Il patto Renzi-Berlusconi regge ancora

Dicono: il testo di riforma del senato proposto da Renzi e Boschi è stato accolto solo grazie ai voti determinanti di Berlusconi. Che detta così suona male, però non è una notizia. Perché è dal giorno del patto del Nazareno, comunque lo si giudichi, che riforma elettorale e riforme costituzionali si reggono sul sostegno dichiarato e indispensabile di Forza Italia.
Casomai la notizia è che sono trascorsi oltre tre mesi e mezzo da quel 18 gennaio, e l’accordo Renzi-Berlusconi regge ancora.
Anzi regge a tutto, se si pensa a quanto è cambiato nel frattempo lo status dei due contraenti; a quante ostilità si sono palesate all’interno dei rispettivi partiti; a quanto è stata forte l’opposizione di chi è fuori dal patto; a quanto hanno frenato coloro che, nella maggioranza, condividono poco sia dell’Italicum che del senato non elettivo. E se si pensa infine che i primi voti sulle riforme si sono svolti già nel clima duro e sfavorevole della campagna elettorale europea.
Avversari e critici sottolineano che, proprio per tutte queste contrarietà (e per la cattiva qualità dei testi), né la legge elettorale né le riforme costituzionali hanno compiuto passi decisivi in parlamento.
È vero, nulla di decisivo o irrevocabile s’è consumato. Nessuno degli obiettivi di Renzi su questo fronte è a portata di mano. È però vero anche l’opposto. Possiamo evitare di chiamarli gufi, ma fin da un’ora dopo l’accordo del Nazareno un esercito di politici, commentatori ed esperti ha recitato a giorni alterni il de profundis delle riforme renziane. Il blitzkrieg s’è trasformato – com’era inevitabile e soprattutto giusto – in un percorso parlamentare complesso, con i suoi tempi, aperto a modifiche e cambi di rotta. Da oggi sospeso, saggiamente, fino al consumarsi della conta elettorale. Ma mai spezzato, interrotto o rovesciato rispetto alla sostanza delle intenzioni iniziali.
Il patto regge perché reggono i suoi quattro pilastri politici: la determinazione di Renzi, la convenienza di Berlusconi, il sostegno di Napolitano, un certificato e ampio consenso popolare che nessuno può permettersi di ignorare.
Quella che Renzi chiama Rivoluzione sarà ancora un’incompiuta – com’era verosimile che fosse alla data odierna, visto che questa particolare Bastiglia non cade per un colpo di cannone ma dopo doppia lettura in entrambe le camere a tre mesi di distanza. In compenso diciamocelo, che tranne che nei desideri di qualcuno, di Restaurazione non c’è traccia.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.