Perché faremo (presto) Startup Italia

Ci sono importanti aggiornamenti dal fronte delle startup italiane. E un paio di chiarimenti da dare. Qualche giorno fa in un ampio resoconto su Repubblica avevo parlato di “una rivoluzione in corso”: quella di una generazione di giovani startupper (o di giovani dentro, visto che ci sono anche dei quarantenni), ancora lontani evidentemente dai riflettori dei media che parlano sempre dei tanti che purtroppo “non lavorano e non studiano” o di quelli che fanno del posto fisso una bandiera.
Possono le startup essere una alternativa, anzi un modello economico alternativo a quello che abbiamo sempre conosciuto? In tanti se lo sono chiesti dopo l’articolo “Startup, il futuro dell’Italia”. E la risposta è sì. Non si tratta di una risposta ideologica, ma legata ai numeri. E alla logica. Parto da una domanda: nell’attuale sistema economico c’è qualcuno che pensa che i grandi gruppi industriali nei prossimi anni faranno assunzioni di massa a tempo indeterminato? Qualcuno davvero immagina che Fiat, Eni, Enel e Telecom stiano per aumentare il numero dei dipendenti, o non è piuttosto vero il contrario? Questo fenomeno non è solo italiano ed è stato analizzato in profondità dalla Kaufmann Foundation in un report recente mai troppo studiato. Lì c’è la dimostrazione numerica che la crescita netta di posti di lavoro in questi anni negli Stati Uniti è stata provocata da un unico fattore: le startup, le nuove imprese, meglio se ad alto tasso di innovazione e tecnologia. Sono le startup la risposta alla mancata crescita economica che viviamo da un decennio almeno in Italia.
Altri mi hanno detto: sì ma non tutti possono fare una startup, non tutti hanno la cultura, i mezzi. Che devono fare queste persone? L’obiezione è sensata, ma la nascita di tante nuove startup crea occupazione per tutti. I dati che citavo nell’articolo, una previsione della Camera di Commercio di Monza per il primo trimestre 2012, sono eloquenti in questo senso: assieme ai 18 mila nuovi startupper ci sono 6 mila persone che saranno assunte in queste startup. Perché è poi vero che una startup ha nel suo dna un altissimo tasso di rischio, che il fallimento è dietro l’angolo; ma ne basta una che abbia successo per creare occupazione e crescita. L’esempio di Groupon Italia, con i 450 assunti in un anno e mezzo, è quello che più mi ha colpito, ma probabilmente ne esistono altri che non conosco.
Alcuni, anche autorevoli, mi hanno fatto una obiezione filosofica alla fotografia che faccio del fenomeno italiano: mi hanno detto che tra le righe si leggeva il solito invito ad andare via dall’Italia, a cercare fortuna in Silicon Valley, eccetera eccetera… E’ vero esattamente il contrario: a parte il caso di due startup con base in California (Doochoo e Mashape), tutte le altre che ho citato sono italiane. Le migliori sono italiane con una vocazione internazionale, ma in questo non c’è nulla di male, anzi. Più in generale ritengo che non ci sia mai stato un momento migliore di questo per provare a trasformare la propria idea in una impresa. “Why Italy Matters” è una bellissima presentazione che lo startupper Fabrizio Capobianco fa da qualche tempo in giro per il mondo: lui una decina di anni fa lasciò l’Italia perché si sentì dire che aveva buone idee ma era troppo giovane per fare business; allora ha creato una azienda di grandissimo successo in Silicon Valley, Funambol, ma lasciando il centro ricerche e sviluppo nella sua città natale, Pavia. Capobianco non lo ha fatto per nazionalismo, ma perché intimamente convinto che in fondo investire in una startup italiana convenga: siamo bravi. Siamo più bravi.
Ora si stanno creando le condizioni politiche per farne nascere tante di startup: la società semplificata a un euro per gli under 35 e i 50 milioni di euro destinati dal Fondo di investimento italiano al finanziamento dei venture capital, sono strumenti importanti e non sono gli unici.
Mi spiace non aver avuto modo di citare la storia di Capobianco nell’articolo di qualche giorno fa. Mi sono rimasti fuori altri due esempi importanti di come questo sia un fenomeno e non una moda. Il primo è Mind the bridge, ed è un progetto curato da Marco Marinucci che da qualche anno si occupa di creare un ponte fra i migliori startupper italiani e la Silicon Valley: dopo esordi faticosi, le ultime edizioni sono state un autentico successo e so per certo che i ragazzi che vanno per qualche mese a San Francisco da Marinucci tornano cresciuti e pronti.
L’altro è il progetto di Microsoft Italia che, nell’ambito di un piano nazionale più ampio di sostegno alla innovazione, sta selezionando mille startup per sostenerle per tre anni. Mille startup non solo solo un bel numero tondo: sono un numero enorme. Dove sono? Come farle venire allo scoperto? Come trovare un modo di metterle nelle migliori condizioni di crescere e competere sui mercati internazionali? Perché questo diventano le migliori startup: partono in un garage, anzi in Italia partono magari in uno spazio di coworking perché garage liberi non ce ne sono, e diventano aziende.
Questa settimana in proposito si sono registrate due notizie che spiegano bene come il sogno di un ragazzino in qualche anno possa diventare una cosa solida e concreta. La prima riguarda Docebo: è la società di Claudio Erba che ha sviluppato una piattaforma di elearning: ha un team di sviluppo a Napoli, accordi con molte università del mezzogiorno, ma viene usata da centinaia di migliaia di utenti in cinque continenti e venticinque lingue. Da sette anni cresce ininterrottamente e adesso è arrivato l’ingresso tra i soci di uno dei principali venture capital italiani: Principia II. Investimento 2,4 milioni di euro con i quali passare i servizi di Docebo sulla “cloud” e renderli disponibili a tutti non solo alle aziende.
La seconda notizia è arrivata subito dopo. Altri 2,5 milioni di euro che Principia II ha investito in Neodata “per sbarcare negli Stati Uniti e creare il quotidiano del futuro”: se non avete mai sentito parlare di Neodata, sappiate che è quel software che tra le altre cose è in grado di dirti in tempo reale come cambia il traffico del tuo sito se sposti la posizione di una certa notizia. Il fondatore di Neodata Giovanni Giuffrida ha subito annunciato l’apertura di una sede a Los Angeles con l’ingresso di dieci persone entro la fine dell’anno.
Insomma, parliamo di cose grosse. Ecco cosa diventano le migliori startup. Tante falliscono, ma alcune creano valore ed occupazione per tutti. Ora siamo ad un punto di svolta. Cosa accadrà con le società semplificate ad un euro? Difficile dirlo, io penso che avremo presto migliaia di nuove imprese. Penso che se il costo per traformare la tua idea in una azienda diventa un euro, la voglia di provarci crescerà infinitamente. Ci vorrebbe un piano per supportarli, questi startupper, un luogo, sulla rete, dove possono presentarsi al pubblico, imparare a fare un business plan, iscriversi agli eventi, incontrare i venture capital. Ci vorrebbe Startup Italia, un progetto come quello che Obama lanciò un anno fa negli Stati Uniti e che poi è stato adottato in tanti paesi del mondo. Lo facciamo? Non è una domanda, è un invito. Lo faremo. Con tutti, per tutti.

(post pubblicato da Repubblica Sera il 17 febbraio e riproposto qui per gentile concessione)

Riccardo Luna

Giornalista, sono stato il primo direttore dell'edizione italiana di Wired e il promotore della candidatura di Internet al Nobel per la Pace. Su Twitter sono @riccardowired Per segnalare storie di innovatori scrivetemi qui riccardoluna@ymail.com. La raccolta dei miei articoli per Wired è un social-ebook scaricabile da www.addeditore.it.