Arles 2012: quel poco che c’era da vedere

Dopo una lunga assenza ricomincio da queste note sui Rencontres di Arles.

Dunque Arles, come ogni anno, certo. Quest’anno però c’era da vedere poco e da
pensare molto, nonostante le 60 mostre che rimarranno fino al 23 settembre prossimo.
Per carità, andate a vedere con i vostri occhi e magari qualcuno riuscirà a farmi cambiare
idea. Poche mostre interessanti e soprattutto, nessuna suggestione sullo sviluppo del linguaggio fotografico. Un’edizione piatta che ha cercato nel passato la sua vitalità. Un’edizione dedicata alla scuola francese, come se non fossero già abbastanza francocentrici, i soliti francesi.

Dunque la scuola francese, quella dell’ENSP fondata nel 1982 da Lucien Clergue che nel
corso di questi trenta anni ha formato fotografi e curatori. Una scuola che ha avuto tra i
suoi masters i migliori talenti e i più interessanti critici. Ciononostante l’effetto delle mostre e l’affollamento dei talenti francesi, molti dei quali a me del tutto sconosciuti, non rendeva giustizia a quello che, a mio parere, rimane il festival più interessante e più piacevole per guardare e capire la fotografia.

La mostra migliore ?
Quella sulla moda. Pensata, studiata e dunque capace di offrire un punto di vista. Di questo c’è bisogno. Di opinioni, di punti di vista, di idee e di pensiero originale. Vedere per credere anche in questa piccola selezione. La mostra (Mannequin – le corps de la mode, Musée Galliera) merita un bel percorso solitario anche per chi, come me, non si occupa di moda.

Una mostra da rivedere ?
Quella di Josef Koudelka, GYPSIES, che, se non potete o volete
arrivare ad Arles, potete vedere alla Fondazione Forma, a Milano, fino al 16 settembre. Stesse fotografie e stesso formato ma la differenza c’è, eccome. Però vale la pena, perché nessun lavoro è stato quanto questo, capace di dare una lezione e un’impronta al fotogiornalismo. Una lezione eterna della capacità di narrare e della ferma e tenace attenzione alla costruzione del racconto. La visione della maquette artigianale e originale, prima dell’avvento di in design e delle peripezie di Photoshop è un esempio mirabile di profondità, costanza, dedizione e volontà.

Per fortuna l’emozione arriva con la bella istallazione di Sophie Calle. Parte del suo
ultimo lavoro BLIND, fotografie e video a camera fissa. Guardate con gli occhi di un cieco.
Provate ad immaginare il suono del mondo e non poterlo vedere. Nel buio della Chapelle
Saint-Martin-du-Méjan di Arles si deve stare, ascoltare, attendere, osservare e si esce con
qualcosa in più. Mistero dell’arte. La galleria che offre l’allestimento di
Arles è questa.

Il resto sono chiacchiere e poca fotografia. Molte birre che vanificano le diete e molti amici da incontrare nelle strade di Arles durante la Nuit de l’Année che offre le proiezioni di giornali e agenzie. Salvo rare eccezioni, entrambi sempre più lontani dalla fotografia che suscita emozioni e pensieri.

Renata Ferri

Giornalista, photoeditor di "Io Donna" il femminile del "Corriere della Sera" e di "AMICA", il mensile di Rcs Mediagroup. Insegna, scrive, cura progetti editoriali ed espositivi di singoli autori e collettivi.