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  • Lunedì 5 marzo 2012

La pubblicità e il gioco d’azzardo

di Emanuele Nenna

Il gioco d’azzardo come le sigarette, si dice in questi giorni. È legale, porta un sacco di soldi nelle tasche dello Stato, ma fa male alla salute. Quindi vale tutto, ma non la pubblicità. Questa posizione di alcuni opinion leader e esponenti politici, mi lascia molti dubbi. Prima di tutto, perché qualche differenza tra gratta e vinci e fumo probabilmente c’è. Il fumo nuoce al fisico dei fumatori, credo non ci sia più nessuno pronto a difendere tesi opposte. Il fumo è veleno. Il gioco: dipende. Può essere innocuo o pericoloso. L’abuso di gioco può uccidere, così come l’abuso di alcol, di zucchero, di velocità, di notti insonni. Ma non è questo il punto. Il punto è il ruolo della pubblicità in tutto questo. E qui il discorso si allarga.

La pubblicità ha un ruolo commerciale (aiutare le aziende a vendere i loro marchi e i loro prodotti) ma anche un ruolo sociale. Bill Bernbach, uno dei più grandi pubblicitari di sempre, diceva: “Tutti noi che utilizziamo professionalmente i mass media diamo forma alla società. La possiamo volgarizzare. La possiamo violentare. O possiamo aiutarla a salire ad un livello più alto.” Vero oggi più che mai. Quindi è giusto che la pubblicità si prenda le sue responsabilità. Che dica la verità. Che proponga modelli positivi, e condanni quelli più vili. Che non istighi ad andare a 300 km all’ora, a sparare alle persone, a distruggersi di birra o whisky, a rovinarsi con il lotto. E magari –oltre a non fare – che faccia qualcosa di buono, in termini educativi. Proponendo buoni esempi. Ma attenzione: il buon esempio non è necessariamente l’astemio. Il buon esempio è quello che, per una sera, rinuncia a guidare perché è “designeted driver”, mentre tutti i suoi amici si godono una Budweiser, senza essere i cattivi della storia.

E allora, invece di pensare di proibire la pubblicità di un prodotto legale, invece di ispirarsi a modelli proibizionisti -che di solito non funzionano un granché – chiediamo ai pubblicitari di fare bene il loro mestiere. Se proprio non ci fidiamo, controlliamoli per evitare che sbaglino mira. Se siamo così preoccupati, mettiamo regole più precise di quelle che già ci sono. Come succede, ad esempio, per le campagne dei prodotti farmaceutici, che passano preventivamente al vaglio del ministero.

Io sono convinto, però, che se i creativi e le agenzie di pubblicità (e mi metto naturalmente dentro al gruppo) si faranno davvero carico delle loro responsabilità , sapranno rispettare il loro manifesto deontologico e la loro etica professionale e umana, potranno con le loro idee e le loro campagne contribuire a una società migliore. Anche su temi delicati come quello del gioco, dell’alcol e – già che ci siamo – del rispetto del corpo umano e della dignità delle persone. Forse è un sogno. Ma, come recita una recente campagna incriminata, io dico: lasciatemi sognare.

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