Doti e antidoti

Mi piace usare spesso questa metafora: ci sono libri, articoli, teorie, opere d’arte che servono da doti e altri che servono da antidoti. Le doti sono le fondamenta del nostro modo di leggere il mondo. Gli antidoti sono l’opposto: questionano, pungolano, e ci mettono in crisi.

C’è un famoso motto latino, spesso attribuito a Tommaso d’Aquino, che dice “Cave hominem unius libri”, cioè “Diffidate dell’uomo di un solo libro”. Lo si interpreta normalmente così: che chi ha letto un solo libro—chi ha appreso una sola dottrina o un solo punto di vista—rischia di fare danni. La mia metafora di doti e antidoti funziona grossomodo così, ma si estende anche a chi di libri o teorie ne ha lette dozzine, ma senza coltivarne gli antidoti. Il problema non è aver letto un libro o cento; il problema è aver letto solo libri che ti danno ragione.

Coltivare gli antidoti non è timidezza intellettuale o esitazione o cerchiobottismo. Le doti, se sono buone doti, vanno difese e praticate con vigore. Coltivare gli antidoti vuol dire saggiare e temprare le doti; scovare quelle più fragili, rafforzare quelle altre. Significa ricordarsi della propria fallibilità, non affezionarsi troppo alle proprie credenze, scegliere sempre l’idea che ci convince piuttosto che quella a cui siamo leali o semplicemente abituati.

Le idee che crescono a contatto coi loro antidoti crescono forti e libere. Anche ai migliori capita d’impigrirsi, di restare legati a un argomento o a una teoria solo per via della lunga frequentazione e della scarsa voglia di mettersi in discussione. Gli antidoti servono a questo: sono una medicina contro la pigrizia intellettuale.

L’abitudine agli antidoti ci vaccina anche contro la vanità ideologica. Sapete quando state litigando su una questione e a un certo punto vi accorgete di avere torto, ma l’orgoglio v’impedisce di ammetterlo? C’è chi rimane incastrato così per una vita intera. Come si fa a rinnegare argomenti e teorie propinate e difese per anni e anni, anche se ci si è accorti che sono sciocchezze?

Ma se per tutti quegli anni, invece, si sono frequentati i giusti antidoti, e ne si è offerto qualche assaggio agli interlocutori, l’orgoglio non è granché ferito. Dopotutto, vi siete sempre mostrati criticamente curiosi. Non uomini e donne di un solo libro—o di sole doti; ma conoscitori di antidoti.

L’orgoglio, anzi, è proprio quello di chi riconsidera, mette alla prova, allena, ristruttura le proprie idee sul mondo. Coltivare quella vanità intellettuale è il trucco: esseri fieri del metodo, del saper cambiare idea, del giocare d’antidoto—non di questa o quella particolare teoria, di questa o quella convinzione.

La storia delle doti e degli antidoti non è affatto una storia di ironia, distacco, arguzia. Gli intellettuali sempre in bilico tra il serio e il faceto, sempre witty, che non prendono mai sul serio quel che dicono perché sarebbe inaccettabilmente noioso o ingenuo o poco sofisticato—ecco, quelli non sono i coltivatori di antidoti che ho in mente, perché non hanno doti da pungolare coi loro antidoti.

Gli ideali pensatori che difendo prendono invece le cose piuttosto sul serio e non hanno paura di confessarsi sentimentalmente coinvolti—a differenza degli arguti battutisti, terrorizzati dalla prospettiva di difendere una tesi che non sia una stroncatura, meglio ancora se sarcastica.

Per essere un coltivatore di antidoti, devi prima essere un appassionato cercatore di doti. Se conosci solo antidoti non sei tanto diverso da chi conosce solo doti. L’irremovibile predicatore delle sole doti e il brillante dandy dei soli antidoti sono entrambi compiaciuti ripetitori di un solo libro.

Coltivare gli antidoti, infine, non vuol dire semplicemente accostare contraddizioni meccanicamente, solo per gustare il contrasto o agitare un dubbio. Ci si deve credere un pochino, all’antidoto; serve una certa dose di sentimento. Quel tanto che basta perché l’inoculazione contro le certezze pigre faccia effetto.

Allora i migliori consigli di lettura sono consigli di doti e di antidoti. E i migliori insegnanti che ci possa capitare di avere, sono gli istruttori di doti e di antidoti. E forse anche nel sistemare i nostri libri sugli scaffali e nell’ordinare i bookmark e le cose da leggere sulla questione del momento, dovremmo sempre abbinare il coraggio delle doti al gusto degli antidoti.

Qualcuno di voi avrà le sue liste e qualcuno no. Ma bisognerebbe averne. Almeno degli abbozzi, degli scarabocchi, degli appunti a cui tornare, barrare, cancellare, riscrivere. Quantomeno, se proprio non si è pronti ad avere una lista coraggiosa di doti e antidoti, un appuntamento mentale per provare a esaminare la faccenda. Che poi è una faccenda molto personale.

Qualche settimana fa è morto Sir Roger Scruton, filosofo inglese, conservatore, tradizionalista, notevolissimo antidoto per il mio vigoroso spirito razionalista. C’è questo suo passo, scritto nel 1982, che è una difesa del “pregiudizio” sull’esempio di Edmund Burke. Scrive Scruton che “le nostre credenze più necessarie” non possono essere giustificate razionalmente e se proviamo a giustificarle con un nostro ragionamento razionale le indeboliamo “proprio perché sono giustificate da noi stessi”.

Un’idea insomma è più debole se giustificata soltanto da noi e dal nostro ragionare. È più forte e necessaria, invece, se trova la sua giustificazione profonda e potente nelle tradizioni del passato, nell’esperienza della vita sociale, negli istinti più radicati. Se è giustificata da qualcosa di esterno e più grande di noi stessi. Come i pregiudizi, appunto.

Che teoria sbagliata (e neppure la peggiore di Scruton). Ma un ottimo antidoto, che coltivo con un certo sentimento. Come il rifiuto radicale e distruttivo di Bartleby; o la pazienza empiricamente sballata di Giobbe; il pessimismo di John Gray, il Mercoledi delle Ceneri di Eliot, i metodi investigativi dell’Agente Cooper; Ishmael che va per strada a far saltare il cappello ai passanti; l’amore represso di Newland Archer e quello di Clive Durham; il misticismo ermetico di Terrence Malick; e tante altre teorie difettose e sbagliate e persino nocive che non ho lo spazio di elencare. Idee sbagliate e antidoti prediletti.

Diffidate di chi non è appassionato a nessuna sua idea. E diffidate di chi, prima di raccontarvi della sua appassionata idea, non sappia presentarvi un antidoto che gli susciti un po’ di sentimento.

Roberto Tallarita

Studia cose tra diritto e economia, ma ha sempre il cruccio della filosofia. Ha vissuto in Sicilia, a Roma, a New York, a Milano; e ora a Cambridge, Massachusetts. Gli piacciono i libri, i paesaggi americani, e le discussioni sui massimi sistemi. Scrive cose che nessuno gli ha richiesto sin dalla più tenera età. Twitter: @r_tallarita