pezzo di evitare il porno in rete, che senso ha tutto quanto, mi dico, mentre le palate si succedono e nel cimitero si sente solo il rumore prodotto dall’attrito della pala con la terra e subito dopo quello della terra che impatta sul legno della bara, che senso ha tutto quanto se poi siamo destinati a finire così? Un paio di vicine di casa, più vecchie di mia madre e ciò nonostante inspiegabilmente ancora vive, mi si avvicinano, entrambe ostentando la classica faccia da funerale. A turno mi stringono un braccio, farfugliando frasi che non afferro ma che immagino. So che da parte mia devo annuire. Annuisco. le rughe. Le rughe sui loro volti. le rughe sui loro volti sembrano disegnare mucchi di vermi. Il set spaziale lanciato dalla Revell per celebrare i quarant’anni dallo sbarco sulla luna è a mio parere il migliore in circolazione per tutta una serie di motivi: presentato all’ultima fiera del modellismo di Norimberga, comprende una linea di scatole di montaggio dedicate alla celebrazione dei quarant’anni dallo sbarco della missione Apollo 11.

Dalla primavera sono disponibili cinque nuovi kit: la riproduzione in scala 1:96 del Saturn V lunga ben 1,14 metri, il modulo lunare Eagle in scala 1:48 e ricco di dettagli, la nave Columbia in scala 1:96. Il quarto kit permette di costruire una riproduzione dettagliatissima dell’Apollo in scala 1:32 e comprende dettagli come i pannelli di controllo, le bombole di idrogeno e ossigeno e la strumentazione di bordo. l’ultimo kit è il figurino in scala 1:9 del leggendario astronauta Neil Armstrong. Su Amazon il cofanetto in finta pelle nera che contiene il volume con la raccolta dei paginoni centrali di “Playboy” a grandezza naturale è in vendita con lo sconto dell’ottanta per cento ed è passato dai cinquecento dollari iniziali agli attuali cento. Fu in una lettera indirizzata a Niels Bohr che nel 1926 Albert Einstein fece la sua famosa affermazione sulla meccanica quantistica, spesso parafrasata come “Dio non gioca a dadi con l’Universo”. Bohr rispose: “non solo Dio gioca a dadi, ma bara pure”.

Devo andarmene. Subito. il rumore della pala. Quello della terra sulla bara. Uno dell’agenzia di pompe funebri mi viene incontro. mi sussurra qualcosa. Non posso restare in questo posto un istante di più. Devo vedere lei. non afferro le parole. improvvisamente mi accorgo di essere venuto fin qui con un mazzo di fiori. lo metto in mano al prete. Giro i tacchi. Me ne vado da lei.

Quando vado a vedere se c’è, scopro che non è ancora tornata. in realtà sono settantadue ore che non si fa viva. l’ultima volta è stato venerdì scorso, il giorno in cui mia madre è morta. venerdì scorso, il giorno in cui mia madre è morta nel suo letto d’ospedale, lei ha lasciato detto che stava tornando a casa. Rantolava. non lei. mia madre. Un rantolare profondo. Buio. l’avevano nascosta alla vista degli altri ricoverati dietro un séparé. ma quei suoi hhhrrrmrrrrhhh e un odore nauseante riempivano la stanza. io cercavo di pensare alle differenze dei kit di montaggio Tamiya e italeri, o alternativamente alle ultime immagini di Wanda Tilton che avevo trovato in rete, un set ambientato in una palestra, ma a un certo punto sono dovuto correre in bagno. lei è molto pallido, mi ha detto un’infermiera quando sono tornato al séparé, vada a casa a riposare, è da una settimana che sta notte e giorno accanto a sua madre. mi è rimasta solo lei, avrei voluto dirle, anche se a dire la verità non intendevo mia madre. ma non era il caso di dare spiegazioni. Stia tranquillo, se c’è qualche novità la chiamiamo noi, mi ha rassicurato l’infermiera.

Le gambe due pezzi di legno, gli occhi due puntaspilli, ho capito che in fondo era l’occasione che stavo aspettando. le ho dato il mio numero di cellulare e ho lasciato l’ospedale e i rantoli e l’odore nauseante. Ma poi, quando sono uscito in strada, ho scoperto che me li ero portati via. i rantoli e l’odore nauseante mi hanno accompagnato all’auto, e da lì fino a casa. Lungo il tragitto ho cercato di concentrarmi sulla segnaletica e sul traffico, anche perché c’era una nebbia piuttosto fitta, e però non c’è stato niente da fare.


A un certo punto, ero già in tangenziale, ho dovuto fermarmi in un’area di sosta. Sull’altra carreggiata, lì dove doveva esserci un’area di sosta parallela, la nebbia disegnava i contorni di un’ombra imponente. Un Tir con rimorchio. Chino sull’erba bagnata e disseminata di rifiuti ai bordi della striscia d’asfalto, ho percepito attraverso la nebbia e il rombo incessante delle auto di passaggio degli strani rumori. Profondi, e bui. lì per lì non ho capito. Poi sì. Il Tir trasportava animali diretti al macello. Quelli che sentivo erano i lamenti delle bestie. in quell’istante ho provato un gran freddo. Sono subito risalito in auto. Più tardi, ho trovato un gran freddo anche a casa, come al solito. mia madre ha sempre risparmiato su tutto, compreso il riscaldamento, senza contare che da una settimana nessuno accendeva neppure il gas per fare un caffè. Di sopra, nella mansarda dove abito da quando mio padre mi costrinse ad andare a vivere da solo, ho constatato che lei non era ancora tornata. Allora sono sceso di sotto, nell’appartamento dei miei, e dal termostato centralizzato ho acceso i termosifoni di tutta la villetta, per una volta mettendo la temperatura al massimo. Solo che poi il calore non ha fatto altro che amplificare l’odore nauseante e i rantoli e i lamenti di quelle bestie incrociate in tangenziale.

Basta, mi sono detto. Basta, basta, basta. ho spalancato la finestra della cucina di mia madre che dà sul giardino e mi sono seduto al tavolo da pranzo a guardare di fuori gli alberi ormai privi di foglie che si intuivano ancora malgrado la nebbia e il buio. mi è venuto in mente che dovevo capire quanto restava sul conto corrente di famiglia e calcolare quanto sarebbero durati quei risparmi una volta che morta mia madre sarebbe venuta a mancare la sua pensione, più la metà di quella di mio padre, che le era stata assegnata all’indomani della morte di lui. Che cosa spendi tutti quei soldi in astronavi alla tua età, mi diceva di tanto in tanto lei, scuotendo la testa. Da parte mia ho sempre preferito tacere. non sapeva delle riviste porno, disseminate in tutta la mansarda. e non me l’ero mai sentita di affrontare il discorso. Non potevo dirle che con le mie astronavi cercavo di tenere a bada in qualche modo il pensiero della sua morte. Né tantomeno mostrarle la mia collezione di riviste porno sperando capisse che bene o male servivano allo stesso scopo.

Mi sono alzato, ho frugato nel cassetto della cucina dove lei ha sempre tenuto il libretto degli assegni e le comunicazioni della banca. In una busta ho trovato un vecchio estratto conto. Il saldo era di circa duecentocinquantamila euro. Ho fatto un rapido calcolo, ipotizzando una spesa di mille euro al mese tra cibo, bollette, astronavi e riviste porno, facevano più o meno duecentocinquanta mesi, dunque poco più di vent’anni. Bene, mi sono detto, per vent’anni sono a posto. Poi al limite venderò questo appartamento, e mi terrò il mio al piano di sopra. Quando è suonato il cellulare sono sobbalzato, visto che a parte mia madre per dirmi che aveva messo in tavola all’ora di cena o di pranzo non mi chiamava mai nessuno. Tuttavia non era lei, ma l’ospedale. istintivamente, ho toccato ferro. non a caso, del resto, anche Niels Bohr era superstizioso. Aveva attaccato un ferro di cavallo sulla soglia di casa. Buonasera signor Bianco, siamo spiacenti di dirle, ha esordito una voce impostata sulla modalità cordoglio. Dopodiché me l’ha detto. Fuori, in giardino, la nebbia e il buio erano ormai fitti. i rami degli alberi privi di foglie non si vedevano più. Non mi è rimasta che lei, ho pensato, riattaccando. Non mi sei rimasta che tu, Olga.

***

Giuseppe Culicchia è uno scrittore italiano. Ha esordito nel 1994 con Tutti giù per terra. Il suo ultimo libro, Ameni inganni, è uscito il 22 febbraio per Mondadori.