I democratici, il ministro e le carceri

Fra un mese Anna Maria Cancellieri sarà ancora al suo posto. È facile previsione, perché la sua posizione è stata blindata politicamente da Letta, con l’avallo pieno del Pdl. E perché oggi il ministro sarà presumibilmente in grado di convincere i senatori del Pd della correttezza formale del proprio operato di capo anche dell’amministrazione carceraria.

In verità spero che Cancellieri sappia tirare fuori qualcosa di più.
Spero che il ministro esibisca davanti ai critici le prove di un comportamento che a quel punto dovrebbe strappare l’applauso, come le è capitato al congresso dei radicali italiani (gente esigente in materia). Le sarebbe dovuto, se dimostrasse che davvero ha risposto non solo alla telefonata di un’amica ma anche a decine di lettere di persone qualsiasi, a segnalazioni di famiglie disperate, ad appelli di madri e figli, in favore di detenuti rimasti schiacciati dalla macchina carceraria più feroce tra quelle dei paesi sedicenti civilizzati. Il parlamento a quel punto dovrebbe riconoscere che non sono molti i ministri di giustizia che si siano mai presi un simile carico, e rinnovare a Cancellieri fiducia e stima, pur restando fermo il fastidio per la relazione speciale venuta alla luce grazie a una tempestiva intercettazione telefonica. Se il ministro non sarà capace di portare quelle prove, la sfiducia contro di lei non arriverà lo stesso ma sarà giusto annoverare anche lei nella schiera dei mediocri politici adusi a raccomandazioni e trattamenti di favore: brutta fine, per un servitore dello stato.

In ogni caso, certo di chi avrò come ministro fra un mese, continuerò a chiedermi invece con quale Pd avrò a che fare fra un mese. Perché nella vicenda Cancellieri sono di nuovo affiorati – anche fra i “giovani” che si candidano a guidarlo – atteggiamenti strumentali e subalternità culturale, la voglia di surfare sull’onda dell’indignazione facile, la riluttanza a prendere di petto i mali strutturali che l’attualità ci pone di fronte, e che in questo caso si chiamano abuso della carcerazione preventiva, eccesso di pene detentive, disattenzione (o peggio) di magistrati inquirenti e giudicanti, sovraffollamento e degrado degli istituti.
Sono questi i fattori, non episodici, che fanno della giustizia italiana una giustizia di classe che non dà scampo ai poveracci. Magari si risolvesse tutto non rispondendo al telefono ai Ligresti. Ma vallo a spiegare ai giovani indignati democratici.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.