With only two weeks till critical midterm elections, President Barack Obama and first lady Michelle Obama muster support for Democratic candidates during a rally at Ohio State University in Columbus, Ohio, Sunday, Oct. 17, 2010. (AP Photo/J. Scott Applewhite)

Chi vince stanotte

Guida alla lettura dei risultati delle elezioni di metà mandato negli Stati Uniti

Si vota negli Stati Uniti, oggi. Sono le elezioni di metà mandato: si rinnovano tutti i 435 membri della Camera dei rappresentanti e un terzo di quelli del Senato (quindi di volta in volta 33 o 34, più quelli rimasti vacanti o occupati da membri “provvisori”: quest’anno saranno 37). In più si vota anche per eleggere i governatori di 39 stati. Il Post seguirà lo spoglio in diretta a cominciare dalle 23, quando arriveranno i primi exit poll, fino alla mattinata seguente.

Di cosa parliamo
Per ciascuna di queste elezioni, negli scorsi mesi si sono disputate elezioni primarie sia tra i repubblicani che tra i democratici. Ogni sfida ha una sua campagna elettorale, di collegio o statale, e tutte insieme si allacciano in una campagna elettorale nazionale, che tocca inevitabilmente da vicino il gradimento sulle scelte e le politiche dell’amministrazione Obama. La posizione del Presidente nelle elezioni di metà mandato è complicata: da una parte è tra i pochissimi politici della nazione a non esserne direttamente coinvolto come candidato, dall’altra il suo futuro politico sarà pesantemente influenzato dall’esito di queste elezioni. In teoria non si parla di lui, trattandosi esclusivamente di elezioni locali; in pratica le sue politiche incidono eccome, e una vittoria o una sconfitta finiranno per rafforzare o indebolire lui più di ogni altro.

Chi vince se
In gioco c’è il controllo del Congresso (ovvero Camera e Senato insieme). In questo momento i democratici hanno la maggioranza sia alla Camera (256 a 179) che al Senato (59 a 41), come conseguenza delle vittorie alle elezioni del 2006 e del 2008.

I democratici potranno considerare una vittoria l’aver conservato la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Vale lo stesso per i repubblicani: vincono se strappano ai democratici sia la Camera che il Senato. Visto come si sono messe le cose negli ultimi giorni, in questo momento lo scenario più probabile è quello per cui i democratici conservano di un soffio la maggioranza al Senato e perdono quella alla Camera. Per capire se considerare un risultato del genere un pareggio o comunque una vittoria dei repubblicani bisognerà guardare tre cose.

La prima è l’entità della sconfitta dei democratici alla Camera. I repubblicani devono strappare ai democratici almeno 39 seggi per avere la maggioranza. Se ne ottengono 39 o pochi di più, i democratici cadono in piedi; se invece ne perdono più di 50 è un disastro.

La seconda è il risultato delle elezioni fra i governatori. Ne saranno eletti 39, e di questi oggi 20 sono democratici e 19 repubblicani. Ci sono, tra gli altri, quelli di California, New York, South Carolina, Arizona, Florida. La maggior parte di questi oggi sono toss-up: i candidati sono troppo vicini tra loro per indicare un favorito. Se oltre ai pochi sicuri (tra cui New Hampshire, New York, Arkansas, California) i democratici conquistano anche Colorado, Florida, Ohio e Pennsylvania, allora è quasi una vittoria. Per la Pennsylvania sarà particolarmente dura (e nel 2008 Obama la vinse di dieci punti).

La terza è il risultato di alcune sfide che per il loro valore simbolico e la loro visibilità nazionale pesano più di quanto contino ufficialmente. Innanzitutto il seggio senatoriale del Nevada, conteso dall’uscente Harry Reid, leader dei democratici al Senato, e la repubblicana Sharron Angle. In Illinois c’è in gioco il seggio senatoriale di Obama: il democratico Giannoulias è in svantaggio, a favore del repubblicano Kirk. In Pennsylvania uno dei repubblicani più estremisti degli Stati Uniti, Pat Toomey, è in vantaggio sul democratico Joe Sestak. Bisognerà poi vedere che fine fanno i candidati dei tea party, soprattutto quattro: Marco Rubio in Florida e Rand Paul in Kentucky (favoriti), Christine O’Donnell in Delaware e Joe Miller in Alaska (sfavoriti). Infine, due sfide alla Camera. In Alabama il democratico uscente Bobby Bright è un super centrista, uno che vota regolarmente contro il suo partito e contro l’amministrazione Obama. Dovesse perdere, dimostrerebbe che a questo giro non bastava essere contro Obama per garantirsi la rielezione. In Virginia il democratico uscente è Tom Perriello, ne avevamo parlato qui: eletto per miracolo nel 2008, è stato leale nei confronti dell’amministrazione votando ogni sua proposta, persino le più impopolari, in uno dei pochi collegi d’America che alle ultime presidenziali preferì John McCain a Barack Obama. Dovesse vincere, forse dimostrerebbe che qualche indecisione in meno avrebbe giovato ai democratici.

Cosa succede stanotte
Alle 23 ora italiana si chiudono i primi seggi in Indiana e Kentucky. A mezzanotte saranno chiusi anche i seggi di South Carolina, Georgia, Virginia e Vermont. All’una di notte ne arriveranno molti altri, più di venti. A quel punto sarà già chiaro che aria tira per il resto della nottata. Alcune sfide resteranno probabilmente aperte a lungo. Nel 2008 servirono otto mesi per capire chi aveva vinto il seggio al Senato in Minnesota, tra riconteggi e ricorsi. La stessa cosa potrebbe accadere almeno in Alaska, a causa dell’abbondanza di write-in candidates.

2012
Le presidenziali si terranno fra due anni, ma di fatto cominciano dopodomani. Per i repubblicani, inizia la corsa in vista delle primarie. I papabili hanno passato l’ultimo anno a sostenere candidati a queste elezioni di metà mandato: chi riuscirà a farne eleggere di più guadagnerà qualche vantaggio sugli altri. Tra i democratici, a Obama farebbe molto comodo l’elezione di governatori democratici in stati storicamente in bilico come Ohio, Iowa, Pennsylvania e Florida. Ma di questo parleremo con calma, poi.

Le mosse del giorno prima (diario del 1 novembre)
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