Gasperini, Mancini e le regole non scritte

Sono successe due cose apparentemente minori e piccole ma in realtà piuttosto importanti per il mondo del calcio. O meglio, per il mondo che ruota intorno al calcio. Roberto Mancini: la storia è nota, alla fine di Napoli-Inter di Coppa Italia, l’allenatore neroazzurro va davanti alle telecamere e dice: «Il tecnico del Napoli, Sarri, mi ha chiamato frocio e finocchio, guardalinee e quarto uomo erano vicini e mi hanno detto “Lascia perdere”». Sarri ribatte: «Ma sì, l’avrò anche detto ma quello che ha sbagliato è lui: sono cose di campo, non devono essere raccontate». Mancini ha rotto una regola non scritta, una di quelle consuetudini che il mondo del calcio si porta avanti da sempre: quello che si dice in campo o negli spogliatoi deve rimanere segreto. Cioè tu in campo puoi dire a un giocatore di colore «Negro bastardo» e dovrebbe passare tutto sotto silenzio all’insegna del “Ma sì, sono cose che nella foga agonistica si dicono”.

Sono seguiti commenti e schieramenti (anche Berlusconi non si è astenuto dal dire che Sarri ha ragione, sono cose “di campo”). Ma soprattutto tutti si sono chiesti “Ma allora Mancini è gay?”. Per dire come siamo messi.

Diversa la storia di Gian Piero Gasperini, allenatore del Genoa. È andato in conferenza stampa e ha fatto il nome di tre capi tifosi del Genoa: «Ha detto, io se perde il Genoa sono triste, loro, se perde sono contenti». Ha fatto, Gasperini, una cosa che mai nessuno aveva fatto: ha attaccato gli ultras della sua squadra (solo Capello, ma quando era lontano, ad allenare in Russia, aveva denunciato la capacità di influenza sulle squadre che gli ultras hanno in Italia). Naturalmente la società è rimasta zitta. Guai.

Gasperini ha prodotto uno squarcio sui rapporti tra ultras, giocatori e società che tutti nel mondo del calcio conoscono. Che conoscono i giornalisti e anche tanti di quelli che frequentano gli spalti. Basta scorrere le cronache, ricordarsi di quando per esempio, nel 2004, le curve di Roma e Lazio fecero interrompere il derby sulla base di una notizia falsa (in quel caso dissero che un bambino era morto investito da un’auto della polizia, non era vero). Quella sera il capitano della Roma, Francesco Totti, disse: «Se non interrompiamo la partita questi poi ci rovineranno la vita». La partita fu interrotta. Altro caso: a Bari i giocatori raccontarono ai giudici, e non certo spontaneamente, che i capi ultras li avevano obbligati a perdere una partita per una questione di scommesse. I capi della curva erano inseriti nell’organizzazione delle scommesse clandestine. È una cosa che soprattutto nelle grandi città è ormai consolidata: la criminalità organizzata ha preso possesso delle curve. Dalle curve il potere dei capi ultras si estende sui giocatori e sulle società: le curve prendono posizione contro o a favore di quel dirigente, contro o a favore di quell’allenatore, la cui “durata” sulla panchina di una squadra dipende anche dal suo rapporto con gli ultras. E non è un mistero che spesso quando un nuovo allenatore arriva in città si debba sottoporre a una sorta di ok da parte dei capi ultras. Che sia una telefonata, un incontro, una stretta di mano: l’allenatore deve essere presentato anche al “dirigente” della curva.

Per non parlare dei giocatori, spesso amici o soci di capi delle curve. E quindi, troppo spesso, a volte anche ingenuamente, contigui ad affari non puliti.

C’è un video famoso che già fu postato in queste pagine: un capo ultras del Piacenza sgrida e dà ordini ai giocatori sul campo d’allenamento. Senza che nessuno si sogni di intervenire.

Ce ne sono a decine di vicende così. Ciascuno a suo modo, con storie diverse, Gasperini e Mancini hanno rotto leggi non scritte: di certe cose non si parla. Loro l’hanno fatto. La vicenda Mancini si è conclusa: Sarri si è preso due giornate di squalifica, nelle sue parole, ha ragionato il Giudice sportivo, non c’è discriminazione. In pratica, siccome Mancini è eterosessuale si è trattato di un’offesa semplice. No, non c’è da ridere, la motivazione è quella. Il caso Gasperini invece è in evoluzione: certo è che la sua vita, come allenatore del Genoa, non è e non sarà facile.

Stefano Nazzi

Stefano Nazzi fa il giornalista.