Tavecchio e il mondo parallelo del calcio

Dovessimo applicare le leggi della politica, a Carlo Tavecchio non daremmo chances. Nessuno, di questi tempi, potrebbe reggere uno stillicidio così lungo – fino all’11 agosto, primo voto per la presidenza della Figc – di attacchi, critiche, delegittimazioni anche internazionali, dalla Fifa fino alla Commissione europea, passando per il parlamento, coi social network che colpiscono senza tregua.
Il calcio però è un pianeta a parte. È la sua caratteristica più inquietante ma anche la vera forza di chi lo governa. Basta alzare lo sguardo, dal piccolo Tavecchio a Sepp Blatter, l’uomo più odiato e contestato dello sport mondiale, per capire di che cosa stiamo parlando. Le dinamiche di questo universo parallelo seguono logiche proprie, scaturiscono da relazioni di potere e tra poteri (soldi, tv, sponsor) inaccessibili e perfino incomprensibili ai più.

In questo senso, la vicenda Tavecchio è un vero scontro di civiltà. Una frase assurda ma perfettamente ammissibile nell’universo chiuso del calcio fa corto circuito con una realtà e una società ormai distanti anni luce. E il grande navigatore dei dilettanti si ritrova scaraventato nella fornace della rete, dei video virali, degli hashtag, in una bufera mediatica che lo disorienta perché non s’era mai scatenata, con tanta forza, in una vicenda di governo sportivo.

Questo è un problema anche per la politica, soprattutto per un governo targato Matteo Renzi.
Nell’Italia che vuole «cambiare verso» il calcio non può rimanere un mondo a parte. Berlusconi vendeva un’identificazione artificiosa e lucente mentre il calcio si gonfiava in dimensioni e vizi. Il premier pop, l’ex arbitro, giocatore dilettante, sindaco tifoso che accompagna i figli all’allenamento non può permettersi di lasciare nelle mani di dirigenti di un’altra epoca fenomeni e problemi come la violenza degli ultras, il razzismo delle curve, l’assegnazione opaca dei diritti tv.
Naturalmente il governo non c’entra con la Figc. Ma il concetto di indipendenza dello sport copre tante ipocrisie e non può essere alibi per perpetuare una separatezza anacronistica. Vedremo se Tavecchio saprà conquistare il suo trofeo, nel fortino assediato. Se mancherà il quorum alto richiesto nei primi scrutini, la distanza tra calcio e politica inevitabilmente si accorcerà, e sia pure indirettamente Renzi potrà provare a cambiare qualcosa anche nel più impenetrabile dei poteri nazionali.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.