L’isola del passato

Il cimitero monumentale di Venezia è un’isola che sta per conto suo, nascosta dietro muri perimetrali bucati da finestrelle ornamentali. È a metà strada tra le rive nord di Venezia — le Fondamente Nove — e Murano. Chi ancora non lo sa può capire che quell’isola è un cimitero dalle punte dei cipressi che spuntano in lontananza, o dai battelli funebri che partono dalle camere mortuarie dell’Ospedale Santi Giovanni e Paolo, che sta proprio lì di fronte, o dalle chiese di Castello.

Al cimitero di San Michele non ci si può capitare per caso, perché a Venezia anche andare a mettere un fiore sulla tomba di qualcuno è più complicato che altrove. In tutta l’isola c’è solo un pontile in uso e per arrivarci c’è il vaporetto che va a Murano, o viceversa. I cancelli chiudono alle sei di sera nei mesi estivi e a metà pomeriggio nel resto dell’anno.

Venezia vista da San Michele (PC)

Una volta erano due isole separate: nell’Ottocento vennero unite su decreto napoleonico per dare alla città un unico grande cimitero (interrompendo così l’usanza di seppellire i morti dentro o attorno le chiese). All’interno delle mura c’è un dedalo di 150 mila metri quadrati diviso in recinti, sezioni, prati e selciati che ospita oltre 120 mila persone tra salme e resti, e tanti cognomi di veneziani noti come Scarpa, Basaglia, Tramontin, Penzo, Querini Stampalia e Donà dalle Rose.

La sua complessità è comune ai luoghi della laguna e andarci è un modo diverso di conoscere la città, sicuramente uno dei più intimi rimasti. A San Michele c’è quello che Venezia è stata in passato e quello che ha rappresentato per tanta gente — spesso straniera e non comune — che ci capitò e poi decise di non andarsene più, come John McAndrew, professore di storia dell’arte al Wellesley College di Boston, che quel sentimento se lo fece scrivere sulla lapide, in dialetto veneziano: «Venezia benedetta non te vogio più lasar». McAndrew lo aveva fatto capire anche in vita di sentirsi molto legato alla città. Dopo le alluvioni del 1966 fondò insieme alla moglie Betty l’organizzazione non profit Save Venice per aiutare a conservare il patrimonio artistico della città. Save Venice è attiva da allora e ha da poco compiuto cinquant’anni.

La tomba di John McAndrew (PC)

McAndrew fu sepolto nel recinto evangelico, nell’angolo orientale dell’isola, uno spazio ristretto e perennemente ombreggiato dai cipressi in cui si trovano le lapidi di tanti altri cittadini stranieri che scelsero di restare a Venezia, o che ci vennero riportati da familiari o amici che ne conoscevano passioni e desideri.

Lo scrittore russo Joseph Brodsky, premio Nobel per la letteratura, morì d’infarto nel suo studio all’Università di New York nel 1996. Vent’anni prima, da dissidente perseguitato per i contenuti delle sue opere, era stato messo davanti a due possibilità dal regime sovietico: l’esilio all’estero o una vita da condannato in patria. Scelse l’esilio, venne privato della cittadinanza e si trasferì negli Stati Uniti, tornando spesso a Venezia, in quel tratto di riva che diede il nome a uno dei suoi libri, Fondamenta degli Incurabili. Dall’esilio non tornò più in Russia — anche se agli inizi degli anni Novanta fu riabilitato — e perciò la moglie rifiutò quando le venne offerta la possibilità di seppellirlo a San Pietroburgo, sua città natale: non voleva fargli un torto, non conoscendo quali fossero state le sue intenzioni a riguardo. La soluzione arrivò quando colleghi ed amici proposero di seppellirlo a Venezia, idea a cui lo stesso Brodsky aveva accennato quando era in vita, anche nelle sue opere.

La lapide di Joseph Brodsky (PC)

Non lontano dalla casa che ospitò Brodsky trascorse gli ultimi anni di una vita piuttosto tormentata il poeta americano Ezra Pound, che morì il giorno di Ognissanti del 1972 e fu sepolto senza grandi indicazioni nel recinto evangelico. La sua lapide non è facile da trovare, perché non è altro che un piccolo pezzo di marmo posato a terra con inciso soltanto il nome, accanto a quello della compagna, la violinista americana Olga Rudge, che lo raggiunse ventiquattro anni dopo.

Il recinto evangelico trasuda storia e tante tombe sono lì da oltre due secoli. Di alcune
non c’è quasi più traccia, altre sono state stritolate dalle radici cresciute intorno e altre ancora stanno sprofondando nel terreno instabile della laguna, lo stesso per cui a Venezia non esiste un pavimento dritto. Potrebbe sembrare quasi un posto abbandonato, ma la gestione cimiteriale può intervenire autonomamente sulle tombe soltanto in casi urgenti: per farlo preventivamente ha bisogno delle autorizzazioni delle famiglie, che in molti casi non sono più rintracciabili.

(PC)

La lapide di Alice Harriet Hare, per esempio, sta sprofondando lentamente nel terreno, ma nessuno interverrà fino a quando sarà inevitabile. Hare era la figlia di un tenente colonnello scozzese dell’Impero britannico ed è a San Michele dal 1895. Si ammalò di tifo all’inizio del viaggio che l’avrebbe dovuta portare in India, dovette quindi fermarsi a Venezia e lì morì, a trent’anni. Quindici in meno ne aveva il pianista prodigio Carl Filtsch, tra gli allievi prediletti del compositore polacco Fryderyk Chopin, quando morì a Venezia poco dopo averla raggiunta per curarsi dalla tubercolosi. Come Filtsch, anche il fisico austriaco Christian Doppler morì di una malattia polmonare quando la città era parte del’Impero austro-ungarico.

La tomba di Alice Harriet Hare (PC)

Sul lato opposto del recinto evangelico, i fiori e i colori sempre nuovi sulla tomba del famoso allenatore di calcio Helenio Herrera, ritiratosi e morto a Venezia nel 1997, si notano anche da lontano. Bisogna invece avvicinarsi per vedere il trattino di pennarello indelebile con cui la moglie corresse l’anno di nascita — da 1916 a 1910 — dopo aver scoperto che «il mago», come Herrera era stato soprannominato per i suoi famosi metodi e le trovate innovative, si era ringiovanito di sei anni all’insaputa di tutti. La sua tomba è una riproduzione della Coppa dei Campioni, che con l’Inter vinse due volte consecutivamente, e una lapide che ne ripercorre la carriera, una specie di pagina Wikipedia incisa sul marmo.

La lapide di Helenio Herrera (PC)

Accanto al recinto evangelico c’è quello greco-ortodosso, un altro spazio silenzioso, vecchissimo e poco frequentato, se non dai visitatori alla ricerca delle tre tombe più suggestive dell’isola. Quel recinto è dove sono sepolti i tanti cittadini russi che nei secoli scorsi erano di casa a Venezia e che contribuirono ad arricchire il patrimonio artistico della città.

A Sergej Djagilev si deve l’esportazione del balletto russo, che nella prima metà del Novecento spopolò nei teatri di tutto il mondo. Per oltre trent’anni la sua compagnia riunì i ballerini russi più apprezzati, li fece rappresentare da opere promozionali commissionate a Picasso, Matisse e De Chirico, e danzare sulle musiche di Debussy, Prokofiev e Ravel. Un compositore in particolare legò però la sua carriera all’impresa di Djagilev: Igor Stravinsky, che dopo la caduta del regime degli zar nel 1917 era dovuto espatriare e aveva perso quasi tutto. Trovò inizialmente sostegno proprio nella compagnia del balletto russo, e da lì divenne famoso in tutto il mondo.

Anche Djagilev non fece più ritorno in Russia dopo la Rivoluzione d’ottobre, e il regime sovietico ne cancellò ogni traccia per oltre sessant’anni, dopo averlo additato come simbolo della «decadenza borghese». Quando morì di diabete, nel 1929, era all’Hotel des Bains al Lido di Venezia. Della sua sepoltura se ne occupò la stilista Coco Chanel, che fece costruire un capitello nel recinto ortodosso di San Michele. Per decenni Djagilev fu dimenticato in Russia, ma da quasi cent’anni, ogni anno, ballerini, coreografi e artisti tornano a Venezia per lasciare sulla sua tomba scarpette da ballo.

Le scarpette da ballo sulla tomba di Djagilev (PC)

Stravinsky morì a New York quarantadue anni dopo Djagilev. Alla moglie, Vera de Bosset, fu offerta la possibilità di seppellirlo nell’allora Leningrado — un po’ come accadde con Brodsky — ma questa rifiutò e lo portò nel recinto ortodosso di Venezia facendo richiesta di collocarlo il più vicino possibile a Djagilev. Quando arrivò da New York, i funerali si tennero in laguna e furono un evento storico, paragonati a quelli di un altro grande compositore, Richard Wagner, morto a Venezia nel 1883. La cerimonia e il corteo di gondole che portò la salma di Stravinsky dalla chiesa al cimitero furono trasmessi in diretta televisiva. Sulla tomba del compositore, che undici anni dopo fu affiancata da quella della moglie, è invece usanza appoggiare sassolini, monete o conchiglie per lasciare un segno della propria visita.

La tomba di Igor Stravinsky (PC)

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