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  • Martedì 30 agosto 2016

Chi era Tommaso Labranca

Un importante scrittore e intellettuale che definì il significato di trash, morto ieri a 54 anni

Tommaso Labranca
(ANSA)
Tommaso Labranca (ANSA)

Lo scrittore Tommaso Labranca è morto lunedì notte di infarto a Pantigliate, il paese vicino a Milano dove abitava, ma da alcuni anni passava molto tempo in Svizzera, nel Canton Ticino, scegliendo anche nella vita reale la collocazione laterale che occupava – per vocazione, ma con sofferenza – all’interno della cultura italiana. La notizia della morte di Labranca, che aveva 54 anni, è stata data da Gianni Biondillo su Nazione Indiana, ma qualcuno aveva già modificato la sua voce su Wikipedia alle 9:35 di lunedì mattina. Tommaso Labranca era diventato famoso alla metà degli anni Novanta con i libri Andy Warhol era un coatto e Estasi del pecoreccio. Perché non possiamo non dirci brianzoli pubblicati da Castelvecchi nel 1994 e 1995. Nel primo, una raccolta di saggi precedenti, Labranca formulava la sua definizione più famosa: il trash è definito come «emulazione fallita di un modello “alto”», quale che sia, e individuava in questa categoria estetica il tratto caratterizzante della cultura contemporanea, quella che la muove e indirizza in profondità: da Bobby Solo come imitazione fallita di Elvis Presley alle ragazze vestite come Madonna ai presentatori delle tv locali che scimmiottavano Pippo Baudo fino ai ragazzini che, oggi, si fanno tagliare i capelli come i calciatori.

Negli anni Novanta, per la prima volta in Italia la cultura considerata “bassa”, fino ad allora esclusa dal discorso ufficiale, diventava oggetto di studio e interesse, un oggetto culturale fondamentale per capire e raccontare le trasformazioni della società avvenute nella seconda metà del secolo. I primi libri di Tommaso Labranca rappresentano, cioè, il polo teorico, intellettuale, del movimento letterario dei cosiddetti cannibali che altrimenti si sarebbe mosso soltanto su un piano narrativo, istintivamente esistenziale (l’antologia Gioventù Cannibale fu pubblicata dalla collana Stile libero di Einaudi nel 1996). Nel 1997 proprio insieme a Aldo Nove, Isabella Santacroce, Niccolò Ammaniti e al cantante Garbo, Labranca fonda la corrente del Nevroromanticismo che in qualche anno si sarebbe dissolta. Commentando la morte di Labranca, Aldo Nove ha detto al Post: «Nel dopoguerra in Italia ci sono stati due grandi teorici: il primo è stato Gillo Dorfles che ha concettualizzato la categoria del kitsch, quello che trent’anni dopo Labranca ha fatto con il trash».

Sempre nel 1997 Labranca  è tra gli autori di Anima mia, il programma condotto da Fabio Fazio e Claudio Baglioni, che fu uno straordinario successo televisivo e che era costruito proprio sul recupero nostalgico ma consapevole del trash degli anni Settanta, degli attori di Happy days come delle canzoni dei Camaleonti e dei Cugini di campagna. La televisione dimostrava l’idea che la cultura di massa, la cultura reale delle persone, si alimenti proprio di materiali considerati marginali, i soli che sono, però, in grado di descrivere un’epoca o di rievocarla. Nel 1998 Stile libero pubblica Chaltron Hescon. Fenomenologia del cialtronismo contemporaneo in cui Labranca teorizza, a partire dalla scuola di Francoforte, l’impossibilità di comprendere la contemporaneità senza studiare i materiali culturali tralasciati, dalla musica pop alle villette in Brianza – il cosiddetto “barocco brianzolo” – fino, appunto, alla televisione. Nello stesso anno Labranca collabora sempre con Fazio al programma Serenate, in cui le persone da casa dedicavano una canzone che veniva eseguita dal vivo in studio da chi l’aveva portata al successo.

Alla fine degli anni Novanta la cultura di massa è ormai parte integrante del discorso culturale ufficiale e ha perciò esaurito la propria carica di novità. Labranca continua a collaborare con la tv – L’utlimo valzer, sempre con Fazio, e molti altri programmi minori –, scrive per riviste e giornali, conduce programmi radiofonici e scrive libri, sempre più spesso su commissione – in gran parte fenomenologie di idoli contemporanei, da Renato Zero a Pietro Taricone, Freddy Mercury, Michael Jackson, Jimi Hendrix, John Lennon, i Coldplay, correndo consapevolmente il rischio di confondersi con l’oggetto del proprio interesse, cioè di diventare indistinguibile dai fenomeni culturali di cui si occupava. Oltre ai libri su commissione, scrive anche romanzi, senza mai raggiungere la centralità del decennio precedente. I suoi saggi migliori, quelli che considerava davvero propri, li faceva uscire con una piccolissima casa editrice 20090 VentiZeroNovanta che aveva fondato e con cui pubblicava anche la rivista Tipographia Helvetica. Dice Pietro Galeotti, che con Labranca ha collaborato come autore di Fazio e negli ultimi mesi come direttore di Linus: «Uno dei suoi ultimi libri, Dissezionando Elvira, è un bellissimo saggio sul Vedovo di Dino Risi con Albero Sordi e Franca Valeri. Tommaso Labranca è un rimosso della cultura».

A chi lo ha incontrato senza conoscerlo a fondo, è apparso come un uomo silenzioso e diffidente, che forse diffidava anche del proprio ruolo, della propria intelligenza e della propria cultura, perché non voleva farli pesare. Il suo lavoro è stato tutto rivolto al «basso», forse anche per questo sembrava volere evitare di parlare dall’«alto». Era capace di definizioni e battute fulminee, ma nessun sito al mondo – nessun sito di chi scrive per mestiere, almeno – è laconico come il suo. Per mantenersi traduceva dal tedesco manuali tecnici industriali.

L’ultimo articolo – che uscirà tra qualche giorno sulla rivista Linus – è una riflessione sulla scomparsa delle canzoni per l’estate e dell’estate in generale. Inizia così: «In questo preciso istante, mentre scrivo e mentre leggete, una ragazza o un ragazzo sta legando un’immagine, una sensazione, una madeleine dell’estate 2016 alla voce effettata di Fabio Rovazzi, l’autore della canzone “Andiamo a comandare”.» E continua: «Scorrendo il video, colpisce come il brano più ascoltato nell’estate del 2016 non abbia nulla di estivo». E finisce, o quasi: «Provo davvero una pena sincera per queste generazioni che non hanno mai conosciuto quell’estate fatta di tre mesi di vacanze, una stagione così lunga che alla fine non ne potevi più. Sono le generazioni senza settembre. Settembre è un mese ucciso dalle riforme scolastiche, quelle che hanno anticipato l’inizio delle lezioni, inibendo così nei più giovani il gusto languido del declino, del crepuscolo che si trasforma in attesa di una nuova stagione».