Attenti, fin qui era un capolavoro

Oltre tre milioni di persone alle urne domenica 25. Sei milioni davanti alla tv mercoledì sera. Altri milioni di spettatori per ogni tg e talk-show degli ultimi mesi. Più le donne e gli uomini in carne e ossa che hanno affollato le sale della campagna dei cinque candidati. I cittadini. Gli elettori. Coloro ai quali il centrosinistra ha voluto consegnarsi, e vuole continuare a farlo, e dai quali ha ricevuto una risposta entusiasta. «Una bella cosa», ha ripetuto spesso Bersani.

Come si poteva pensare che, spalancato il portone della sovranità, i cittadini non volessero continuare a varcarlo in questi giorni di ballottaggio, quando il confronto raggiunge, interessa e appassiona tante persone in più? Altri italiani, anche loro reali o potenziali elettori del Pd come quelli delle file del 25 novembre. Italiani che potrebbero anche fare la differenza, a marzo, fra un successo risicato e una vittoria ampia e decisiva.

Avendo scritto mesi fa che regole troppo rigide non avrebbero fatto l’interesse del Pd, e avendone trovato conferma nell’aggiustamento delle regole stesse fino al trionfo della partecipazione al primo turno, è ovvio che ci piacerebbe avere dopodomani ai seggi più dei tre milioni già visti. Del resto sembravano pensarla tutti così: più gente c’è, meglio è per il centrosinistra. Non meglio per uno dei candidati, come dimostra il successo di Bersani nell’elettorato d’opinione, rimarcato dai suoi.

Ieri all’errore di un regolamento ristretto poi allargato poi definitivamente ristretto s’è aggiunto da parte di Renzi l’errore grave di voler forzare la situazione non solo con un appello per le nuove iscrizioni, bensì con un mezzo raggiro. Una pessima idea (nata dopo un acceso scambio telefonico tra sindaco e segretario), il cui rimbalzo polemico rischia di far dimenticare all’opinione pubblica la felice serata su RaiUno rispedendo il Pd nel purgatorio delle liti permanenti.

Se questa bufera non si placasse, entrambi ci rimetterebbero. Bersani forse vincerebbe con un margine più rassicurante ma con due limitazioni serie: l’ombra delle polemiche e una maggioranza calcolata su una base più ristretta di quella del 25 novembre. Renzi, dopo esser salito al rango di leader, sarebbe ridimensionato a quello antipatico di sfasciacarrozze. A chi conviene distruggere il capolavoro politico e comunicativo di quel dibattito (seguito dal teledramma Pdl) e di due mesi di miracolo democratico?

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.