Per cosa è stato condannato Dell’Utri

Il senatore PdL condannato anche in appello: sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa

Marcello Dell’Utri è stato condannato a sette anni di reclusione dai giudici della seconda sezione della Corte d’Appello di Palermo, per concorso esterno in associazione mafiosa. Il collegio presieduto da Claudio Dall’Acqua, a latere Salvatore Barresi e Sergio La Commare, era riunito in camera di consiglio da giovedì scorso. Il procuratore generale Nino Gatto aveva chiesto la condanna dell’imputato a undici anni. Al momento della lettura della sentenza il senatore Dell’Utri – che in primo grado era stato condannato a nove anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici – non era presente in aula a Palermo. La riduzione di pena rispetto alla sentenza di primo grado riguarderebbe i fatti successivi al 1992, il periodo della presunta trattativa tra Stato e mafia per le quali Dell’Utri è stato assolto perché “il fatto non sussiste”.

Bisognerà aspettare di leggere le motivazioni della sentenza per avere un’idea chiara delle ragioni per cui la Corte ha condannato di nuovo il senatore PdL, riducendo però la pena comminata. Quello che sappiamo è la storia di questa vicenda giudiziaria, iniziata sedici anni fa. Dell’Utri viene rinviato a giudizio per la prima volta nel 1996, due anni dopo l’inizio delle indagini, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. I pm sostengono che Dell’Utri è stato il ponte di collegamento tra Cosa nostra e l’entourage di Berlusconi nei primi anni dopo la discesa di quest’ultimo in politica: Dell’Utri avrebbe fatto sì che la mafia favorisse e agevolasse la raccolta del consenso per Forza Italia in Sicilia, in cambio di protezione e garanzie da parte del governo Berlusconi. La sentenza di primo grado arriva nel 2004, quando Dell’Utri viene condannato a nove anni di reclusione, due anni di libertà vigilata e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nelle motivazioni della sentenza si legge che

“Vi è la prova che Dell’Utri aveva promesso alla mafia precisi vantaggi in campo politico e, di contro, vi è la prova che la mafia, in esecuzione di quella promessa, si era viepiù orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale utile e, ancora dopo, si era impegnata a sostenere elettoralmente l’imputato in occasione della sua candidatura al Parlamento Europeo nelle file dello stesso partito, mentre aveva grossi problemi da risolvere con la giustizia perché era in corso il dibattimento di questo processo penale”

Il processo di appello – quello che si conclude con la sentenza di oggi – ha quasi una storia a sé rispetto a quello di primo grado, visto com’è stato caratterizzato – specie negli ultimi mesi – dalle testimonianze di Massimo Ciancimino e Gaspare Spatuzza: i due hanno confermato i rapporti tra Cosa nostra e Forza Italia, hanno ipotizzato un ruolo attivo di Berlusconi e Dell’Utri nelle stragi degli anni Novanta e hanno raccontato poi di una presunta trattativa tra Stato e mafia per fermare gli attentati che stavano destabilizzando il paese.

Si è discusso molto dell’attendibilità delle loro testimonianze. I dubbi su Ciancimino sono arrivati anche dalla stessa Corte d’appello di Palermo, che ha detto di considerarlo “inattendibile” per via delle numerose contraddizioni dei suoi racconti. Diverso il caso di Gaspare Spatuzza. Considerato “attendibile” dalla procura di Firenze – che indaga anche lei sui mandanti delle stragi degli anni Novanta – le procure di Firenze, Caltanisetta e Palermo avevano avanzato nei suoi confronti la proposta di protezione. Il ministero degli interni ha però rigettato la proposta, stabilendo che Spatuzza non può essere ammesso al programma di protezione essendo decorso il limite di 180 giorni entro cui un pentito è tenuto a riferire di fatti gravi di cui è a conoscenza. Con la sentenza di oggi, sembra che la Corte sia arrivata alla stessa conclusione.

Quel che è certo è che neanche questa sentenza – che arriva sedici anni dopo l’apertura delle indagini – chiuderà definitivamente la questione: intanto perché difficilmente Dell’Utri rinuncerà al ricorso in Cassazione, ma soprattutto perché le vicende di cui si è occupato il processo di Palermo sono al centro di analoghi processi a Firenze e Caltanissetta.