E se fossimo rimasti a corto di idee?

Dagli anni 1970 in giù, l’Occidente sembra aver rallentato la sua corsa. La fantascienza degli anni 1960 sognava che nel ventunesimo secolo avremmo avuto automobili volanti, colonie su altri pianeti, robot con l’intelligenza degli umani, e viaggi turistici in astronave. Non abbiamo nulla di tutto questo, lo sappiamo, ma soprattutto non sembra che le trasformazioni tecnologiche degli ultimi decenni siano in grado di assicurarci i livelli di crescita di cui hanno goduto le generazioni precedenti.

In un libello di successo di qualche anno fa, Tyler Cowen, professore di economia alla George Mason University, scriveva che per molti decenni l’economia americana aveva goduto con grande facilità dei frutti dell’innovazione tecnologica ma ora, all’inizio del ventunesimo secolo, si trovava bloccata. I frutti maturi e facili da raccogliere erano finiti.

Nel periodo tra il 1880 e il 1940, numerosi avanzamenti tecnologici hanno migliorato significativamente reddito e qualità della vita delle persone: elettricità, luce elettrica, motori a scoppio, aeroplani, telefono, impianti idraulici in casa, macchinari per l’agricoltura, e tante altre cose che hanno trasformato la vita di tutti i giorni e moltiplicato il benessere collettivo.

Internet, l’iPhone e le innovazioni recenti, invece, hanno creato un sacco di storie, intrattenimento, stimoli intellettuali e emozioni, ma in termini di reddito, occupazione e PIL non sono paragonabili alle industrie innovative del novecento. Per fare un esempio, oggi Google (un gigante globale) impiega 88.000 persone; la Fiat (un’azienda locale) alla fine degli anni 1960 aveva 158.000 dipendenti.

Nel 2016, Robert Gordon, economista della Northwestern University, ha pubblicato un’opera imponente e importante dedicata al declino della crescita economica negli Stati Uniti. Gordon ripercorre la trasformazione del tenore di vita degli americani dalla fine dell’ottocento in avanti e propone l’idea che la crescita economica non sia un processo stabile e costante e che i tassi di crescita registrati tra il 1870 e il 1970 siano stati il frutto straordinario di una serie di invenzioni realizzate alla fine dell’ottocento. Finito l’effetto di quelle invenzioni, il cammino della crescita è tornato a un passo più fiacco. Secondo Gordon, questa crescita pigra è la normalità mentre il progresso formidabile del “secolo speciale” era basato su caratteristiche uniche e irripetibili.

Insomma, la stagione di crescita conclusasi non molto tempo fa sarebbe stata una fortunata eccezione nella storia dell’umanità. E dobbiamo abituarci al fatto che non sarà più così.

Un nuovo studio di quattro economisti di Stanford e MIT – Bloom, Jones, Van Reenen, e Webb – porta nuove prove a favore di questa tesi deprimente. L’articolo si chiede se è diventato più difficile trovare nuove idee e risponde di sì: in molti ambiti studiati dagli autori (dai microchip all’agricoltura, dalla ricerca sul cancro a quella sulle malattie cardiovascolari), la produttività della ricerca sta subendo da anni un declino significativo.

Un esempio emblematico riguarda la famosa Legge di Moore, secondo cui il numero di transistor che è possibile mettere in un circuito integrato (un modo per descrivere la potenza di calcolo di un computer) raddoppia grossomodo ogni due anni. Bloom e gli altri misurano il numero di ricercatori necessario per ottenere questo famoso raddoppiamento e scoprono che dal 1971 la quantità di ricerca necessaria per tenere il passo con la Legge di Moore è aumentato di 18 volte. In altre parole, oggi raddoppiare la densità di transistor su un circuito è 18 volte più difficile che nel 1971.

Un altro esempio è la ricerca farmaceutica. Gli autori misurano la produttività della ricerca in questo campo calcolando i soldi spesi dalle aziende farmaceutiche per la ricerca e lo sviluppo di nuove molecole e il numero di molecole approvate dalla FDA, l’autorità americana del farmaco. Anche qui, il numero di ricercatori necessario per sviluppare nuovi farmaci è andato crescendo.

Un altro esempio ancora è la ricerca medica su specifiche malattie. Bloom e i suoi coautori misurano il numero di pubblicazioni scientifiche ed esperimenti clinici, dal 1975 in poi, sul tumore in generale e sul tumore al seno in particolare, e lo confrontano con la diminuzione della mortalità per quelle specifiche malattie a cinque anni dalla diagnosi. Ancora una volta, la quantità di ricerca necessaria per allungare la vita di chi ha avuto una diagnosi di quel tipo aumenta significativamente a partire dalla metà degli anni 1980.

Ovviamente, come in ogni studio empirico, ci sono tanti limiti e cautele da tenere in conto. Ma sembrano esserci prove convincenti che trovare nuove idee sta diventando sempre più difficile e poiché il progresso è basato sulle idee, be’, la notizia è preoccupante.

Dobbiamo disperarci? Nessuno può dirlo. Se avessero chiesto una previsione per il futuro ai migliori studiosi subito prima della seconda rivoluzione industriale, nessuno avrebbe potuto indovinare l’incredibile esplosione di invenzioni e crescita che si sarebbe verificata nei decenni successivi. Il progresso ha rallentato, certo. Ma l’invenzione che fa riesplodere la sua corsa potrebbe essere dietro l’angolo e nessuno può saperlo finché non succede per davvero.

Roberto Tallarita

Studia cose tra diritto e economia, ma ha sempre il cruccio della filosofia. Ha vissuto in Sicilia, a Roma, a New York, a Milano; e ora a Cambridge, Massachusetts. Gli piacciono i libri, i paesaggi americani, e le discussioni sui massimi sistemi. Scrive cose che nessuno gli ha richiesto sin dalla più tenera età. Twitter: @r_tallarita