Yara e le parole al vento

Due giorni fa il sottosegretario all’attuazione del programma, Daniela Santanché, ha detto: «Dopo la vicenda della piccola Yara i magistrati dovrebbero dimettersi». E poi: «Se avessero impiegato per le ricerche le stesse risorse e tecnologie che hanno speso per indagare sulle ragazze dell’Olgettina, forse Yara sarebbe ancora viva». La Procura di Bergamo ha risposto ieri: «Crediamo che l’onorevole Santanché di fronte a questo tragico evento abbia perso una buona occasione per restare in silenzio, come ha fatto quest’ufficio dal 26 novembre 2010».

Non è che si debba per forza prendere le parti dei magistrati, però…

Però dal 26 novembre, giorno della scomparsa di Yara Gambirasio, c’è stato nella zona intorno a Brembate di Sopra un dispiegamento di mezzi senza precedenti. Sono state controllate decine di celle telefoniche, analizzato tutto ciò che era stato registrato dalle videocamere della zona quella sera, sono state interrogate centinaia di persone, vagliate migliaia di segnalazioni e di lettere anonime. Si è indagato ovunque, partendo da zero, ma proprio da zero, se non da vaghissime segnalazioni risultate poi poco concrete. I volontari, con la polizia e i carabinieri, hanno battuto un’area vasta 400 chilometri quadrati.

Yara è stata trovata 90 giorni dopo la scomparsa. Questa è la storia. Ci sono stati errori, anche gravi, come il fermo di Mohammed Fikri, rilasciato dopo 48 ore perché non c’entrava proprio nulla. Ma mezzi, tecnologie, risorse sono stati utilizzati, eccome. E poi, sarà pure retorica, ma centinaia di persone, poliziotti, magistrati, volontari hanno speso ogni energia possibile nelle indagini e nelle ricerche, se ne sono fatti un’ossessione, come era giusto e normale che fosse. La speranza di riportare a casa Yara viva ce l’avevano davvero. Ma Yara era morta, e lo era, molto probabilmente (ma lo diranno con certezza gli esami) subito dopo essere scomparsa. Il resto sono chiacchiere ed enormità.

Stefano Nazzi

Stefano Nazzi fa il giornalista.