A cosa serve la crisi del M5S

È difficile farsi un’idea precisa sugli effetti del terremoto Cinquestelle. Alcuni scenari possono però essere esclusi, alcune scommesse destinate a fallire.
La prima è quella di Beppe Grillo, che sulle note arboriane di «meno siamo meglio stiamo» annuncia che espulsioni, dimissioni e allontanamenti faranno più forte e coeso il M5S. Non so se Grillo si illuda o voglia illudere, ma chiunque abbia esperienza di dinamiche di movimento sa che non andrà così. Una volta innescata, la spirale di scomuniche e ritorsioni non si ferma, nessuno si salva, il processo degenerativo del gruppo degli eletti può solo aggravarsi.

Lo spettacolo inquietante dell’assemblea di senatori e deputati di martedì non lascia dubbi, più per i toni disperati di quelli destinati a giudicare e (per ora) a restare, che per l’autodifesa dei processati. In un anno di parlamento, mentre alcuni leaderini emergevano, la qualità media di questo improvvisato ceto politico è rimasta scadente. Com’era inevitabile visto il metodo di selezione. Di qui il disorientamento, la sofferenza, la voglia di lasciare congelata dai privilegi fortunosamente conquistati.

Va detto però che sbaglierebbe anche chi facesse chissà quali ipotesi politiche appoggiandosi su scissioni e secessioni. I dissidenti potranno anche, prima o poi, rientrare nel gioco parlamentare, magari anche rimpolpando l’esigua attuale maggioranza al senato. Non rappresentano però nulla e nessuno. Saranno solo la personificazione del fallimento di M5S e dell’orrenda reazione staliniana che ne sta seguendo: esplosa con la promessa della democrazia dal basso, l’utopia grillina si trasforma in incubo totalitario bruciando i tempi dei suoi ben più potenti precedenti storici.

Infine, il rimbalzo elettorale: non dipenderà dalle scissioni, né nel bene né nel male. Il M5S è destinato a non esistere in alcun caso a livello locale e amministrativo, ed è destinato a soffrire in elezioni invece favorevoli come quelle europee solo se ci sarà qualche agente politico esterno a colpirlo, a succhiare consenso non tanto denunciando la mancata democrazia interna (tema che ahimé non appassiona gli elettori, come dimostrano vent’anni di Berlusconi) quanto consegnando agli italiani una parte di quegli obiettivi concreti che venivano urlati da Grillo dall’alto dei suoi palchi nel tempo perduto del sogno a Cinquestelle.
Neanche a dirlo, Matteo Renzi è lì soprattutto per questo.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.