Drink Babe

Che cosa succede se un Instagrammer famosissimo (e discutibilissimo) si mette a fare il vino? Breve storia. Due punti e a capo.

Thefatjewish è un personaggio americano seguitissimo, uno da 3 milioni di follower e un account da matto. Grasso e ebreo (è uno che si dà un nome così, per capirci). A un certo punto capisce, non essendo stupido, che la sua fama online ha una scadenza. Che smetteranno di invitarlo qui e lì pagato, che i social network hanno un ciclo breve (vi ricordate Twitter?), e che insomma c’è da cavalcare l’onda del successo e mettere su un business che gli sopravviva. E, pensa te, decide di mettersi a fare vino.

Non essendo esattamente l’intellettuale italiano sulla sessantina con la casa in Toscana, quello che si mette a fare non è il vino (di cui non gli importa nulla) ma esattamente il contrario di quello che per noi è, il vino. In sostanza smonta l’idea di vino.
Prima cosa: lo chiama BABE. Un nome evidentemente perfetto per una marca di intimo. Seconda cosa: non si capisce esattamente che vino è. Un rosé, pare. Uvaggio, annata, quelle cose lì, non si sanno. Terza cosa: non c’è la bottiglia, che nel vino è un’icona. È in lattina (in lattina?!). Sì, in lattina. Tipo una Coca-Cola.

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È chiaro che già così, non siamo più nel terreno da gioco del vino. Guardi la lattina, leggi BABE, e sei da un’altra parte. Non pensi nemmeno di berlo a tavola, in un ristorante, e forse nemmeno in pizzeria. Sei in un terreno che è una cosa a metà fra una Redbull e una birra, forse sei allo stadio, o a una festa su un terrazzo.

E la comunicazione è quella (più da birra). È stupida, naive, provocatoria, persino tamarra. Interamente costruita e pensata per Instagram, ovviamente.
Pure la grafica, se si pensa alle etichette dei vini italiani, che sembrano degli inviti a un matrimonio a Caserta, con gli stemmi, e i font graziati. BABE invece è rosa, minimalissima, con un bold condensed che nemmeno Ibiza. Perché non serve per farti fare una elegante cena a tavola coi parenti, è lì per farti fare altro.

Ed è da donna. Anzi: è donna. È femminile, provocatorio, malizioso.
E così anche quello che in aziendalese si chiama “brand experience”: da noi sono vitigni, cascine, e foto di contadini, Babe invece è tutto in piscina e al mare. Donne in costume, party, e Emily Ratajkowski come testimonial. Perfetta tra l’altro: con la lattina BABE.

Ora, è chiaro che la stragrande maggioranza storce il naso, e pensa “dove andremo a finire”. La frase che oramai si sente a tutte le cene. Ed è altrettanto chiaro che c’è una furbizia e un cinismo, dietro l’operazione. Eppure è impossibile non vedere che il tratto dell’operazione ha del talento. Invece di entrare in un mercato, e guadagnarti il tuo spazio, te ne inventi uno nuovo. Non devi convincere che la tua bottiglia di vino (l’ennesima) è più buona degli altri, e sarà perfetta a tavola. Non devi provare a entrare nel mercato affollatissimo del vino. Non devi comprarti il terreno, la cascina, e pagare l’enologo. Ti inventi uno spazio nuovo, dove ci sei solo tu, e dove il vino è perfetto per le feste, lo stadio, o in macchina. Stappi, e via. Già senti il suono. In un colpo solo quella che poteva essere una battaglia a sgomitare in spazi piccoli, diventa una partita in un campo aperto.

E così lui (thefatjewish) è passato dall’essere un personaggio un po’ da circo mediatico, a imprenditore di successo. Chapeux. È una storia bella, oggettivamente, per quanto piccola.
Ora, appunto, è una storia piccola, per cui non è nemmeno giusto darle troppa importanza. Ma è una storia notevole e alcune cose le insegna. Provo a dirne giusto due, per non tirarla lunga.

La prima: in moltissimi mondi (i libri, le barche, la moda, il calcio, i giornali) stiamo assistendo a un certo “involgarimento” che ci fa ritrarre indispettiti. Lì dove c’era un galateo, una tradizione, un’eleganza, sempre più vince un tratto invece elementare, barbaro, quasi rozzo. E ci dispiace. Chiaramente nella stragrande maggioranza dei casi, è un involgarimento e basta, un abbassamento (per lo più dovuto a un ampliamento dei mercati per soddisfare fasce più “basse”) che toglie qualità, senza aggiungere nulla (il Tavernello, per capirci). Invece in alcuni casi, come questo, il tratto barbaro effettivamente sposta qualcosa, allarga il campo da gioco, e libera delle energie. Per cui non storciamo il naso sempre, alle volte quell’imbarbarimento ha uno slancio.

La seconda: nella stragrande maggioranza dei casi queste mosse a sparigliare le fanno gli outsider. Gente che non è cresciuta in quel mondo. Prendi uno che non è mai andato in barca, fagli disegnare una barca, e vedrai che qualcosa di buono ne viene fuori. Per lo stesso motivo per cui lo smartphone l’ha inventato la Apple (e non Nokia), e il treno è venuto in mente a quelli che facevano le miniere. È come se ci volessero ingredienti diversi, per inventare partite diverse. Una certa furba verginità, per ridisegnarne il campo. E cervelli venuti da altri mondi, per immaginarne di nuovi.

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Roberto Marone

È nato a Napoli nel lontanissimo 1983. Ha fatto il progettista e il giornalista. Ha fondato e dirige oTTo.