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  • Mercoledì 22 luglio 2015

Quelli che uccisero Rodrigo Rojas

Due importanti ex ufficiali dell'esercito sono stati arrestati in Cile dopo le confessioni di un soldato su uno dei più noti crimini della dittatura militare

Un gruppo di fotografi durante la cerimonia per il trasferimento dei resti di Rodrigo Rojas, bruciato vivo nel 1986 sotto la dittatura di Pinochet, al Memorial del Detenido Desaparecido di Santiago del Cile, 23 agosto 2003 (VICTOR ROJAS/AFP/Getty Images)
Un gruppo di fotografi durante la cerimonia per il trasferimento dei resti di Rodrigo Rojas, bruciato vivo nel 1986 sotto la dittatura di Pinochet, al Memorial del Detenido Desaparecido di Santiago del Cile, 23 agosto 2003 (VICTOR ROJAS/AFP/Getty Images)

Martedì 21 luglio il giudice cileno Mario Carroza ha emesso un mandato di arresto nei confronti di due ex ufficiali dell’esercito e di altri cinque sottufficiali accusati a vario titolo di aver partecipato all’omicidio nel luglio del 1986 del fotografo Rodrigo Rojas (venne bruciato vivo) e di aver ferito gravemente l’attivista Carmen Gloria Quintana. L’omicidio avvenne durante una protesta a Santiago, la capitale del Cile, contro l’allora dittatore Augusto Pinochet ed è uno dei crimini più terribili dei molti commessi durante gli anni della dittatura cilena.

Il caso di Rodrigo Rojas è stato riaperto nel 2013, quando un’organizzazione per i diritti umani ha presentato per conto della famiglia una denuncia penale in Cile. Gli ex ufficiali erano i comandanti di due pattuglie militari presenti quel giorno: il tenente Julio Castañer e Iván Figueroa. Il comandante della terza pattuglia coinvolta, il tenente Pedro Fernández, è stato invece escluso dall’inchiesta perché già condannato per negligenza da un tribunale militare nel 1991. Il giudice che ha seguito le indagini non ha emesso mandati d’arresto nemmeno per i 17 soldati che formavano le pattuglie e che hanno già testimoniato di aver “semplicemente” obbedito agli ordini. Alla decisione degli arresti si è arrivati dopo che Fernando Guzmán, un soldato che all’epoca aveva 18 anni e che faceva parte di una delle tre pattuglie di Pinochet, ha deciso di raccontare cosa accadde quel giorno, parlando dei rimorsi di cui non è mai riuscito a liberarsi e della famiglia che nel frattempo lo ha lasciato.

Rodrigo Rojas, fotografo e studente di 19 anni alla Woodrow Wilson High School di Washington, era tornato in Cile nel maggio del 1986 per conoscere il suo paese di origine. Era nato in Cile, ma era cresciuto a Washington poiché la madre, Verónica De Negri era stata imprigionata, torturata ed espulsa dal paese dopo il colpo di stato dell’11 settembre del 1973 che aveva destituito Allende e portato al potere Pinochet. Nel 1977, con i due figli Rodrigo e Pablo, si era stabilita negli Stati Uniti.

(L’11 settembre del 1973, in Cile)

La mattina del 2 luglio del 1986 Rodrigo Rojas prese parte a una manifestazione indetta contro la dittatura in un quartiere operaio di Santiago. Tre pattuglie di militari intercettarono il gruppo di fotografi di cui Rojas faceva parte: quasi tutti riuscirono a fuggire ma Rodrigo Rojas e una studentessa, Carmen Gloria Quintana, che all’epoca aveva 18 anni, furono invece catturati. Quintana, che sopravvisse, raccontò che lei e Rojas vennero picchiati duramente, cosparsi di benzina e bruciati.

Fernando Guzmán ha testimoniato in tribunale che il comandante di una di queste divisioni, il tenente Castañer, dopo aver confiscato la macchina fotografica di Rojas, ordinò a un soldato di versare della benzina sui due ragazzi e che accese il fuoco lui stesso con un accendino. Guzmán ha anche raccontato di aver sentito il tenente Castañer dire al comandante di una terza pattuglia militare, il tenente Fernández, che fosse meglio ucciderli ma che Fernández si rifiutò. Castañer è attualmente un consigliere del capo di stato maggiore della divisione dell’esercito cileno a Punta Arenas, nell’estremo sud del paese, e fino al 2010 era un professore di scienze politiche all’Università di Magallanes: ha sempre negato una sua responsabilità nell’azione contro Rojas.

Guzmán ha raccontato che la pattuglia comandata dal tenente Fernández prese i due ragazzi e che li portò alla periferia di Santiago, scaricandoli in un fosso. Rodrigo Rojas e Carmen Gloria Quintana vennero trovati avvolti in due coperte da alcuni operai, furono portati in una stazione di polizia e poi in un ospedale. Entrambi avevano ustioni su oltre il 60 per cento del corpo, ma i funzionari del governo si rifiutarono di autorizzare il loro trasferimento in un diverso ospedale dove avrebbero potuto ricevere delle cure migliori. Alla madre di Rojas, la signora De Negri che nel frattempo era diventata un’attivista di Amnesty International, fu dapprima vietato di rientrare in Cile, ma grazie ad alcune organizzazioni per i diritti umani cileni e all’ambasciatore degli Stati Uniti in Cile, ricevette l’autorizzazione all’ingresso. Gli ultimi giorni di vita del figlio, li passò con lui. Rodrigo Rojas morì il 6 luglio del 1986.

Carmen Gloria Quintana sopravvisse, ma rimase gravemente sfigurata dalle ustioni: i due anni successivi al luglio 1986 li passò in ​​Canada per ricevere cure mediche e circa 40 operazioni chirurgiche. Più tardi prese una laurea in psicologia e si sposò. Lo scorso anno ha ricevuto un incarico dalla nuova presidente del paese Michelle Bachelet all’ambasciata cilena di Ottawa.

CARMEN GLORIA QUINTANA

Carmen Gloria Quintana nel settembre del 1989 (AP Photo/Santiago Llanquin)

Dopo l’uccisione di Rojas, l’esercito negò ogni coinvolgimento. Il generale Pinochet suggerì che i due ragazzi si fossero accidentalmente dati fuoco da soli con del materiale infiammabile che stavano trasportando per costruire le barricate. Più di due settimane dopo, l’esercito ammise la presenza sulla scena di diversi membri delle forze armate, continuando a sostenere però che Rodrigo Rojas e Carmen Gloria Quintana fossero responsabili delle loro stesse ustioni, e che i soldati li avessero avvolti nelle coperte per spegnere le fiamme sui loro corpi. Guzmán, l’ex soldato, ha invece testimoniato che i 17 militari che facevano parte delle pattuglie militari, lui compreso, vennero minacciati e istruiti dai loro comandanti sulla versione ufficiale della storia da fornire durante le indagini: «Abbiamo dovuto imparare a memoria le dichiarazioni che erano già state preparate» e «abbiamo anche dovuto fare dei sopralluoghi perché tutto corrispondesse».