Libertà e tavolini
Una newsletter di
Libertà e tavolini
Michele Serra
Martedì 24 ottobre 2023

Libertà e tavolini

Michelle si è sentita offesa. E in un’epoca nella quale l’offesa è diventata la più corrente delle monete, forse la più svalutata, Michelle ha usato parole così semplici e giuste, per dire la sua offesa, che mi sono sentito contento per lei.

L’episodio è piccolo ma la questione è grande, e dunque vale la pena ragionarci sopra. C’era una cena di gala a Verona, una di quelle cose che, per insondabili ragioni, oggi si chiamano “evento” o, nei casi più scellerati, “experience”. L’agenzia incaricata dell’accoglienza degli ospiti ha l’idea di far servire il bicchiere di benvenuto a un paio di ragazze che incorporano nel vestito, all’altezza dei fianchi, un cerchio rigido, una specie di tavolino, che lascia le mani libere per porgere i bicchieri. Variante un po’ carnevalesca, in salsa “damina del Settecento” (siamo in Veneto, che diamine), dell’eterno vassoio a tracolla da venditore ambulante.
È presente la vicesindaca di Verona, Barbara Bissoli, che non apprezza. Non so se, come si è letto, si sia addirittura “indignata”. Ma ha fatto presente, in una lettera indirizzata agli organizzatori, che le ragazze-vassoio a lei parevano un esempio di mercificazione della donna. Come direbbe Littizzetto, è partito l’embolo, con relativo riflesso su giornali locali e nazionali: ci mancavano solo le ragazze-vassoio, ma dove andremo a finire?
Attenzione, importante: la vicesindaca non ha espresso un’opinione estetica (dicendo: che cosa burina!), ha espresso un giudizio etico (dicendo: mercificazione del corpo femminile). Entrambe le cose, l’opinione estetica e il giudizio etico, ovviamente sono perfettamente legittime. Fanno parte, diciamo così, della millenaria discussione, orale e scritta, su quello che ci piace e quello che non ci piace. La differenza, rilevante, è che l’opinione estetica, in genere, non tende a influire sul “corpus” dei diritti, dei doveri, dei divieti. Ci si accapiglia sul bello e sul brutto e la cosa finisce lì. Il giudizio etico, invece, è alla base di molte, se non tutte, le convenzioni e le leggi. Non si tende a vietare o a combattere politicamente ciò che si ritiene brutto. Si ritiene invece di farlo contro ciò che si ritiene ingiusto. Dunque il giudizio etico, compreso quello sulle ragazze-vassoio, fa parte, a pieno titolo, del dibattito politico in corso.

Alla piccola discussione veronese mancava però un elemento che non definirei trascurabile: che ne pensano, delle ragazze-vassoio, le ragazze-vassoio? Questo elemento ce lo ha fornito, sebbene a cose fatte e a opinioni già espresse, Enrico Ferro di Repubblica, che ha intervistato Michelle Pellegrinelli, ventuno anni, bellunese, una delle persone, ragazze e ragazzi, che dietro compenso hanno animato quella performance. E che, come vi ho detto in cima a questo raccontino, è effettivamente molto offesa.

“Non capisco come altri possano interpretare quello che sento io, soprattutto senza avermi prima interpellata. Io sono libera di scegliere cosa fare e con chi farlo. Nessuno mercoledì sera è venuto a chiedermi come mi sentissi. Sono consapevole di quello che faccio e non mi sento sfruttata. Non serve che altri si indignino al posto mio. C’era anche un ragazzo in queste performance: era vestito come una sorta di pavone. Di lui non è stato detto niente, perché è uomo. E questa non è discriminazione?”

Vi ho fatto solo una breve sintesi dell’intervista. Posso solo dire (e sì, il mio è un giudizio etico) che almeno due frasi, semplici semplici, di una studentessa ventunenne che per pagarsi gli studi fa la hostess nei ricevimenti, fanno cadere parecchi bicchieri dal vassoio del dibattito in corso. La prima frase è questa: “Sono libera di scegliere cosa fare e con chi farlo”. La seconda è questa: “Non serve che altri si indignino al posto mio”.
Fa irruzione il concetto, mica piccolo, della libertà di scelta. Se una o uno vuole travestirsi da fenicottero e ingoiare gamberetti, a pagamento o per passione personale, e nel farlo non infrange alcuna legge e non urta in modo grave particolari sensibilità – tranne quella dei gamberetti -, forse prima di trattarlo come la vittima di una tratta, o l’anello terminale di una millenaria catena di umiliazioni, dovremmo pensarci un attimo, e soprattutto fare parlare prima lei o lui e capire la misura della sua libertà. Indignarsi per conto di chi non si indigna può anche ferire il non indignato (come spiega bene Michelle), e per giunta rischia di creare una certa confusione e soprattutto di inflazionare un sentimento, quello dell’indignazione, che andrebbe speso con cautela, e per cause di più evidente scandalo.

Da ultimo: sulla libertà di scelta la discussione è antica quanto la filosofia, ed è infinita. Quanto si sia consapevoli, quanto inconsapevoli, del proprio ruolo in società, è oggetto di milioni di considerazioni già fatte e ancora da fare. Negli anni Ottanta le prostitute politicizzate, che la mercificazione del corpo femminile sanno bene cos’è, dissero e scrissero, tra tante altre cose, che prostituirsi poteva anche essere una libera scelta; chiedevano il riconoscimento di un mestiere, le garanzie per tutelarlo, respingendo ogni forma di commiserazione e di riprovazione.
Di contro, quanto ognuno di noi sia la rotella inconsapevole di una macchina di sfruttamento, o di controllo sociale, o di sottomissione, è l’oggetto di una letteratura politica e psicoanalitica quasi infinita, a partire da Marx. Ma in tutto questo c’è una cosa che non si deve mai fare, ed è – cerco di dirlo nel modo più semplice – ignorare che le persone sono libere di agire, e anche di sbagliare, per conto proprio, senza metterlo nel conto della società.
“Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti” (Paolo Conte, Boogie)

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Non so se sia giusto tirare in ballo le “sliding doors”, o il caso, o il destino. Fatto sta che alla notizia che Sergio Staino era morto, dopo un anno di fatiche cliniche e di amorosa assistenza da parte dei familiari e degli amici stretti (soprattutto Paolo e Adriano), mi sono chiesto che cosa sarebbe stata la mia vita, non solo professionale, se non lo avessi incontrato. Mi sono risposto che sarebbe stata molto diversa. Probabilmente più prevedibile, meno sorprendente, ma non è questo il punto. Il punto è capire quanto siamo – tutti – per metà con il timone in mano, per metà in balia del mare. La somma di queste due metà è la nostra vita. Questa incidenza esterna sulla nostra autodeterminazione non ci deve spaventare. Ma ci deve far riflettere: il culo, nella vita, è un fattore che incide. Così come il suo rovescio, la sfiga, che come disse il poeta (Freak Antoni) non solo non è cieca, ma ci vede benissimo.
Poi, certo, ci sono il merito, la tenacia, la volontà, e tanti altri fattori che determinano la nostra rotta. Sul nostro destino individuale abbiamo molta voce in capitolo. Ma senza la buona sorte e i buoni incontri tutto è molto più difficile, più impervio.

Nel 1986 avevo 32 anni e facevo l’inviato dell’Unità. Per i settori cultura, sport, spettacoli e varia. Avevo già scritto Tutti al mare, reportage abbastanza ilare lungo le coste italiane, qualche corsivo contro Berlusconi e le nascenti tivù private sulle pagine milanesi dell’Unità (firmandomi Pollicino) e un poco di articoli più o meno spiritosi, di quelli che una volta si chiamavano “di costume”. Niente di così speciale, ma quanto bastava per farmi collaborare anche con Linus, che allora era una rivista importante. Proprio nella redazione di Linus, se la memoria non mi inganna, incontrai Sergio per la prima volta. Qualche mese dopo mi diede appuntamento al Bar Basso, a Milano; mi parlò dell’idea, che mi sembrò folle, di fare un giornale di satira proprio dentro l’Unità, organo ufficiale di un partito che si chiamava ancora comunista; mi disse che dovevo scrivere per lui perché ero un autore di satira. Gli dissi che non lo sapevo, di essere un autore di satira. Ma che ci avrei provato.
Per un mesetto almeno pensai a cosa diavolo avrei scritto per Tango. Poi, avendo fin da bambino il gusto (il vizio?) dell’imitazione e della parodia, per il primo numero del nuovo giornale gli mandai un apocrifo di Gianni Brera. Ne seguirono un’altra trentina. Poi vennero Cuore, i testi per Grillo, il sodalizio con Antonio Albanese, la televisione, il teatro e tutto il resto. Uno di questi giorni ripasserò al Bar Basso per bere qualcosa alla salute di Sergio.

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Mi manca di dirvi un paio di cose, anzi tre. La prima è che questo mercoledì, il 25 ottobre, sarò con Luca Sofri alla Feltrinelli di piazza Piemonte, a Milano, alle 18,30, per festeggiare i dieci anni dall’uscita degli Sdraiati. Il libro esce in una nuova edizione con disegni di Gipi. E una nuova copertina.

La seconda è che, per causa mia (ho avuto un po’ di giornate dannatamente complicate), le vostre lettere, come sempre parecchie, questa settimana restano nel cassetto (scrivo apposta “lettere” e scrivo “cassetto” per irritare chi, immancabilmente, mi fa notare che sono email e non c’è nessun cassetto). Riprendiamo a chiacchierare da lunedì prossimo.

La terza è che la rubrica “Zanzare mostruose”, che segnala titoli di giornale esilaranti o inverosimili o pacchiani, per adesso non decolla. Per invogliarvi, vi saluto con questo titolo di pochi giorni fa (da Repubblica.it):

Finto organista di papa Ratzinger corteggia anziana e poi le ruba cinque milioni: “mi regalava i cioccolatini”

Non è male, ma possiamo fare molto meglio. Ciao, state bene.