L’innovazione e la resistenza dei dinosauri

Ora che il Big Bang è passato, vorrei provare a fare un breve ragionamento su innovazione e politica, e sulla innovazione della politica. Come alcuni sapranno a Firenze c’ero anche io: ma soprattutto c’erano tante persone con cui in questi anni ho condiviso battaglie di innovazione vera: mi vengono in mente Catia Bastioli, Emiliano Cecchini e Guido Ghisolfi, tutti già presenti su Wired quando lo dirigevo; Stefano Quintarelli e Peter Kruger, compagni di Agenda Digitale; Luca Molinari con il quale condivisi il progetto del Padiglione Italia per la Biennale di Architettura; Aldo Pecora, leader di Ammazzatecitutti che ebbi ospite alla tappa di Working Capital di Palermo; infine Alessandro Baricco, che su Wired fu coverstory con i Barbari e che a Firenze ha fatto un discorso davvero notevole.

Li ricordo perchè è raro vedere tanti innovatori veri sullo stesso palco di una manifestazione politica.

Io ho parlato il sabato verso le 12 (qui il video). In estrema sintesi ho provato a far passare questi concetti: 1) siamo un paese di innovatori e se non lo sappiamo la colpa è anche del cattivo giornalismo; 2) invece di lamentarci del governo ladro, apriamo l’ombrello e proviamo a fare qualcosa di buono visto che molti ci riescono; 3) Internet è una grande piattaforma di innovazione, usiamo la rete!; 4) il progetto banda larga, con l’ingresso dei privati e il passo indietro del governo, creerà due Italie, una collegata sempre meglio e una fuori da tutto; 5) l’open government è la strada maestra per migliorare la qualità della politica (e ridurre il digital divide culturale); 6) gli innovatori non sono pochi ma nemmeno tanti, restando separati non ce la faremo mai a cambiare questo paese. Uniamoci!

Come si vede nei cinque minuti assegnati ce n’erano anche troppi di concetti (a me non ne sono bastati sette…). Prima di andare avanti vorrei rispondere alla domanda che alcuni mi hanno fatto: perché sei andato da Renzi? La prima risposta è questa: io, impegni permettendo, vado ovunque mi chiedano di parlare di innovazione, vado allo IAB davanti a tremila persone e nel piccolo teatro di un paesino in provincia di Trento che mi ha inondato di emozioni, vado alla StartCup della Calabria a Cosenza e al Working capital della Bocconi: e nei prossimi giorni sarò al teatro Valle occupato assieme al professor Maurizio Ferraris. Se qualcuno di questi tempi ha voglia di parlare di innovazione, io se posso ringrazio e vado.

Anche con i politici l’atteggiamento è lo stesso: ho fatto iniziative con i ministri Romani e Brunetta, ho portato Nicholas e Negroponte e Lawrence Lessig dal presidente della Camera Fini, ha partecipato ad una iniziativa con il segretario del Pd Bersani e con chiunque mi abbia invitato. Tra l’altro nei prossimi giorni ad una cosa che organizzo ho invitato sia il presidente della provincia di Roma Zingaretti a parlare del progetto Free Italia Wifi, che il ministro Brunetta per il portale dati.gov.it. Di solito c’è di meglio che parlare con i politici, ma se serve, se penso possa servire, lo faccio.

La prima risposta è questa ma in questo caso c’è qualcosa di più. Matteo Renzi in questo momento, lo hanno detto in molti anche coloro che lo detestano, riempie un vuoto: quello dove c’è una domanda crescente di rinnovamento della politica. Anzi di azzeramento della vecchia politica. Non è solo una questione di giovani e vecchi. Chi mi conosce ricorderà che per la prima copertina di Wired scelsi il volto di Rita Levi Montalcini che per me incarnava e incarna perfettamente i valori che dovrebbe avere la gioventù. Ma poi so benissimo che di solito i veri giovani sono i giovani, lo dice la storia, su questo non ci piove. Ma torniamo al rinnovamento della politica. I nostri attuali leader sono gli stessi da quasi 20 anni. Siamo un caso unico al mondo nelle democrazie occidentali. Dal 1993 ad oggi viviamo nello stesso film, è come andare a teatro e rivedere sempre la stessa compagnia di giro solo che nel frattempo gli attori sono invecchiati, le loro battute non fanno più ridere ed anzi ormai ci fanno proprio arrabbiare. Questa classe politica com’è noto è venuta fuori dalla fine della prima Repubblica, che pure portava con sé delle speranze di rinnovamento. Ma poi si è congelata. Una legge elettorale folle impedisce da anni qualunque novità ed anzi dà a chi comanda un potere infinito: quello di determinare con precisione quasi scientifica chi sarà eletto. Se abbiamo un Parlamento fatto in buona misura di vecchi leader, portaborse e raccomandati a vario titolo lo dobbiamo a questo e non lo scopro certo io. I danni sono evidenti: l’incompetenza produce disastri. A volte può produrre persino il default di una economia per tanti versi solidi come la nostra (#italiaresisti è il mio hashtag su twitter in questi giorni).

Fino a qualche tempo fa la situazione ha retto, ma ora i segnali di rottura sono tanti. E tra i tanti a me colpisce il fatto che quasi ogni volta che ci sono state le primarie (e quindi qui purtroppo parliamo solo del centro-sinistra, mentre sarebbero utilissime per tutti), ha vinto l’outsider e poi quell’outsider ha vinto anche le elezioni. Questi sono più che segnali, sono il preludio di una rivoluzione possibile.

E veniamo ad oggi. Io non so se Renzi sarà all’altezza delle grandi speranze che ha suscitato in una parte dell’elettorato, non solo di sinistra evidentemente. Non lo so e i 100 punti con cui ha chiuso la seconda Leopolda non mi sono sembrati una partenza felicissima (ma come mi ha detto un amico comune, non è il momento di guardare i nei sul volto di MR mentre gli altri ne fanno di tutti i colori: il sindaco si è dato tre mesi per far decollare un programma con il contributo di tutti dal basso: auguri sinceri).

Il merito di Renzi è comunque indubbio: dare voce ad una voglia di cambiamento totale, e ostentare fiducia nel fatto che non è vero che non esiste un ricambio, che i giovani non sono pronti ed altre balle simili. Questo merito di Renzi è secondo me in questa fase più importante dei limiti che a volte può dimostrare o delle eventuali contraddizioni di alcune posizioni politiche. In un paese dove se hai vent’anni ti dicono “sei troppo giovane per avere una buona idea”, prendere la posizione opposta, in qualche caso sarà anche esagerato. Ma è salutare. Fa bene a tutti. Rimette in circolazione energie che altrimenti sarebbero perdute.

Ma limitare il problema e la soluzione a Renzi sarebbe un errore. La situazione in cui si trova l’Italia è molto grave come si vede anche in queste ore e se anche il sindaco di Firenze fosse un fenomeno da solo non ce la potrebbe fare. C’è una espressione che mi ha molto colpito tra le tante cose ascoltate alla Leopolda. Non ricordo più chi ha detto che all’Italia serve “un leader diffuso”, cioè qualcuno che sia in ascolto continuo con il paese e con una rete di persone eccellenti, “perché un vero leader è colui che si circonda dei migliori”, colui che non ha paura di avere accanto persone migliori di sé.

E’ questo un concetto fondamentale secondo me e richiama quanto sostiene Luca Sofri nel suo libro “Un grande paese” quando dice che il nostro declino è iniziato quando abbiamo smesso di pensare che chi stavamo eleggendo doveva essere migliore di noi. Ora siamo passati all’eccesso opposto: la volgarità e la immoralità di molti politici secondo me non sono lo specchio del paese come dice qualcuno. Sono molto peggio. Io non vedo in giro persone col dito medio alzato, o che insultano le giornaliste e che fanno pernacchie se gli fai una domanda su un economista. Non ce li meritiamo.

“Se io fossi presidente del consiglio…” era il giochino che introduceva gli interventi della Leopolda. Se invece io fossi Bersani ma anche Berlusconi (lo capisco, è dura, ma facciamo uno sforzo di fantasia) direi: per motivi diversi abbiamo fallito, chi nel governare chi nel proporre una opposizione efficace; adesso porte aperte ai migliori, fatevi avanti, abbiamo bisogno di tutti per uscire da questa crisi, abbiamo bisogno della vostra intelligenza, della vostra passione, della vostra competenza. Fatevi sotto, porte aperte!

La vecchia classe politica invece di arroccarsi, come purtroppo farà, portandoci al voto a marzo con la vecchia legge elettorale per far eleggere qualche giovane portaborse fedele e spacciandolo per rinnovamento, dovrebbe darsi il compito di passare la mano accompagnando l’ingresso sulla scena di una nuova generazione di talenti.

Dovrebbero, per una volta, essere generosi con un Paese che molto gli ha dato: gli ha dato potere e li ha mantenuti trasformando un servizio civile, la politica, in un lavoro ben retribuito.

Ma, come ci ricordava uno degli slogan della Leopolda, “i dinosauri non si sono estinti da soli”.

Il vero Big Bang deve ancora arrivare.

Riccardo Luna

Giornalista, sono stato il primo direttore dell'edizione italiana di Wired e il promotore della candidatura di Internet al Nobel per la Pace. Su Twitter sono @riccardowired Per segnalare storie di innovatori scrivetemi qui riccardoluna@ymail.com. La raccolta dei miei articoli per Wired è un social-ebook scaricabile da www.addeditore.it.