Lady Gaga, diversamente da Sheena, non è una punk rocker

Intendiamoci. Non che non ne avrebbe le caratteristiche. Anzi. Devo ammettere che ieri sera all’inizio di quella meravigliosa baracconata che è stato il suo concerto milanese, ad un certo punto ho pensato: urca, che gesto da punk rocker. E’ stato quando una fan le ha lanciato sul palco una Barbie e mentre lo scrivo mi viene anche il dubbio che forse non era una fan, forse era tutto preparato, anzi, sicuramente era tutto preparato, ma vabbè il gesto rimane. Comunque, Lady Gaga si trova con questa Barbie in mano e cosa fa? Le stacca la testa a morsi e quasi se la ingoia, dicendo: “la Barbie rappresenta tutto ciò che odio”. Non ci vuole Germaine Greer per capire il significato fortemente femminista del gesto, unito poi al fatto che durante tutto il concerto Lady Gaga parla, parla tantissimo, e quello che dice sono tutti discorsi su quanto a scuola fosse sfigata e “nerdy” e anche probabilmente molto bruttina perché lei suonava in una band e cantava e faceva insomma un sacco di cose che non prevedevano solo comprare bei vestiti, andare alle feste o dal parrucchiere e anche qui non ci vuole una laurea per rintracciare, nell’adolescenza che racconta lei, similitudini con l’adolescenza di tutta una serie di signorine che, come lei e prima di lei, si erano messe in testa di fare quello che da fino a poco prima facevano solo i maschi: prendere in mano delle chitarre e suonare. Ma suonare rumorosamente. Spaccarle, anche, le chitarre. Fare le punk, insomma. Perché che Lady Gaga sappia suonare non c’è dubbio: sa persino cantare, e molto bene. E insomma, per un lasso di tempo che è andato dal morso alla testa della Barbie a quando Gaga si è seduta al piano, nella mia testa questo post era tutto un inno alla punk rockitudine della Germanotta e a quanto lei rappresenti l’ultimo anello della scala evolutiva che parte dal fenomeno delle riot grrrl di Olympia passando per Courtney Love e arrivando a Beth Ditto.  Ragazzacce rock, bruttine che hanno avuto successo, femministe con il corredo di lesbismo e attivismo politico, esattamente lo stesso che si porta dietro Gaga. Fino al momento in cui si è seduta al piano, dicevo. Perché lì, con voce strepitosa, ha attaccato un brano che non conoscevo, lento, molto bello e come ha fatto spesso in altre occasioni, ne ha cambiato il testo, usando la canzone per ringraziare qualcuno, citandolo come – vado a braccio – “l’uomo che ha sempre creduto in me”, “una persona meravigliosa a cui devo tantissimo” , “lui che stasera è qui tra noi”. E a quel punto ha detto: Mister Giorgio Armani. Giuro. Ora, tralasciando il fatto che solo pochi mesi fa Lady Gaga era quella che più si era disperata per la morte di Alexander McQueen e ci aveva fatto piangere tutti con quel suo “I miss you so bad, Lee” cantato al piano – oh che coincidenza – in occasione dei Brit Awards, tralasciando quindi il cattivo gusto di essere già saltata sul carro di un altro stilista, quello che mi è venuto in mentre lei andava avanti per buoni quindici minuti – giuro – declamando le meraviglie dell’italianstail e reggggiorgio  e tutte quelle cavolate lì è  un’intervista a Courtney Love uscita questa estate. Quella in cui racconta di quando, nel 1993, Marc Jacobs mandò in omaggio a lei e a Kurt Cobain la sua intera collezione primavera-estate, quella ispirata al grunge, alle camicie di flanella portate sopra le magliette a maniche lunghe come faceva lui, ai baby doll, ai pantaloni del pigiama, ai cardigan di lana. Lei e Kurt – invece di ringraziarlo – le diedero fuoco: “We burned it. We were punkers, we didn’t like that kind of thing.”

Simona Siri

Vive a New York con un marito e un cane. Fa la giornalista e ha scritto due libri: Lamento di una maggiorata (Tea, 2012) e Vogliamo la favola (Tea, 2013). Segue la politica americana, il cinema e le serie tv. Ama molto l'Italia e gli italiani, ma l'ha capito solo quando si è trasferita negli Usa.