Benny Hill e il senso del comico

Sto leggendo “Funny, Peculiar”, di Mark Lewisohn, una vecchia biografia di Benny Hill. Sì, il comico inglese che si vedeva tra uno sketch e l’altro di Drive In, negli anni ’80. Quell’uomo cicciottello, con la faccia da monello troppo cresciuto, che inseguiva ragazze scosciate o scollate in giardinetti inglesi e finiva preso a ombrellate da una vecchietta, o manganellato da un poliziotto, o inseguito da una folla arrabbiata in sequenze a velocità doppia, come in una vecchia comica. E la comicità di Benny Hill è datata, anzi: nasce datata. Facce buffe in primo piano, smorfie, classici double-take

Un’insalata di comicità fisica che ha fatto ridere mezzo mondo negli anni ’70 e ’80. Odiata e rimossa nel Regno Unito, amatissima nel resto del mondo. Sto leggendo una biografia di Benny Hill perché è un libro affascinante e molto triste. La storia di un comico ricco e famoso che vive da solo in un appartamentino molto squallidamente inglese e molto frugale – e muore lì, solo, davanti alla TV, per un attacco di cuore: nessuno se ne accorge se non dopo due giorni, perché Benny Hill non si è mai sposato e aveva pochissimi amici. Anzi, per un simile baluardo della comicità scollacciata, pare avesse enormi problemi non dico col sesso, ma proprio con l’intimità in generale, con le relazioni umane. Un uomo tremendamente timido e solo. Che però faceva ridere. In un modo per nulla sofisticato, ma faceva ridere.

Leggendo di Benny Hill ho ripensato al discorso sesso-e-comicità, sull’onda delle recenti notizie su Pepé Le Pew “cancellato” dal film di prossima uscita Space Jam 2 perché presunto sostenitore di una “cultura dello stupro”. Naturalmente, anche Benny Hill è stato marchiato come sessista.

Io invece credo ci sia un equivoco a monte. La comicità di questi due casi a me non sembra davvero misogina. Perché la comicità, in un certo senso, non può essere davvero misogina.

Un comico, in quanto tale, fa quasi sempre ridere per le sue sciagure, le sue incapacità, le sue mancanze, i suoi disastri. Anche – soprattutto – con le donne. Il vagabondo di Chaplin non era un rubacuori, anzi. Neanche Buster Keaton. Un comico non può essere in una posizione di potere rispetto a una donna perché, semplicemente, non farebbe ridere. Un comico che fa tanto sesso e umilia le donne non si vede quasi mai. Perché sarebbe triste. Non farebbe ridere. Noi, invece, ridiamo perché il comico NON ha fortuna con le donne, NON sa parlare con loro, NON sa fare bella figura. Semmai, ridiamo del fatto che lui CREDA di fare bella figura.

Pepé Le Pew fa ridere perché CREDE di essere un dongiovanni irresistibile. E invece è una puzzola. Quindi la nostra simpatia è chiaramente per la gatta che, per qualche equivoco, sembra una puzzola, ma vuole solo fuggire. La figlia del creatore di Pepé, quel genio assoluto dell’animazione che fu Chuck Jones, dice esattamente questo, nell’unico contributo di buon senso alla questione: i cartoni animati raccontano “how much he stunk as a suitor, despite thinking he was desirable.” Pepé “puzza” non solo materialmente, ma anche metaforicamente: “fa schifo” come corteggiatore, ma pensa di essere desiderabile.

Poi ci saranno anche momenti che risentono della considerazione dei sessi negli anni ’50 e ’60, certo. Ma non ridiamo della donna: ridiamo della stupidità dell’uomo. E dei suoi appetiti, rivelati nella loro patetica instancabilità. Pepé Le Pew è un idiota che non vede la realtà, lontano mille miglia dal modello che crede di incarnare. Non insegna agli uomini a pensare che “cinquanta volte no vuol dire sì”, bensì a dire: se chiedo cinquanta volte, e lei dice sempre no, e io continuo a insistere, non sono altro che un idiota. Anzi, una puzzola.

Stesso discorso per Benny Hill, il cui approccio alla sessualità è quello di un seienne (e probabilmente è sempre stato così anche nella vita, come dicevo): guarda ragazze appena appena svestite, fa UUUH e AAAH ma si becca uno schiaffone alla minima indiscrezione, e se anche riesce a imboscarsi con una di queste ragazze, arriva sempre una vecchietta o simili a interromperlo.

Il comico, per definizione, è in inferiorità rispetto alle donne. Per questo gli vogliamo bene. Perché in lui vediamo la nostra inadeguatezza, la nostra incapacità, la nostra paura di non piacere. Un impulso così universale che infatti, funziona anche a sessi invertiti: basti pensare alla carriera di un altro genio della comicità come Tina Fey. Se poi riesce davvero a conquistarne una, è perché il suo personaggio si evolve, migliora.

Jack Lemmon vuole provarci con Marilyn Monroe, in “A Qualcuno Piace Caldo”, ma fa solo figuracce. Tony Curtis ce la fa mentendo, è vero: ma è solo rivelandosi davvero, ammettendo di essere un suonatore di sassofono bugiardo e un po’ truffatore, che la conquista, nel prologo alla miglior battuta finale di sempre

Insomma: io Pepé Le Pew lo terrei, perché non mi piace cancellare nulla. Anzi: nella scena tagliata di Space Jam 2 pare si facesse ironia proprio su questo suo atteggiamento, oggi fuori dal tempo e considerato sessista. Persino l’attrice che avrebbe condiviso la scena con lui avrebbe voluto “essere quella che lo prendeva a schiaffi”. Insomma: si prendevano in giro sia il politicamente corretto che la stupidità maschile, che scaturisce da un impulso naturale, ma portato all’eccesso. Non glorifica tale impulso, non lo pone come unica cosa importante rispetto al consenso della donna (che chiaramente non c’è, nel suo caso): lo prende in giro. Lo ridicolizza. Lo demolisce, rivelandone il vero, patetico sottofondo.

Forse, invece, dovremmo chiederci come mai il nostro senso dell’ironia si sia atrofizzato così tanto, a furia di indignazioni, distinguo e politicamente corretto, da non capire che il comico mostra le nostre debolezze non per glorificarle, bensì per ridicolizzarle. Non siamo più in grado di leggere l’ironia, l’antifrasi, e poi capire che si sta dicendo una cosa per dire esattamente l’opposto. Tutto deve essere chiaro, fool-proof, “a prova di cretino”, come dicono gli americani. Tutto deve essere immediatamente comprensibile, “buono”, e senza neanche un ragionamento. Distruggendo ogni nuance, anche le più innocenti. Dimenticando che lo humor, forse, serve anche a ricordarci di non fare certe cose, di non diventare certe persone, di non avere certi atteggiamenti. Il comico è un mostro felice che prende in giro il mostro negli altri, ma soprattutto in tutti noi (Borat e Checco Zalone docent). Castigat ridendo mores, no?

Roberto Gagnor

Roberto Gagnor (Torino, 1977) scrive fumetti per Topolino dal 2003. È sceneggiatore e autore televisivo e radiofonico. Ha vinto il concorso Talenti in Corto con il suo ultimo cortometraggio, Il Numero di Sharon. Insegna sceneggiatura all’ICMA di Busto Arsizio e all'Accademia 09 di Milano.