Come capire se un film è brutto prima di vederlo

Ci sono cinque indizi che permettono di evitare di buttare via una serata e sette euro, scrive il Guardian

(London Express/Getty Images)
(London Express/Getty Images)

Ok, lo sappiamo tutti: non si può dire che un film sia brutto senza trovare qualcun altro che dica che invece è bello. Suicide Squad è bello o brutto? E Avatar? E i film di Fantozzi? E la Corazzata Potëmkin? E quelli di Boldi e De Sica degli anni Novanta? I parametri principali che si possono usare sono due: i gusti dei critici e quelli degli spettatori. In base al primo, un film è bello se lo ritiene tale un certo numero di critici cinematografici; il secondo è più pragmatico: un film è bello se piace a tante persone e quindi se incassa molti soldi.

Mettendo da parte l’irrisolvibile questione – e ricordando che qualcuno definì 2001: Odissea nello spazio un film «pretenzioso, tremendamente lento, recitato in modo amatoriale e, soprattutto, sbagliato» – facciamo che si può definire tendenzialmente brutto un film che non piace ai critici, che incassa meno del previsto e che non lascia grande traccia di sé nella memoria della maggior parte degli spettatori. O, per farla ancora più semplice, un film è brutto se dopo averlo visto ci si pente di aver sprecato una serata e speso una manciata d’euro per vederlo. Stuart Heritage del Guardian ha trovato cinque indizi che possono aiutare a capire che con ogni probabilità quel film sarà brutto, prima di vederlo. Vale la stessa cosa dei sintomi delle malattie: uno o due, isolati, potrebbero essere una casualità. Da tre in su, forse quelle due ore e quei sette euro vale la pena investirli altrove.

Quando non si trovano recensioni

L’embargo giornalistico è un accordo convenzionale tra i giornalisti e altre persone o enti che stabilisce un «impedimento posto alla diffusione e alla pubblicazione di una notizia prima di un termine stabilito». In sostanza, giornalisti e critici cinematografici hanno spesso modo di vedere un film prima della sua uscita nei cinema. In alcuni casi è però vietato pubblicare opinioni o recensioni prima di una certa data. Quando quella data è molto vicina alla data di uscita del film, può voler dire due cose: o è un film molto atteso e con un’uscita mondiale – per esempio uno Star Wars, di cui si vogliono evitare spoiler – oppure, nel caso di film non-immensi è, scrive Heritage, «il più chiaro segno che una casa di produzione o distribuzione sa di aver fatto cilecca». Una cosa bella non si vede l’ora di raccontarla; una cosa brutta si cerca di farla sapere il più tardi possibile: con i film è spesso uguale.

Baby Driver – Il genio della fuga, che in Italia arriverà a settembre, è per esempio un film di cui si sta parlando benissimo: chi l’ha prodotto sapeva di aver tra le mani un film interessante e ben fatto, e ha lasciato che negli Stati Uniti se ne parlasse ben prima della sua uscita, il 28 giugno. Quando un embargo coincide con la data d’uscita, scrive Heritage, «è un atto di cinismo di chi ci vuole guadagnare: un’ammissione che la loro migliore strategia è ingannare qualche innocente e fargli comprare un biglietto prima che venga a sapere quanto è brutto quel film».

Quando dura meno di un’ora e mezza

Ormai molti film – specie quelli di fantascienza, d’azione o con i supereroi – superano le due ore di lunghezza. E succede spesso anche a quelli di altro genere: La La Land, per esempio, dura due ore e otto minuti; Moonlight un’ora e 51. I film si sono allungati perché è cambiato il mercato (ci sono i multisala, con tanti schermi), è cambiato il cinema (c’è il digitale, non si deve più tener conto di metri e metri di pellicola) e un po’, forse, perché le storie si sono fatte più complicate e ricche di cose, molti film durano molto. Heritage scrive che, proprio per questo, bisogna preoccuparsi quando un film dura poco: «Con qualche eccezione, se al giorno d’oggi un film mainstream, da multisala, dura meno di 90 minuti, probabilmente è un disastro». Vuol dire che in fase di post-produzione molte cose sono state tagliate perché ritenute brutte. The House, il film con Will Ferrell e Amy Poehler che ha convinto Heritage a scrivere l’articolo, dura 88 minuti: ha pessime recensioni e incassi scarsi. Non si sa se e quando uscirà in Italia (altro segno, spesso, che è un film brutto).

Quando arrivano voci dal set

Il caso ideale è: una casa di produzione annuncia che farà un film, comunica i nomi di regista e attori e una vaga e lontana data d’uscita prevista. Poi – mentre il film si sta girando, magari con un nome provvisorio per evitare troppi curiosi – fa arrivare le prime foto dal set, il primissimo trailer, il primo trailer, il secondo trailer, l‘ultimissimo trailer e, poi, le recensioni. Quando qualcosa si inceppa in questo processo, è un segno che forse le cose stanno andando male. Alcuni indizi di possibile film brutto: data d’uscita posticipata più volte, annunci di reshoot (scene che, a film finito, vengono rigirate, perché quelle precedenti non convincevano), abbandono del set da parte del regista o di qualche attore, lamentele, voci, gossip vari che filtrano dal set.

Come sempre ci sono eccezioni – magari il regista era un incapace ed è stato cacciato prima che potesse fare danni, magari la data d’uscita posticipata vuol dire che il film sarà ancora più bello – ma è la stessa cosa che può valere per una squadra di calcio o un’amministrazione politica: più le cose filano senza intoppi e meno persone spifferano quello che sta succedendo sul set, nello spogliatoio o nello Studio Ovale, meglio è. Soprattutto sui reshoot, molta cautela: sono stati fatti, tra gli altri, per Apocalypse NowE.T. l’extra-terrestre, Blade Runner, Rocky, Ritorno al Futuro e Rogue One, che si dice sia cambiato in meglio proprio per questo. Ritorno al Futuro, iniziarono a girarlo con Eric Stolz: dopo cinque settimane cambiarono idea e chiamarono Micheal J. Fox.

Locandine ingannevoli

A voler cercare si troverà sempre uno sconosciuto critico di un giornaletto di provincia che ha detto che quel filmaccio non è poi così male. Se in un trailer o su una locandina vedete che la parola “capolavoro” e le quattro stelle non arrivano dopo il nome di un giornale grande e importante, forse c’è da preoccuparsi. Se il Corriere della Sera o il New York Times hanno recensito bene il film, non c’è bisogno di andare a scavare più a fondo: si usano quelle recensioni. Bisogna anche stare attenti a cose che sembrano prove dell’attenzione più che locandine: Benjamin Lee del Guardian diede al film Legend due stelle su cinque; la locandina qui sotto non lo dice proprio in modo chiarissimo.

https://twitter.com/benfraserlee/status/641368752798306304?ref_src=twsrc%5Etfw&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.theguardian.com%2Ffilm%2Ffilmblog%2F2015%2Fsep%2F09%2Flegend-review-movie-marketing-false-advertising

Attori che parlano di tutto tranne che del film

Il regista e gli attori di un film fanno lunghi tour promozionali, in giro per le tv di mezzo mondo, per ricordare agli spettatori che c’è un loro film e che gli farebbe piacere se l’andassero a vedere. Se non fanno altro che parlare del film, di come è stata fatta quella scena, dei provini, eccetera eccetera, forse è un bel film, ne vanno fieri, hanno cose da dire. Se invece scherzano, parlano d’altro, raccontano aneddoti che non riguardano il film, forse c’è un problema. È pieno YouTube di video in cui Emma Stone, Ryan Gosling e Damien Chazelle raccontano cose su La La Land; nel promuovere il brutto Passengers Jennifer Lawrence e Chris Pratt fecero di tutto, parlando però pochissimo del film.