John Williams “copiò” il tema di Star Wars?

Partiture complesse, ritmi sovrapposti, una moltitudine di elementi melodici: è la ricchezza del suono tipico di John Williams. A lui forse dobbiamo riconoscere il merito di aver portato la colonna sonora da una posizione di commento a un ruolo di primo piano.
Possiamo per questo considerarlo un maestro? Un genio della musica da film? Curriculum e palmares parlerebbero per lui. Cinque Oscar (Il violinista sul tetto, 1971, Lo squalo, 1975, Star Wars, 1977, E.T. 1982, Schindler’s List, 1993), quarantanove nominations (è il secondo dopo Walt Disney), quattro Golden Globe (Lo squalo, 1975, Star Wars, 1977, E.T., 1982, Memorie di una Geisha, 2005), due Emmy (Heidi, 1968 e Jane Eyre, 1971), diciotto Grammy, tre saghe (Star Wars, Indiana Jones, Harry Potter), quattro Olimpiadi, tanta televisione (all’inizio), molte onorificenze. E naturalmente concerti e brani sinfonici.

I fan di tutto il mondo avevano accolto euforicamente la notizia che fosse ancora lui a occuparsi della colonna sonora dei capitoli settimo e ottavo della saga di Star Wars (Il risveglio della Forza e Gli ultimi Jedi). Perché solo lui poteva prendersene cura. Se qualcuno sente “Ta-ta-ta-taa-taa. Ta-ta-ta-taa-taa. Ta-ta-ta-taa-taa. Ta-ta–ta-taaa” pensa subito: “È John Williams”. Prima ancora ancora di Star Wars (il regista J. J. Abrams, chiamato a dirigere l’episodio uscito nel 2015, in una conferenza  – tenuta il 29 aprile 2013 per Star Trek – Into the Darkness – sperava proprio per questo di poterlo avere: “Perché lui c’era molto prima che ci fossi io”).

È vero, ha realizzato qualcosa di grande, qualcosa che si è impresso ormai nelle nostre teste, qualcosa che è entrato nel nostro immaginario mentale. Anzi, forse Williams è uno dei pochi ad essere riuscito a crearlo in ambito sonoro. E questo merito può già cucirselo sulla giacca. Ma fu vera gloria? La farina alla quale ha attinto è uscita solo dal suo personale bagaglio?

Il maestro delle “catastrofi”

Ammettiamolo, i sentimenti dei film catastrofici dei primi anni Settanta sono stati stregati solo dalle sue bacchette. È stato lui il vero regista del Poseidon che sprofondava nelle acque dell’Egeo, del Terremoto che fece tremare Los Angeles, dell’Inferno di Cristallo che incendiò i cuori più alti di San Francisco; l’uomo che ha scelto quando farci piangere, sussultare, tremare, palpitare a un semplice cambio di ritmo della sua bacchetta. Siamo sempre stati nelle sue mani, senza saperlo. Anche se a quei tempi non aveva ancora trovato il Williams’s Touch.

Nei tre anni successivi, invece, sembrò baciato da un talento divino. Che proveniva dalle acque profonde, quando la tensione pattinava a scatti sulle corde del violino, come se una sega lo stesse tagliando in due (Lo Squalo). O direttamente da altri mondi, mentre le cinque fatidiche note di Incontri ravvicinati del terzo tipo – “Pa-Pa-Pa-Pa-Pa” – salutavano [“H (Sol) – E (La) – L (Fa) – L (Fa) – O (Do)”] creature benevole venute dal cielo. Per non parlare dei fiati trionfanti che rincorrevano i voli di Superman, le corse di Indiana Jones, le piroette del Millenium Falcon.

Da allora George Lucas e Steven Spielberg lo hanno adottato senza abbandonarlo più, arrivando addirittura a farsi consegnare le colonne sonore prima ancora di scrivere il film (come accadde proprio con “Incontri ravvicinati”) per poi farsi suggestionare dalle sue note in fase di scrittura. John Williams, alla pari di uno Jedi, aveva scoperto il potere della (sua) Forza.

Cosa era accaduto?

Quando Lucas scelse Williams

Influenzato da Richard Wagner e Edward Elgar, era sempre stato considerato il più europeo tra gli autori di colonne sonore (sebbene nelle sue musiche, soprattutto quelle a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, si respirasse un’aria decisamente americana).
Quando George Lucas terminò il primo episodio di Star Wars iniziò a cercare un musicista in grado di ricreare le atmosfere degli studios hollywoodiani degli anni Quaranta, intuendo che la musica poteva rappresentare uno degli elementi chiave per il successo del suo film. L’ispirazione di Lucas arrivava infatti dalle composizioni classiche presenti nel film del 1938 The Adventure of Robin Hood. La sua era una scelta rischiosa e controcorrente. Negli anni della febbre del sabato sera, per musicare un film ambientato nel futuro sceglieva di guardare al passato. Non cercava una musica d’avanguardia, ma d’avventura. A un certo punto pensò di ricorrere a brani classici, come aveva fatto Stanley Kubrick in 2001: Odissea nello spazio, ma era indeciso. Contattò quindi l’amico Steven Spielberg. Lui gli consigliò John Williams al quale aveva affidato le musiche di The Jaws, gratificate poi da un Oscar.

E così George Lucas decise di mettere nelle sue mani il neonato Star Wars: “Voglio una partitura operistica, tardo romantica, alla Richard Strauss”. Williams, che passò tre giorni a visionare ogni scena del film, fece invece di testa sua e centrò il bersaglio andando a trovare in un colpo solo il suo stile, un successo di pubblico e di critica senza precedenti e la fama mondiale.
Secondo Williams l’universo di Star Wars catapultava lo spettatore in una nuova e incredibile dimensione, la musica pertanto doveva servire da connettore tra l’occhio e l’orecchio. E già dall’esplosione di ottoni, archi e percussioni dell’incipit di Star Wars Lucas intuì subito la svolta che Williams stava per dare al film.
Per arrivare a un simile traguardo compose in pochi giorni una colonna sonora di stampo classico pensando a William Walton e Igor Stravinsky. Ma non solo a loro. Già, perché John Williams non sarebbe stato John Williams (e Star Wars non sarebbe stata “Star Wars”) senza i pesanti debiti artistici che il compositore ebbe, e ancora oggi ha, nei confronti dei suoi colleghi predecessori.

Tutti i padri di Williams (e di Star Wars)

Il tema principale, a metà fra la marcia nuziale e la marcia militare, è fortemente debitore della composizione di Kings Row (1942), creato da Erich Wolfgang Korngold (lo trovate qui, il commento più divertente è quello dell’utente Videogaltech: “Hey, you, Stars War Theme… I’m your father”).

Quello di “The Dune Sea of Tatooine” prende in prestito il lavoro dell’italiano Alessandro Cicognini per Ladri di biciclette”(1948) ed assomiglia in modo impressionante alla “Sagra della Primavera” (Parte seconda, “Il sacrificio” – Introduzione) di Igor Stravinsky.

The Dune Sea of Tatooine di John Williams

Sagra della Primavera” (Parte seconda, “Il sacrificio” – Introduzione) di Igor Stravinsky

L’intera colonna sonora, soprattutto “The Battle of Yavin”, è figlia di Gustav Holst e della sua opera “The Planets” (entrambi i pezzi utilizzano lo stesso identico accordo dissonante) che lo stesso Lucas usò come traccia temporanea per Star Wars. A dargli l’ispirazione fu soprattutto il primo dei sette brani della suite (“Mars, The Bringer Of War”), pezzo impetuoso dal ritmo opprimente (5/4), caratterizzato da forti dissonanze (fu definito “il più feroce pezzo di musica di tutti i tempi”), scritto sorprendentemente alla vigilia della Prima Guerra Mondiale.

Molti altri riferimenti dei temi di Star Wars sono da riallacciarsi a “Ljubov k trëm apel’sinam” di Sergej Prokof’ev. La marcia imperiale e la marcia prokofieviana hanno infatti molte similitudini (che l’aria dell’intera opera sia stata evidentemente respirata da Williams lo si percepisce anche quando il compositore ne Il ritorno dello Jedi” dedicherà ai nuovi personaggi del sesto episodio la sua “The Parade of the Ewoks”, sorella evidente di “L’amore delle tre melarance”).

Michail Jurowski conduce L’amore delle tre melarance di Sergej Prokof’ev

John Williams conduce The Parade of Ewoks

L’introduzione di “The Throne Room and End Title”, la musica conclusiva di Star Wars, presenta invece forti analogie con l’introduzione della famosa “Marcia nuziale” nel “Sogno di una notte di mezza estate” di Felix Mendelssohn.

The Throne Room and End Title di John Williams

Marcia nuziale di Felix Mendelssohn

Sia andata come sia andata, “Star Wars” lo consacrò come nuovo dio planetario della banda sonora. Con quelle composizioni Williams divenne il nuovo re Mida della musica hollywoodiana. Sebbene però sia indiscutibile il suo talento straordinario è doveroso anche riconoscere che senza i suoi padri non avrebbe potuto trovare il suo tocco magico. Dietro ogni successo c’è studio, lavoro, fatica e ossessione, ma anche ricerca, suggestione, rimandi, riprese e contagi. Senza Willliams, Star Wars, Superman e Indiana Jones non sarebbero stati gli stessi. Ma senza Host, Korngold, Dvorak, Cicognini, Stravinsky, Prokof’ev, Mendelssohn non avremmo avuto Williams. O il Williams che conosciamo.
Una volta succhiato il nettare dei padri John Williams è andato poi avanti da solo. Aveva trovato la sua cifra. E non fece altro che moltiplicarla. Fateci caso: i temi dei tre film appena citati, per atmosfere e armonie, si distaccano dai lavori precedenti e tra di loro si somigliano molto. Se a tavola fate un gioco con gli amici chiedete loro di canticchiarveli. State certi che prima o poi qualcuno li confonderà.

Temi ricorrenti e leitmotiv

Il vitale tema di Luke Skywalker, classico esempio di leitmotiv, ha l’apertura con il salto di quinta ascendente (Do-Sol), che è ormai la firma williamsiana, tipica di un certo tipo di eroismo, stessa cosa per quello di Superman (identica fanfara di apertura così melodicamente grandiosa), e per quello di Indiana Jones, anche in quest’ultimo la melodia sale (anche se poi, visto il personaggio, ha delle ritirate ed è cadenzata da intervalli ironici). Questo è dovuto al fatto che, accompagnando un poema epico di fantascienza, la colonna sonora di Star Wars doveva rientrare nel canone appropriato, quello avventuroso ed eroico. E proprio il tema principale è stato quindi il più consono a ostentare i trucchi che sono sempre stati utilizzati per conferire alle note la loro connotazione “eroica”: il range ampio, la già citata quinta in apertura e l’utilizzo frequente delle terzine hanno sovente aiutato a creare quel suono “spalancato”, epico, e pertanto sono sempre stati utilizzati nella storia della musica eroica, fino all’ultimo tassello di questa, rappresentato proprio da Williams.

Per Dart Fener Williams compone “The Imperial March” (Darth Vader’s Theme) immaginando una partitura drammatica e operistica, facendo ricorso agli ottoni in chiave minore, per investire lo spettatore con un tema solenne e ripetitivo. Con le tre note di attacco della struttura basica della marcia, monito incombente dell’Impero, Williams riesce a imprimere sul pubblico la sensazione di pericolo imminente. Medesima logica aveva sapientemente usato per Lo squalo, colonna sonora fortemente debitrice di Prokofiev (“Scythian Suite”) e Stravinsky (“La sagra della primavera”), che omaggiava Bernard Herrmann (l’agghiacciante Zum Zum Zum è un inchino alla scena cult di Psyco di Alfred Hitchcock: quella sotto la doccia, sempre di acqua si parla), oltre a somigliare nitidamente alla sinfonia “Dal nuovo mondo” di Antonin Dvorak del 1893 (che a sua volta ricorda la sinfonia n. 9 Corale di Ludwig van Beethoven del 1822 e che il compositore americano ha omaggiato anche in “Star Wars”). E lo stesso Williams ha riutilizzato il motivo, con pochissime variazioni, quattro anni dopo per 1941: allarme a Hollywood, sempre di Spielberg.

Anche il tema cucito su misura per ciascun personaggio è un espediente che “ruba” ad altri. Per fare un esempio confinante con lui, a Ennio Moricone (ne Il buono, il brutto, il cattivo e in C’era una volta il West, entrambi di Sergio Leone, ciascun protagonista ha un suo tema musicale). Sebbene sia forse necessario ricordare che l’uso del leitmotiv nella musica da film era già presente in compositori dell’età d’oro (Max Steiner e Erich Wolfgang Korngold, guardacaso l’uomo al quale riprese il tema principale) e prima ancora, come vedremo, in Richard Wagner. Possiamo quindi affermare che Williams abbia preso in prestito la musica altrui per comporre le sue leggendarie partiture di Star Wars? La domanda presuppone una risposta complessa. Che deve partire proprio dalla stessa struttura del film di George Lucas e dalle suggestioni che ha ricevuto il regista nel concepire la sua saga.

Le influenze di Star Wars (e di George Lucas): Richard Wagner

Lucas ha ammesso di avere avuto forti influenze da parte di alcune opere a lui care. Queste furono: cinematografiche (“La fortezza nascosta” di Akira Kurosawa, “Flash Gordon”, i western e i pirate movie), letterarie (il saggio “L’eroe dai mille volti” di Joseph Campbell) e musicali (il ciclo di quattro lavori teatrali “Der Ring des Nibelungen” di Richard Wagner). L’opera che più colpisce l’immaginario del regista e ne condiziona la genesi della sua saga, come ha sottolineato Kristian Evensen nel suo famoso saggio (“The Star Wars series and Wagner’s Ring: Structural, thematic and musical connections”), è proprio quest’ultima.

Esiste infatti una incredibile similarità tra le due opere.

Entrambi i cicli:

– sono stati intrapresi in modo non lineare e a ritroso
– creano un loro universo, corredato di creature dotate delle più svariate sembianze
– hanno un conflitto centrale tra volontà di potere e amore
– trattano il conflitto tra padre e figlio
– prevedono una spada magica
– hanno eroi orfani o presunti tali (Siegfried allevato da un padre adottivo, Luke è allevato dagli zii)
– vedono l’eroe istruito da un nano (Mime e Yoda)
– raccontano di due gemelli (Siegmund e Sieglinde; Luke e Leia) che non sanno di esserlo
– sono diretti da innovatori che creano strutture a supporto dei loro progetti (Wagner il Festspielhaus di Bayreuth, Lucas la Industrial Light & Magic)
– hanno generato un culto febbrile a loro dedicato.

Similitudini tra Star Wars di Williams e L’anello del Nibelungo di Wagner

Le similitudini tra i due cicli arrivano a coinvolgere anche i due rispettivi eroi: Luke (protagonista di Star Wars) e Sigfrido (protagonista di Der Ring). Entrambi sono figli di un essere eccezionale; entrambi ricevono dal padre una spada in dono, entrambi la perdono nello scontro con il padre; entrambi la ricreano, etc.

Quello che mi viene da pensare è che, molto probabilmente, Lucas, parlando con Williams, per dare un’idea dei contenuti della sua opera fece riferimento proprio al Ring. È una prassi comune per molti compositori cinematografici prendere in prestito una grande quantità di materiale musicale da altre fonti. Spesso sono portati a farlo dagli stessi registi che forniscono loro delle tracce temporanee (place-holder music) e che finiscono inevitabilmente per condizionarli. Sarà stato a questo punto che Williams, in quei venti giorni di studio matto e disperatissimo (necessari a preparare la colonna sonora del film), avrà analizzato sia il tema principale di Kings Row firmato da Erich Korngold che l’opera di Wagner, rimanendone così inconsciamente influenzato.

Immagino che Lucas, che aveva esattamente in testa l’effetto che desiderava, come molti creatori padroni del proprio mondo, abbia detto francamente a Williams qualcosa del tipo: “John, amo le tue composizioni, ma per questo film ti prego di ricalcare queste musiche”. Magari avrà aggiunto qualcosa del tipo: “So che sto svilendo la tua arte, ma ti chiedo di venirmi incontro. Abbiamo poco tempo, un budget limitato e io non voglio farti lavorare a vuoto, inutile fare mille tentativi”. E avrà concluso categoricamente: “Falle uguali alle tracce, o quasi. Tanto l’effetto che voglio è solo quello”. Pertanto se Williams probabilmente ha ricalcato Wagner, può essere che sia stato indotto a farlo. Magari sarà stato anche frustrato, ma incredibilmente quella imposizione, anziché impoverirlo, gli avrebbe segnato la strada, cambiato la vita e consegnato la fama mondiale. Pertanto, se così fosse andata, potremmo dire che Lucas, oltre all’infinito mondo di Star Wars creò anche Williams.

L’identità tra il Ring di Wagner e la musica di Star Wars composta da Williams è infatti evidente. Così come Der Ring des Nibelungen è dramma musicale, Star Wars può essere considerato una pellicola sinfonica (i 121 minuti della durata del film sono accompagnati da 88 di musica sinfonica). In entrambe le opere l’orchestra ricopre un ruolo primario, divenendo non più semplice accompagnamento ma una delle principali componenti drammaturgiche. Entrambe, complice la connotazione eroica, fanno ricorso all’utilizzo di una quinta ascendente e di terzine. Entrambe utilizzano spasmodicamente il leitmotiv. Anzi, l’autore di Der Ring, Richard Wagner, ne è il creatore. La musica di apertura Star Wars inizia in anticipo sulle immagini, mentre è ancora buio nella sala creando nello spettatore un’esperienza assolutamente nuova; anche in Wagner l’orchestra attacca nell’oscurità portando tra il pubblico dell’opera lirica un’idea totalmente nuova. Entrambe le trovate, nel film e nel dramma musicale, dirottano l’attenzione degli spettatori sull’orchestra, catturandoli. Wagner, nel suo teatro Festspielhaus di Bayreuth, nasconde l’orchestra rendendola invisibile e lascia spente le luci in sala per creare un nuova esperienza sonora introducendo un’intera serie di sorprendenti effetti sonori.

Parallelismo tra il motivo di Skywalker (Star Wars) e quello di Siegfried (Der Ring)

Come abbiamo già visto l’eroe del Ring, Siegfried, sta all’eroe di Star Wars, Luke Skywalker. Per entrambi i rispettivi compositori hanno creato un motivo dedicato. Luke è rappresentato dal tema ben noto, il principale del film. Siegfried è rappresentato da almeno tre differenti motivi, due dei quali però sono delle varianti in stretta connessione. Tra il motivo di Luke e i motivi di Sigfried sono presenti identità significative. Se ascoltiamo, ad esempio, il motivo di Luke (“Main Title”) e lo raffrontiamo con le due varianti di Siegfried (Siegfried, Atto 2, Scena II, battuta detta Mormorio della foresta e Götterdämmerung, Preludio) notiamo come essi in realtà siano varianti della medesima forma di base.

Wagner Leitmotives – 56: Siegfried

Star Wars Episode IV: The Force Theme

Ma lo stesso potremmo notare confrontando il motivo di Obi-Wan Kenobi e quello tragico di Siegfried (chiedo scusa sia a chi sa, sia a chi non ne sa di musica: il levare d’apertura, una quarta ascendente che termina sulla lunga tonica, una sesta diminuita con identico ritmo,  un nuovo salto ascendente, una quarta e una quinta rispettivamente simili, una sequenza di tre note in scala ascendente che termina sulla lunga nota finale: in Kenobi: re, mi bem., fa; in Siegfried: mi bem., fa, sol.)

Anche la celeberrima Marcia Imperiale può essere accostata al tema dei Giganti Fasolt e Faffner.

Marcia imperiale di John Williams

Tema dei giganti Fasolt e Faffner di Richard Wagner

I geni rubano?

Pablo Picasso disse una volta: “I mediocri imitano, i geni copiano”. Qualche decennio dopo Steve Jobs rivisitò la sentenza facendola evolvere in una versione 2.0: “I buoni artisti copiano, mentre i grandi artisti rubano”. A dire il vero la gran parte dei cultori della musica, soprattutto americani, danno voce a pareri piuttosto critici nei confronti di Williams. Sul banco è proprio la propensione del compositore a prendere in prestito dagli altri musicisti. La gran parte dei musicologi, anche quella che apprezza la sua musica, si sente infatti in obbligo di riconoscere da dove essa provenga: “È il lavoro di altri compositori, come Stravinsky, Mussorgsky, Persichetti o Holst, che sento riprodotto attraverso la penna di Williams. In un campo definito da originalità e creatività – spiegava il compositore Aron Krerowicz della Butler University di Indianapolis su Filmtracks in un thread del 2004 intitolato senza mezzi termini “John Williams is a petty theif” (ovvero “John Williams è un ladruncolo”) – il maestro Williams non è nessuno dei due, è un buon compositore, ma non è un grande compositore. La sua musica non sopravvivrà alla prova del tempo”. Ho seguito le sorti di Krerowicz. È diventato un vero studioso della musica di Star Wars. E da ricercatore non solo conferma le similitudini con Mendellson, Holst, etc. ma scopre che il motivo principale è stato riutilizzato anche per altre composizioni della stessa colonna sonora del film. Il motivo dei Ribelli, infatti, è evidentemente correlato a quello di Luke dal momento che utilizza i suoi stessi accordi e le sue medesime progressioni. A voler confermare quanto dicevamo: che Williams da “Mars” e da “King’s Row” ha ripreso il tema, dal tema stesso il resto della colonna sonora e da questa quella delle successive (vedi Superman e Indiana Jones, senza contare gli altri capitoli della saga di Star Wars).

In difesa di Williams

C’è un altro lato della medaglia. Non bisogna trascurare che la sua sia musica da film. Scritta non per essere necessariamente originale o autonoma, ma per adattarsi a una pellicola. Centinaia di registi sono ricorsi direttamente a composizioni di musica sinfonica per le loro opere senza affidare a un compositore il compito di creare dei commenti (un caso su tutti: Woody Allen con Gershwin per Manhattan).

Inoltre, prendere a prestito le idee altrui è una prassi vecchia quanto il mondo, connaturata con l’atto stesso di creare. È accaduto nel Medioevo, nel Rinascimento e nel Romanticismo. E accadrà sempre. John Williams ha ripreso la canzone ebraica Hatikvah per Munich? Bene, prima di lui lo ha fatto anche Smetana per il suo poema sinfonico Vltava. Celebre è stata poi la causa che Les Baxter, il direttore d’orchestra da ballo più popolare degli anni Cinquanta, ha intentato contro John Williams nel 1983 per il tema di E.T. l’extraterrestre di Steven Spielberg, premio Oscar 1982 per la miglior musica originale. Dopo alterne sentenze (qui un recap di Filmscore), nel 1990 il verdetto finale dei giudici ha tenuto conto che, sì, una parte del tema somigliava a “Joy”, brano pubblicato da Baxter nel 1954 (che lo stesso Williams aveva eseguito al piano negli anni Sessanta), ma che era anche vero che quel passaggio era tutt’altro che originale, tanto che si ritrovava in almeno altre dieci composizioni del passato.

In ultimo, ancora in difesa di Williams, bisogna riconoscere, per certi versi, anche la validità dell’arcinota motivazione alla quale ricorrono i presunti plagiatori quando si sentono stretti alle corde: il numero delle note limitato a sette. Evolvendo questo pensiero potremmo arrivare anche a concepire la possibilità dell’esistenza di archetipi musicali ai quali ormai è impossibile non sottostare perché, ad esempio, l’epica è l’epica, così come la commedia è la commedia. E pertanto se determinate sequenze possono essere tradotte musicalmente solo con prefissate modalità, allora vorrà dire che ciascun compositore che cerchi di perseguirle non potrà fare a meno di ritrovarsi a procedere in direzione di rotte già battute. Consciamente, inconsciamente, volontariamente, maliziosamente, pigramente, inconsapevolmente o casualmente.

Allora a questo punto chi è John Williams? Imitatore, plagiatore, artista o genio? Io una risposta solida non so darmela. Gli appassionati di musica saranno certamente più in grado di me di trovarne una. Una cosa è certa: Williams un posto nella gloria ormai ce l’ha. E proprio grazie a Star Wars. Anzi, debitore o meno, l’American Film Institute ha catalogato la colonna sonora del film al primo posto assoluto negli AFI’s 100 Years of Film Scores. Questo significa che è considerata la migliore di tutti i tempi. Ai puristi consiglio pertanto di farsene una ragione.

La sua musica ormai fa parte della nostra cultura. Anzi della nostra storia. E Williams ci è entrato in modo impetuosamente feroce. Come in una sinfonia di Gustav Holst. O in un dramma di Richard Wagner.

Piero Trellini

Scrive per la Repubblica, La Stampa, Il Sole 24 Ore e Domani. Ha lavorato per Il Messaggero, il Manifesto, Sky e altri. Collabora con Nuovi Argomenti e Art e Dossier. Scrive serie televisive. Ha pubblicato “La partita” (Mondadori), “Danteide” (Bompiani), “L’Affaire” (Bompiani) e “La partita. Le immagini di Italia-Brasile” (Mondadori).
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