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  • Martedì 23 novembre 2010

Il talebano che negoziava con Karzai era un impostore

L'uomo che diceva di essere il braccio destro del mullah Omar era un impostore, dice il New York Times

Afghan President Hamid Karzai, left, listens to his second vice president Abdul Karim Khalili during the Muharram procession at a main Shiite Muslim mosque in Kabul, Afghanistan , Monday, Jan. 29, 2007. Karzai renewed his call Monday for talks with the Taliban and other groups battling his government. "While we are fighting for our honor and dignity against an enemy who wants our destruction and wants us to bleed, once again we want to open a way for negotiations," Karzai told thousands gathered at the main Shiite Muslim mosque in Kabul. (AP Photo/Musadeq Sadeq)
Afghan President Hamid Karzai, left, listens to his second vice president Abdul Karim Khalili during the Muharram procession at a main Shiite Muslim mosque in Kabul, Afghanistan , Monday, Jan. 29, 2007. Karzai renewed his call Monday for talks with the Taliban and other groups battling his government. "While we are fighting for our honor and dignity against an enemy who wants our destruction and wants us to bleed, once again we want to open a way for negotiations," Karzai told thousands gathered at the main Shiite Muslim mosque in Kabul. (AP Photo/Musadeq Sadeq)

Negli ultimi mesi i giornali di tutto il mondo hanno dato molto risalto alla notizia dei dialoghi segreti in corso tra governo afghano e talebani. I dialoghi sono già iniziati, aveva scritto lo scorso 6 ottobre il Washington Post. E aiuteranno a negoziare un accordo che velocizzerà la fine della guerra. Oggi invece il New York Times scrive che Akhtar Muhammad Mansour, uno dei leader talebani che avevano partecipato a questi incontri segreti, in realtà non è il vero mullah Akhtar Muhammad Mansour ma solo un impostore, e che quindi tutte le informazioni raccolte finora non possono essere considerate attendibili.

Il New York Times scrive che l’uomo avrebbe incontrato rappresentanti del governo afghano e della NATO almeno tre volte, di cui una alla presenza del presidente dell’Afghanistan Hamid Karzai. «Non è lui e gli abbiamo dato un sacco di soldi», ha detto una fonte anonima direttamente coinvolta nell’operazione. I rappresentanti del governo americano dicono che erano sempre stati molto scettici fin dall’inizio sulla vera identità dell’uomo che diceva di essere Mansour, considerato il braccio destro del mullah Omar. I dubbi si erano intensificati dopo il terzo incontro, che si era tenuto a Kandahar, quando un uomo che in passato aveva conosciuto Mansour è andato a dire agli ufficiali afghani che quello con cui stavano parlando non gli assomigliava per niente.

Secondo il New York Times, l’episodio dimostra la stato di incertezza della situazione generale in Afghanistan. I leader talebani, scrive, si nascondono in Pakistan, forse con l’aiuto dello stesso governo pakistano che riceve miliardi di dollari dagli Stati Uniti. E negano di avere avviato qualsiasi tipo di trattativa con il governo afghano. L’ultimo messaggio diffuso dal Mullah Omar diceva: «Il nemico astuto che ha occupato il nostro paese vuole da un lato espandere le sue operazioni militari e dall’altro gettare polvere negli occhi della popolazione diffondendo false voci di negoziati».

Lo scorso gennaio, invece, alcuni altri leader talebani avevano fatto sapere di essere pronti ad avviare dei dialoghi con Karzai. In quel periodo, Abdul Ghani Baradar, allora vice comandante dei talebani, fu arrestato in Pakistan, a Karachi, in seguito a un’operazione congiunta di CIA e servizi segreti pakistani (ISI). La cattura fu presentata ufficialmente come il risultato della cooperazione tra intelligence americana e pakistana, ma alcune fonti vicine al governo pakistano avevano detto che in realtà si trattava solo di una manovra orchestrata da Islamabad, che aveva deciso di fare arrestare Baradar perché aveva iniziato a collaborare con il governo afghano senza il permesso della ISI.

Durante gli incontri degli ultimi mesi il finto Mansour aveva sorprendentemente posto condizioni molto moderate per raggiungere un accordo di pace: che ai talebani fosse consentito di tornare in Afghanistan senza rischiare di essere arrestati, che agli ex combattenti fossero riservati dei posti di lavoro e che i prigionieri venissero liberati. Non aveva chiesto, come invece i talebani hanno fatto spesso in passato, il ritiro completo delle truppe americane o la partecipazione di una quota di talebani al governo di Kabul. Sayed Amir Muhammad Agha, ex comandante dei talebani che in passato aveva fatto da tramite con il governo afghano, non si è meravigliato quando il New York Times lo ha informato della notizia del finto Mansour: «Posso assicurarvelo: non sta succedendo niente. Ogni volta che parlo con i talebani dicono che non accetteranno nessun accordo di pace e che continueranno a combattere. Non sono ancora stanchi di combattere».