Meno taxi per tutti

Una cosa è sicura: non è quella dei taxi la più importante delle liberalizzazioni. E non sono certo i tassisti il potere forte da piegare per vincere la guerra di un mercato più aperto, più libero, più conveniente per i consumatori.

I tassisti hanno però questa specialissima capacità di porre se stessi al centro degli scontri politici più accesi, con i toni più aggressivi, con l’atteggiamento più oltranzista. E dopo le mobilitazioni storiche contro Rutelli-Tocci a Roma (quando ebbero dalla loro anche un certo Veltroni, allora segretario Ds) e contro Bersani ministro, eccoci di nuovo al redde rationem. Sempre con gli stessi metodi: al semplice annuncio di un intervento nel loro settore, le sigle e i sindacati (con la confusione tra i due concetti tipica delle corporazioni) convocano adunate, promettono serrate, lanciano editti. E naturalmente si rifanno vivi con partiti o pezzi di partiti: l’area grigia fra la categoria e la politica è popolata di personaggi e di patti elettorali, sempre un po’ più spudorati di quanto avvenga per altre corporazioni meno plebee.

Le relazioni con la politica, la presenza sul territorio, l’essere diventati un emblema. Ecco perché la battaglia sui taxi sarà così importante per Monti e per Passera, che pure stanno per mettere mano a ben altri potentati: per esempio i distributori di carburante e le assicurazioni, solo per citarne due che i tassisti dovrebbero conoscere bene e non considerare particolarmente amici.

I tassisti possono avanzare delle ragioni ma stavolta rischiano. A causa di pochi di loro, sono appesantiti da una pessima fama, soprattutto a Roma, fatta di minacce fra colleghi e truffe ai clienti. E poi ora si candidano come campioni di una resistenza al cambiamento che invece gli utenti chiedono.

In vista della loro serrata di lunedì 23, è stata lanciata in rete l’idea di una protesta degli utenti (su Twitter la chiamano #menotaxipertutti). Una cosa del genere non è mai riuscita. Fin qui politici e amministratori liberalizzatori sono sempre stati lasciati soli (e sconfitti). Vediamo se al professor Monti andrà meglio. Noi speriamo di sì.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.