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  • Domenica 6 febbraio 2011

Il rinnovamento del PD che non si vede

Bersani dice di aver ringiovanito il partito, ma in tv si vedono sempre gli stessi: ne abbiamo parlato con uno dei dirigenti invisibili

Matteo Mauri ha 40 anni, un’età in cui se sei un dirigente di partito in Italia, ti definiscono “giovane”. Quando la settimana scorsa una risposta di Pierluigi Bersani a Ballarò ha sollevato il problema della visibilità dei dirigenti “giovani” del Partito Democratico, Mauri ha scritto al Post alcune sue opinioni sulla questione, da cui è nata questa conversazione.

Quanti anni hai?
Gli anni sono 40 tondi tondi.
Durante i quali, già che c’ero, mi sono sposato, ho fatto due figlie e mi sono laureato (rigorosamente in quest’ordine).

Di cosa ti occupi nella Segreteria nazionale del PD?
Sono il responsabile di Trasporti, Infrastrutture e Casa. A Milano invece faccio il capogruppo in Provincia.
Nel 2004 sono stato eletto la prima volta e ho fatto poi l’Assessore nella Giunta Penati.
Prima, cosí sai tutto, ho fatto il Coordinatore della Segreteria e l’organizzatore regionale della Lombardia dei DS e del PD (con Maurizio Martina). Mi sono formato politicamente nella Sinistra giovanile, dove ho fatto il Segretario della Lombardia e l’organizzatore nazionale (1997-2001, periodo complicato). Per farti capire da dove vengo, che so bene come funziona un partito. Non sono uno improvvisato, pregi e difetti compresi.

Sei il il responsabile di Trasporti, Infrastrutture e Casa del secondo partito italiano. Non ti meraviglia che io non sappia cosa fai?
No, non mi meraviglia assolutamente. Purtroppo. Mi sarei stupito del contrario. Ma è molto colpa mia. Sono uno di quelli (tanti) che sgobbano parecchio, studiano, scrivono i documenti. E soprattutto non fanno polemiche sui giornali, non vendono notizie interne riservate per ingraziarsi i giornalisti per avere visibilità, non hanno santi in Paradiso. Sono uno di quelli che hanno in testa “il bene della ditta”.

È vero che Bersani ha fatto un lavoro di rinnovamento della dirigenza del PD?
Sì: nel senso che Bersani ha lavorato per un fortissimo rinnovamento e l’ha realizzato. Sia nella Segreteria nazionale che nei gruppi dirigenti locali. Era un processo già in atto ma lui l’ha rafforzato molto perché ci crede parecchio. Il paradosso è che nessuno glielo riconosce, la vicenda “rottamatori” docet.

Ma è un rinnovamento reale? Anche nelle decisioni?
È reale ma i nuovi non decidono le cose importanti. La Segreteria è un interessante luogo di confronto, non di decisione. I meccanismi decisionali sono altri. Ma non ci si può scandalizzare più di tanto. È sempre stato così. Non esiste un’età dell’oro. Sono tutte balle.

C’è una difficoltà dei “giovani” a conquistarsi uno spazio maggiore nel PD, ma non dovreste essere in grado di prendervelo da soli?
Certo. I galloni si devono conquistare sul campo. Nessuno regala niente, ed è giusto così. Io però credo che in giro ci sia tanta qualità e che si debba solo aiutarla un po’ a venire fuori, nell’interesse di tutti.
La Segreteria deve diventare più autorevole. Così non lo è abbastanza. Ma l’autorevolezza non la si compra al mercato. Si conquista nelle situazioni difficili, e allora mettiamo alla prova quelli e quelle che se la sentono. E qui non si tira indietro nessuno, te l’assicuro.

E quanto conta negli equilibri del potere la visibilità televisiva?
Conta. Non ci sono storie: non esisti se non vai in tv. Né tu, né le tue idee. È quello che ti dà autorevolezza, non solo nell’opinione pubblica, ma anche dentro il partito. Ci può piacere o no ma è così.

Tu sei mai andato a programmi televisivi sulle reti maggiori?
Sono andato solo una volta a una “tribuna elettorale” il pomeriggio su RAI2, per caso, non c’era nessun altro. Mi sono divertito e credo di aver fatto anche bene il mio mestiere. D’altronde le arene (vere arene) delle TV locali insegnano molte cose.

Perché solo a quella?
Perché non mi invitano. A me come a quasi nessun altro. Semplice.

Ma il PD fa qualcosa per mandare i nuovi in tv e far loro guadagnare maggior visibilità o no?
Credo di sì, ma evidentemente non é sufficiente. So per certo che c’é parecchia resistenza delle redazioni. Lo sbotto pubblico di Bersani lo dimostra. L’abitudine e il conservatorismo sono forti anche in TV e perciò se non si fa uno sforzo vero ci andranno sempre gli stessi. Punto.

Ma i responsabili dei programmi tv non fanno bene a temere che ospiti sconosciuti funzionino poco? Non credi che l’efficacia comunicativa e dialettica di leader esperti come Bersani, Bindi, Finocchiaro, Veltroni, D’Alema, Franceschini sia superiore a quella di voi della segreteria “giovane”?
Ma io capisco le ragioni di chi fa la televisione, conduce, decide le scalette e seleziona gli ospiti ogni giorno. Invitare sempre gli stessi è comodo, sicuro, dà garanzie di affidabilità, certo. È anche vero però che dopo un po’ annoia sapere già in anticipo cosa dirà questo, cosa risponderà quell’altro, come si indignerà il terzo, come si incazzerà quell’altro ancora…
Perché allora non fare uno sforzo in più per raccontare una storia che magari non sarà collaudata ma può essere molto interessante? Perché non correre il “rischio” di non sapere cosa uno dirà? Ormai certe trasmissioni sembrano un salotto di famiglia, ci si sente a casa, si conoscono tutti. Che palle, direi.

E chi se ne deve occupare?
La colpa non può essere certamente solo di chi fa informazione, ci mancherebbe. La politica e i partiti hanno la loro bella responsabilità. E quelli che in tv ci vanno sempre non vedono certo di buon occhio l’idea di saltare un giro una sera, ovvio. Io dico proviamo, se ospiti diversi non funzionano ce ne faremo una ragione e non li manderemo più. È anche nell’interesse del PD. Facciamo una cosa rivoluzionaria. Facciamo vedere agli italiani anche la faccia nuova di questo PD. Poi sceglieranno loro se gli piace o no (gli piace, gli piace).