La terra delle opportunità

Fin dalla sua più spudorata apparenza la Confederazione di Entrambe le Nazioni si manifestava come un’anomalia geografica. Quell’unione politica tra la Corona del Regno di Polonia e il Granducato di Lituania veniva retta da una monarchia senza alcuna autorità. Le spartizioni dei territori erano in mano a famiglie di nobili intente a esercitare una supremazia beatamente autonoma rispetto a quella del re. E a quel fare imperioso corrispondeva un credo, altrettanto caleidoscopico, insolitamente tollerato. Se i grandi signori polacchi erano cattolici, i contadini che lavoravano le loro terre si professavano greco ortodossi, mentre nel mezzo, prodigata in ogni genere di commercio, si muoveva una borghesia tedesca, luterana, ostile, fin da allora, alla concorrente comunità ebraica infelicemente sparsa su tutta la Confederazione.

Questa, senza chiedere permesso alcuno all’impero russo che la sorvegliava dall’alto, sul finire del diciottesimo secolo, in un disperato moto d’orgoglio, cercò il suo colpo di reni nelle riforme. Ma di fronte ai primi segnali di un suo insperato recupero, gli stati vicini, Prussia, Austria e Russia, firmarono un accordo segreto – il patto delle tre aquile nere – per lasciarla come stava, ripartendosi, anzi, le sue terre. Con la terza spartizione vennero prima istituiti, poi uniti i territori di Vilna e di Slonim che andarono a formare il Governatorato di Lituania, una gubernija dell’Impero Russo, con Vilnius come capoluogo.

Fu da qui che Abraham Jacob Bialoblotcky e sua moglie Rachel Leah Frezinsky, stanchi di rappresentare una minoranza all’interno di uno stato smarrito e ancora senza identità, presero armi e bagagli per cercare una patria ferma e definitiva. La trovarono nel Nuovo Mondo, a New York, dove accorciarono il nome, in Block, e allargarono la famiglia, grazie agli otto eredi nati dalla loro unione: Sarah, Frank, Sam, Leon, Eva, Fannie, Max e Alexander.

L’ultimo di questi venne alla luce il 15 luglio 1881, illuminato dai bagliori delle icone della nuova frontiera statunitense, Pat Garret e Billy the Kid, il giorno dopo l’uccisione del bandito. Era trascorso un lustro dall’ultima grande guerra sioux, stava sfebbrando la corsa all’oro, l’America stava andando incontro alla sua esplosione economica e iniziava già ad accogliere quell’ondata di immigrazione senza precedenti che sarebbe servita a fornire manodopera al suo nascente processo di industrializzazione.

In quei primi anni di vita il piccolo Block non fu in grado di percepire l’appassire di un’era e la rinascita di una nazione. Buffalo Bill si approssimava a regredire in un fenomeno da baraccone proprio mentre veniva inaugurato il ponte di Brooklyn e posta la prima pietra della Statua della Libertà. Quel periodo, che altrove veniva chiamato Belle Époque o età vittoriana, intorno a lui sarebbe stato etichettato Gilded Age, sarebbe stato spinto da un capitalismo cosciente guidato dall’alto e avrebbe incartato i suoi vent’anni.

Che un mondo era finito per far posto a un altro, Alexander Block ne ebbe consapevolezza una volta terminati i suoi studi alla Columbia University quando, nel 1907, quella terra delle opportunità gli permise di aprire una piccola farmacia in Fulton Street, a Brooklyn. Nel 1915 divenne grossista e nel 1925, acquisendo una partecipazione del cinquanta per cento nella Dental Manufacturing Company di Wernet, entrò nella produzione dei farmaci. Sei anni dopo, anche lui, come milioni di americani, abitò quel “New Deal” promosso dal presidente Franklin Delano Roosevelt per scavalcare le voragini della Grande Depressione. Fu allora, quando l’America riprese a sorridere, che si gettò a capofitto nel business dei prodotti per la cura dei denti. La fortuna di un uomo iniziava dalla sua buona propensione. Quella di Alexander Block si tradusse nel tutelare la firma degli ottimismi altrui. E il sorriso di un Paese si tramutò nel suo. Comprò la Antikamnia Remedy Company, lo spazzolino Pycopay e lo sciroppo per la tosse Romilar. L’insieme delle sue attività fu formalmente inscatolato in quella che chiamò Block Drug Company, Inc. Fu così che trovò le risorse necessarie per creare quello che sarebbe stato il più redditizio affare della sua vita: la polvere dentale Polident.

Già da qualche decennio Charles Goodyear e Luigi Noel Winderling erano riusciti a trovare nel caucciù il materiale ideale per la costruzione delle basi protesiche. La tecnica della vulcanizzazione si era rivelata una delle più importanti innovazioni nel campo dell’odontotecnica. Non solo le dentiere avevano trovato insperate basi di appoggio che potevano adattarsi all’anatomia del paziente, ma l’utilizzo della vulcanite era riuscita ad abbassare il prezzo delle dentiere di due terzi rispetto a quelle con la base in oro. Pertanto, qualunque americano che avesse posseduto un briciolo di risorse e avuto a cuore la cura del proprio aspetto fisico, prima o poi, si sarebbe dovuto rapportare con una dentiera da manutenere.

Fino a quel momento le protesi dentarie erano state pulite con acqua mescolata ad aceto, succo di limone o bicarbonato di sodio. Ma un lavaggio inadeguato poteva provocare cattivi odori e alito pesante. Il detergente di Alexander Block segnò una rivoluzione. Dopo la guerra, l’industriale si rivelò un pioniere anche nell’utilizzo degli spot televisivi che riuscirono a rendere familiari i suoi preparati a milioni di americani. La formidabile crescita della sua azienda permise ad Alexander di creare un’intera famiglia di prodotti attorno al nome Polident. Anche lui stesso se ne era costruita una. Si era sposato con Tillie Goetz, figlia di immigrati tedeschi, con la quale aveva messo al mondo tre figli, Melvin, Leonard e Betty. Quando nel 1953 morì, seguito due anni dopo dalla moglie, il suo impero passò a loro. Fu Leonard a prendere le redini. Alexander naturalmente aveva lasciato una quota anche alla sua unica figlia, Josephine Betty, da poco sposata con Alfred Roberts. Ma non poté godersela. Morì quattro mesi dopo il padre, a trentanove anni, lasciando senza madre il piccolo John Peter Roberts di soli otto anni.

La pubblicità rimase l’unica arma che Leonard avesse per compensare i divari con le grandi società farmaceutiche del suo Paese. «Fai attenzione al “respiro da protesi” – avvisava un riquadro del National Geographic –  il disturbo orale che deriva da una pulizia inadeguata. I denti falsi richiedono la cura di uno speciale detergente.  Polident è sicuro, facile, veloce, lasciando i tuoi denti finti puliti e freschi. Non dovrai più temere un “alito da protesi”». E milioni di americani, pur di avere un sorriso che brillasse e una bocca che emanasse freschezza, immersero ogni sera le loro protesi nel suo poderoso detergente per quindici minuti. Nel 1966 la Block Drug raddoppiò i messaggi. La campagna pubblicitaria arrivò a costare dieci milioni di dollari, il doppio dell’importo investito per la campagna presidenziale democratica del 1964. Questo la fece crescere ulteriormente.

Fu proprio in quel periodo che John Roberts, oramai maggiorenne, scoprì che sua madre aveva lasciato a lui e ai suoi fratelli una compartecipazione agli utili della società. All’età di ventuno anni, John ereditò così un quarto di milione di dollari. Non sapendo come spenderli, un giorno, insieme al suo amico Joel Rosenman, fece inserire un annuncio nella colonna “Opportunità commerciali” del Wall Street Journal:

«Giovani con capitale illimitato cercano affari leciti e interessanti».

Ricevettero settemila proposte. Una di queste sfociò nel progetto di uno studio di registrazione, a Woodstock, finanziato da un concerto.

Fu così che cominciò. Quel festival che sarebbe divenuto il simbolo più sfrenato della gioventù dei fiori nacque da un prodotto per pulire la dentiera.

Piero Trellini

Scrive per la Repubblica, La Stampa, Il Sole 24 Ore e Domani. Ha lavorato per Il Messaggero, il Manifesto, Sky e altri. Collabora con Nuovi Argomenti e Art e Dossier. Scrive serie televisive. Ha pubblicato “La partita” (Mondadori), “Danteide” (Bompiani), “L’Affaire” (Bompiani) e “La partita. Le immagini di Italia-Brasile” (Mondadori).
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