Da qualche tempo il comportamento del presidente afghano Karzai preoccupa i paesi occidentali, soprattutto gli Stati Uniti. Due giorni fa Fred Kaplan su Slate si chiedeva – ricostruendo tutti gli ultimi eventi – se fosse diventato matto.
Le tensioni sono iniziate il 10 marzo, quando Karzai ha dato un caloroso benvenuto a Kabul al presidente iraniano Ahmadinejad. “Karzai ha invitato il nemico numero uno degli Stati Uniti a una visita di stato”, ha scritto Kaplan, “e si è mostrato estremamente rilassato quando nel palazzo presidenziale Ahmadinejad ha pronunciato un discorso fieramente antiamericano”.
Il 28 marzo è il giorno della visita a sorpresa di Obama a Kabul, motivata in parte proprio dalla necessità di discutere personalmente con Karzai. L’incontro sembrava essere stato positivo, poi il 31 marzo il Washington Post rivela che gli Stati Uniti sarebbero pronti a mettere il fratello di Karzai – da tempo sospettato di essere uno dei maggiori trafficanti di droga del paese – nella lista dei “most wanted”, i miliziani più influenti da catturare o uccidere. Una decisione a cui sono seguite altre dichiarazioni riottose da parte del presidente afghano – che di fatto deve all’influenza degli Stati Uniti la sua recente rielezione, macchiata da diversi brogli – e una lunga visita “chiarificatrice” da parte di John Kerry, presidente della commissione esteri del senato.
Ieri Peter Galbraith – ex inviato dell’Onu in Afghanistan, venne licenziato a seguito di alcune sue rumorose denunce di brogli durante le ultime elezioni – ha avanzato però un’ipotesi che non ha niente a che vedere con la geopolitica. “Karzai è un tipo molto emotivo e impulsivo”, ha detto Galbraith durante un’intervista televisiva. “Alcuni addetti ai lavori interni al palazzo presidenziale dicono spesso che ha una certa simpatia per una delle più redditizie merci da esportazione dell’Afghanistan”. Non è necessario specificare di che prodotto si tratti.