Un Eurovision più impegnato del solito

Le proteste contro la guerra a Gaza e la partecipazione di Israele hanno influenzato il dibattito intorno a una competizione che si definisce apolitica, ma non è la prima volta che succede

Una manifestazione a sostegno della Palestina a Malmö, in Svezia (AP Photo/Martin Meissner)
Una manifestazione a sostegno della Palestina a Malmö, in Svezia (AP Photo/Martin Meissner)
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La 68esima edizione dell’Eurovision Song Contest, che si è conclusa nella notte tra sabato e domenica con la vittoria di Nemo, che rappresentava la Svizzera, è stata caratterizzata da contestazioni e toni piuttosto accesi rispetto a quelli tipici della competizione, che solitamente si svolge in un’atmosfera più leggera e scanzonata.

Gran parte delle polemiche ha riguardato la partecipazione di Israele, che da mesi sta combattendo una guerra contro Hamas nella Striscia di Gaza nella quale sono stati uccisi circa 35mila palestinesi, in gran parte civili.

Nell’ultima settimana a Malmö, la città svedese che ha ospitato il concorso, ci sono state varie manifestazioni a sostegno della Palestina: giovedì sera per esempio tra le 5mila e le 6mila persone hanno protestato sia contro le azioni militari dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, sia contro la partecipazione di Israele all’Eurovision. Anche a causa delle proteste, che erano attese, l’amministrazione di Malmö ha aumentato la presenza della polizia nella città durante l’evento, e ha adottato misure di sicurezza straordinarie.

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In alcuni casi i manifestanti hanno paragonato la situazione di Israele a quella della Russia, squalificata dall’Eurovision nel 2022 dopo l’invasione dell’Ucraina. L’European Broadcasting Union (EBU), l’ente che organizza l’Eurovision, ha difeso la sua decisione di ammettere la concorrente israeliana Eden Golan all’edizione di quest’anno sostenendo che l’evento sia di natura apolitica, e quindi dovrebbe basarsi solo sulla performance musicale dei partecipanti e non sulle decisioni o sulle responsabilità dei paesi che rappresentano.

Mercoledì, durante le prove per la semifinale, Golan era stata contestata dal pubblico presente e aveva poi ricevuto un messaggio di sostegno dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Durante la semifinale di giovedì e la finale di sabato ha ricevuto sia applausi sia qualche contestazione dal pubblico. Alla fine è arrivata quinta.

Una manifestazione a sostegno di Israele a Malmö, in Svezia, durante l’Eurovision (Johan Nilsson/TT News Agency via AP)

Già negli scorsi mesi migliaia di musicisti di diversi paesi, tra cui Svezia, Danimarca e Islanda, avevano firmato delle petizioni per chiedere all’EBU di non ammettere Israele all’Eurovision, e online si erano diffuse delle campagne di boicottaggio. A marzo Israele aveva dovuto cambiare il titolo e il testo della canzone di Golan, che era stata rifiutata per la violazione delle regole sulla neutralità politica dell’evento.

La canzone si intitolava inizialmente “October Rain”, cioè “Pioggia d’ottobre”, e alludeva agli attacchi del 7 ottobre contro i civili israeliani sia nel titolo sia in alcuni suoi versi, come quelli in cui compariva la parola «fiori», che nel gergo dell’esercito israeliano è utilizzata per descrivere i soldati uccisi dall’inizio della guerra. Alla fine la rete televisiva pubblica di Israele, Kan, aveva accettato di cambiare il testo e il titolo della canzone, che adesso s’intitola “Hurricane” ed è stata privata di riferimenti diretti al massacro.

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Non è la prima volta che ciò che succede nel mondo finisce per influenzare l’Eurovision. Nel 2022 per esempio l’inizio della guerra d’invasione russa in Ucraina aveva avuto due principali conseguenze sulla competizione: da un lato l’espulsione della Russia dalla gara, decisa dopo un primo tentennamento dell’EBU, e dall’altro un inevitabile moto di simpatia e sostegno nei confronti dei concorrenti ucraini, cioè la Kalush Orchestra, che alla fine vinse quell’edizione.

Più in generale, negli ultimi anni il pubblico e le giurie nazionali dell’Eurovision hanno dimostrato più volte di sapere interpretare in maniera collettiva un certo spirito del tempo. L’edizione del 2014 per esempio fu vinta dall’austriaca Conchita Wurst, una drag queen e attivista per i diritti della comunità LGBTQ+, e negli anni successivi fu approvata in tutta Europa una serie di leggi che hanno legalizzato il matrimonio gay e le unioni civili.

Nell’edizione del 2021 il concorrente britannico, il cantante James Newman, ottenne un totale di zero punti sia dalle giurie nazionali sia dal televoto: molti osservatori e spettatori legarono la disfatta al fatto che pochi mesi prima il Regno Unito aveva completato l’uscita dall’Unione Europea (l’edizione del 2021 fu invece vinta dall’Italia, rappresentata dai Måneskin).

Ma al di là di alcuni casi specifici, raramente la politica finisce per influenzare in modo determinante i risultati dell’Eurovision: lo dimostra gran parte delle vittorie degli ultimi vent’anni, andate tra le altre a paesi come la Lettonia, la Turchia, l’Azerbaijan, la Serbia e ora anche la Svizzera, senza ragioni politiche ma per motivi essenzialmente legati al carisma del o della cantante in gara e all’efficacia della canzone proposta.

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