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  • Martedì 21 giugno 2016

A Istanbul c’è una libreria per i rifugiati siriani

È stata aperta un anno fa da una coppia scappata dalla Siria ed è uno dei pochi posti in città in cui trovare libri in arabo

(Pages Bookstore Cafè)
(Pages Bookstore Cafè)

Nell’ultimo anno molti media internazionali, tra cui il New York Times e la BBC, hanno raccontato la storia di Pages Bookstore Café, una libreria a Istanbul, in Turchia, aperta un anno fa – il 12 giugno 2015 – da due rifugiati siriani per vendere libri ad altri rifugiati, siriani, iracheni, libici e yemeniti. I fondatori sono marito e moglie e si chiamano Samer Alkadri e Gulnar Hajo. Si sono trasferiti in Turchia nel 2012, quando i servizi segreti siriani cercarono Alkadri, apertamente critico verso la repressione del regime di Bashar al Assad, nella sede della sua casa editrice specializzata in libri per ragazzi, la Bright Fingers, che si trovava a Damasco. Alkadri si trovava ad Abu Dhabi, e così non fu arrestato: lui e Hajo decisero scappare insieme ai loro figli in Giordania e poi a Istanbul.

Pages si trova nel quartiere storico di Ayvansaray, che a sua volta fa parte del distretto Fatih, nella parte europea di Istanbul, dove oggi vivono molte persone fuggite dalla guerra in Siria. La libreria occupa tre piani (uno dei quali riservato ai libri per bambini) di un vecchio edificio di legno dipinto di verde e ha anche un giardino. Pages è anche un bar e una biblioteca: infatti alcuni libri non sono in vendita, ma possono essere presi in prestito e per 20 lire turche (circa 6 euro) bambini e adolescenti possono prendere in prestito per un mese tutti i libri che vogliono. Alkadri e Hajo organizzano anche eventi all’interno della libreria: proiezioni di film, laboratori per bambini e adulti, piccoli concerti, mostre e ovviamente presentazioni di libri.

I siriani che dopo aver lasciato il loro paese a causa della guerra civile sono rimasti a vivere in Turchia sono circa 2,7 milioni. Pages offre a quelli che vivono a Istanbul libri in arabo, che trovano difficilmente altrove in città, oltre che in turco, inglese e francese. Nel tempo è diventata un punto di ritrovo per la comunità dei siriani a Istanbul, che ci vanno anche per discutere i problemi che devono affrontare come migranti o richiedenti asilo in Turchia. Molti di loro vorrebbero spostarsi in Europa e insieme discutono nella libreria su come farlo senza correre troppi pericoli.

Pages vende libri di tutti i tipi, dalla versione araba di Il codice Da Vinci alle traduzioni dei classici russi del Novecento, fino ai saggi sulla storia della Siria. Alkadri ha detto a Kareem Shaheen, giornalista del Guardian che ha scritto di Pages sul sito Bookriot, che i titoli più richiesti nella libreria sono Le quaranta porte della scrittrice turca Elif Shafak e i due romanzi più famosi di George Orwell, La fattoria degli animali e 1984.

Alkadri e Hajo importano i libri in arabo dal Libano, dove i volumi costano il doppio rispetto a quanto li pagavano in Siria prima della guerra. Pubblicano anche libri che selezionano loro e fanno stampare in una tipografia di Istanbul poco lontana da Pages: hanno infatti intenzione di aprire una casa editrice dedicata ai giovani scrittori esordienti siriani. Hanno anche una socia turca, Zeynap Sevde Paksu, che ha spiegato alla radio americana NPR che uno degli obiettivi secondari della libreria è far conoscere meglio ai turchi i loro vicini siriani e smontare alcuni pregiudizi diffusi: per esempio molti turchi pensano che i siriani siano estremamente religiosi e quando vedono un libro scritto in arabo lo associano automaticamente a un testo sacro.

Hajo, che è anche un’illustratrice, organizza laboratori di disegno per i bambini del quartiere che hanno anche una funzione terapeutica, con la speranza di aiutare i bambini a svagarsi per un po’ e dimenticare le difficoltà che hanno dovuto affrontare a causa della guerra. Alkadri ha detto al New York Times che spera di tornare in Siria, dovesse pure aspettare 10 anni in Turchia. Nei primi sei mesi in cui Pages è stata aperta, quattro delle persone che ci lavoravano sono andate in Europa, come molti degli ex dipendenti di Bright Fingers.