«Nessuno ti crederà mai»

Gli estratti dell'intervista di GQ all'attore di Ghostbusters, Ricomincio da capo e Lost in translation

Dan Fierman di GQ è riuscito in qualcosa di molto raro: intervistare Bill Murray, uno dei migliori e soprattutto più amati attori in circolazione. Nato a Chicago sessant’anni fa, è diventato famoso come attore di commedie — su tutte Ghostbusters e Ricomincio da capo, meglio conosciuto come Il giorno della marmotta — e dopo un paio di pause dalla recitazione si è trasformato in uno degli attori di culto del cinema d’autore, recitando nei film di Jim Jarmush, Sofia Coppola, Wes Anderson.

Quattro interviste faccia a faccia negli ultimi dieci anni e nessun manager, solo una segreteria telefonica in cui gli si possono lasciare messaggi e proposte, sperando di essere richiamati. È così che Murray gestisce questo genere di cose. Fierman scrive che può capitare di incontrarlo sia di buono che di cattivo umore: a quanto pare, il giorno dell’intervista l’umore era ottimo, ma Murray rimane piuttosto impenetrabile.

Racconta Fierman:

Dopo aver parlato di Ghostbusters 3,  Obama, e Garfield, ha deciso che l’intervista era finita e se n’è andato. Per quello che ho capito, non mi ha preso in giro, ma chi può dirlo?

La prima domanda è proprio sul modo di filtrare le comunicazioni che riguardano il lavoro:

Perché la segreteria?
Be’, è quello che ho scelto alla fine. Così mi chiamano e parlano. E poi io ascolto. Mi lascia la possibilità ed il tempo di decidere. Ascolto i messaggi e rispondo: «Ok, perché non me lo scrivi? Tu lo scrivi, e se è interessante, ti richiamo, se non lo è, non lo farò». In qualsiasi altra maniera è estenuante. Non voglio avere a che fare con qualcuno di persona se poi alla fine non ci lavorerò. Se parliamo di lavoro parliamo di lavoro, ma non ho voglia di “passare del tempo insieme” o roba simile.

Ma spesso è così che si lavora nel mondo di Hollywood.
Sì è vero, ma l’ho sempre trovato spaventoso. E poi a me non piace lavorare. Mi piace lavorare soltanto quando sto lavorando.

Mi ricordo che ti sei preso una lunga pausa. Alla fine degli anni ’80, giusto?
Era a metà degli anni ’80. In verità me ne sono prese un paio, di pause. Mi sono ritirato già un paio di volte. Ed è fantastico, perché puoi dire «Oh, mi spiace. Ho smesso» E la gente crederà davvero che sei andato in pensione.

Mi ha sempre incuriosito il modo in cui scegli i tuoi progetti, spesso diversissimi tra loro. Per Get Low [che uscirà negli Stati Uniti il 30 luglio], sospetto che sia stato soprattutto per la battuta «Se c’è una cosa buona di Chicago, è che la gente sa come morire».
[ride] In effetti quella mi ha attratto parecchio. No, è che ho avuto una conversazione telefonica molto piacevole con il produttore Dean Zanuck, e ho pensato, mmmh…E poi ho visto i DVD del making-of del suo ultimo film. La lavorazione di un film è una cosa che si dovrebbe tenere segreta ma si possono imparare molte cose dai filmati girati “dietro le quinte”. Tutti gli attori dovrebbero vederli. Capisci con chi stai per avere a che fare. In quel caso ho pensato: questo ragazzo è a posto. E il film è venuto benissimo.

E il terzo Ghostbusters? Lo farai?
È tutta una stupidaggine, un mucchio di stupidaggini. È andata così — devo andarci piano, non voglio urtare i sentimenti di nessuno. Cioè: se devo urtare i sentimenti di qualcuno, voglio farlo apposta. [ride] Harold Ramis mi ha detto «Ho questi ragazzi, scrivono per The Office, e sono divertenti. Scriveranno il prossimo Ghostbusters». Sono gli stessi che hanno scritto l’ultimo film che ha girato, Anno uno. Io non ho visto Anno uno: ma la gente che l’ha fatto, inclusi altri Ghostbusters, mi hanno detto che è una delle peggiori cose che abbiano visto nella loro vita. Così quel sogno è finito. Andato. Ma la casa di produzione vuole girarlo. Sai, è una serie. È una macchina da soldi, e ci hanno fatto un sacco di soldi con Ghostbusters.


Ho letto che tu pensavi di fare il fantasma. Non male.
No, è che io non volevo fare il film. Continuavano a chiedermelo e io continuavo a dire di no. Così una volta ho detto, giusto per scherzare: «Se mi uccidete nella prima scena allora ok, lo faccio». E loro sono venuti fuori con l’idea di uccidermi subito e farmi diventare un fantasma. Geniale, davvero.

Sicuramente è un film atteso. In origine, nel primo film, non era previsto che facessi il personaggio di Peter Venkman, è così?
Sì. Originariamente doveva essere John Belushi. Come per un sacco di miei film. Dio, John è morto: cos’era, venticinque anni fa?

Se rifai Ghostbusters sarà strano, no? C’è tutta una generazione di ragazzi ventenni che pensano tu sia un tipo da film artistici. Sofia Coppola, Wes Anderson, Jim Jarmush. Non fai un grosso film commerciale da parecchio.
Lo so, lo so. C’è questo bravo signore che si chiama Elvis Mitchell. Lo conosci?

Certo. Un vecchio critico del New York Times.
Lui è l’uomo più intelligente del mondo. È divertente parlare con lui. Una notte di un paio di anni fa ero a Venezia, sdraiato sul pavimento di marmo, ed ero tipo caaaaazzo. Lui era nella stanza, e mi ha detto «Bill, continui a fare tutti questi film tristi. Influirà sulla tua vita. La tua vita è dura comunque. Influirà». Mi ha dato una grande lezione sulle mie scelte e siamo finiti a parlare di qualsiasi cosa, e ho pensato, ok, bene, voglio fare una commedia come le facevo un tempo. E… beh, penso di potercela fare. Penso che dovrei farla.

Che mi dici di Garfield [Murray doppiava il gatto nell’edizione americana]? Me lo puoi spiegare? L’hai fatto per soldi?
No! Non l’ho fatto solo per i soldi! O almeno, non del tutto. Pensavo sarebbe stato divertente, doppiare è difficile e non l’avevo mai fatto. In più, ho visto la sceneggiatura ed era firmata “Tizio e Joel Coen”. Ho pensato: beh, perfetto, adoro i Coen! Sono così divertenti. Così ho letto qualche pagina e ho pensato, sì, dai, lo faccio. Al tempo avevo degli agenti e ho chiesto «Quanto mi danno per fare questo genere di cose?» e loro hanno detto «ti danno 50mila dollari.» Io ho risposto «Allora, io non mi allontano dal mio cazzo di vialetto per una cifra così.» Poi mi ha chiamato un tipo dalla casa di produzione, e abbiamo parlato per bene. Niente stronzate, niente inutili chiaccheratine, niente fesserie. Abbiamo parlato a lungo del film. I miei agenti, poi, mi hanno chiamato il lunedì successivo dicendomi «Beh, hanno fatto una controfferta, e non assomiglia per niente a 50 mila dollari». Ho risposto «Questa è la cifra giusta per il lavoro che mi aspetta». Loro hanno girato il film, e io intanto mi sono dimenticato di tutta la faccenda. Alla fine sono andato a Los Angeles a registrare le mie battute. E se stai doppiando un film, se ci metti due giorni è tanto. Non so se dovrei raccontare questa storia, perché è un po’ cattiva. Ma chi se ne frega? È interessante. Allora, ho lavorato una giornata ed era tutto un «E questa è la battuta? Bene, io quella cosa lì non posso dirla». Allora ti siedi e pensi, cosa posso dire che lo renda divertente? Così ho detto «Ok, è meglio che mi facciate vedere il resto del film, così possiamo capire con cosa abbiamo a che fare». Mi sono seduto e mi sono guardato tutto il film continuando a dire “Ma chi diavolo ha montato questa cosa? Chi l’ha fatto? A che cazzo stavano pensando i Coen?» Ed è lì che me lo hanno spiegato: non era stato scritto da quel Joel Coen.

Poi si scopre che Murray non guarda molta tv. Non conosce Seinfeld, né altre serie di punta.

E allora che cosa guardi? Sport?
Guardo sport, film, Current TV sul satellite mi piace. Onestamente, mi annoio facilmente. C-SPAN [la rete via cavo di news, ndr] può essere bellissima, come nella notte in cui Obama ha vinto le elezioni. C-SPAN è stata la migliore: non c’erano presentatori, solo Chicago. C’era solo la folla a Grant Park, ed era esaltante. E quella è la mia città. Tutti si dicevano: «Oh mio dio, sta succedendo!» Hai visto le foto, c’era qualcuno dalla zona nord, qualcuno da quella sud, qualcuno dalla periferia. È stata la cosa più sinceramente americana che io abbia mai visto, mi entusiasmo solo a pensarci. Non conosco nessuno che non stesse piangendo. Continuavamo a ripeterci: «grazie a Dio questo lungo incubo nazionale è finito».

Se non farai Ghostbusters 3, quale sarà il prossimo film?
Ho questo amico, Mitch Glazer, che ha scritto una sceneggiatura che voleva girare. Un attore se ne è andato, semplicemente terrorizzato di lavorare con Mickey Rourke. Se ne è andato. E ha perso le palle, davvero. [l’attore è Toby Kebbell e il film Passion Play, ndr] Così Mitch mi ha chiamato e mi ha detto «Sono morto. Ho girato in nove giorni.» E la parte scoperta era ancora più interessante di quella che voleva recitassi all’inizio. Il film è un azzardo. È impossibile. Ma io vado matto per andare a fondo con la gente che non ha una cazzo di chance. È come quel film di Tim Robbins che ho fatto. Come si chiamava? Sugli anni ’30?

Il prezzo della libertà?
Sì. Ho letto la sceneggiatura e ho detto «Ma cos’hai in testa? Non ha possibilità. Non ha possibilità, Tim! Ma sai cosa? Mi piaci perché ci stai provando». Quella è la mia gente, quelli che stanno per sbattere e andare a fuoco.

Resta il tempo di (non) sfatare una leggenda metropolitana:

Ultima domanda. Devo saperlo, perché amo questa storia e voglio credere sia vera. Si dice in giro che tu sbuchi dietro le persone a New York, coprendo loro gli occhi e dicendo «Indovina chi è.» Loro si girano, vedono Bill Murray e sentono queste parole: «Nessuno ti crederà mai».
[lunga pausa] Lo so. Lo so, lo so, lo so. L’ho sentita da tante persone. Tantissime persone. Non so cosa dire. Probabilmente esiste una cosa adeguata da dire. Una battuta semplicemente perfetta e giusta. [lunga pausa, poi un gran sorriso] Ma suona assurdo, no? Non sembra assurdo e improbabile?