La separazione delle carriere
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La separazione delle carriere
Michele Serra
Martedì 20 giugno 2023

La separazione delle carriere

Giuseppe Conte e Beppe Grillo durante la manifestazione organizzata dal Movimento 5 Stelle a Roma, sabato 17 giugno (Ansa/Fabio Frustaci)
Giuseppe Conte e Beppe Grillo durante la manifestazione organizzata dal Movimento 5 Stelle a Roma, sabato 17 giugno (Ansa/Fabio Frustaci)

Perché i comici – per i quali la politica è legittimo argomento quotidiano, pane per i loro denti – non dovrebbero mai diventare essi stessi attori della politica? Per una ragione strettamente “tecnica”. Perché il linguaggio comico è un insieme di paradossi, iperboli, esagerazioni, deragliamenti logici che la politica non è capace di decriptare e non è in grado di reggere. Ci saranno pure politici che vanno a teatro, capiscono le battute e, come tutti, ridono. Ma “la politica”, intesa come quel mondo istituzionale e giornalistico, quelle dichiarazioni ufficiali, quelle parole messe in fila con prudente tatticismo, le battute non le capisce. Non è attrezzata per farlo. Non è quello il luogo.
Ai politici, peraltro, è vivamente sconsigliato di fare i comici: il loro ruolo pubblico non solo non lo richiede, ma lo sconsiglia. Essere re o buffone è la forma più irrimediabile, invalicabile, di separazione delle carriere. Le imbarazzanti barzellette di Berlusconi e le annose apparizioni al Bagaglino di illustri leader o ministri, più le altre occasioni televisive dove, magari con lo stesso abito plumbeo indossato a Montecitorio, le stesse cravatte di ordinanza, tentavano di “fare i brillanti”, costituiscono un repertorio penoso, nel quale la sola forma di comicità espressa è l’umorismo involontario: cioè rendersi ridicoli.

Se vi siete letti un po’ di dichiarazioni politiche, e cronache politiche, dopo la sortita di Beppe Grillo alla manifestazione romana dei Cinque Stelle, vi sarete resi conto che il misunderstanding è così totale, così irrimediabile, da far cadere le braccia. Esemplare, per la mancanza di capacità o di volontà di “tradurre” le parole di Grillo, è stata la dichiarazione di Alessio D’Amato, ex candidato del Pd alla presidenza della Regione Lazio. Ve la riporto per intero: «È stato un errore (di Elly Schlein, ndr) partecipare a una manifestazione che si è connotata con parole d’ordine inaccettabili: brigate, passamontagna. Anche no. Sono parole inaccettabili per chi arriva da una cultura riformista e di sinistra, che ha sempre combattuto queste forme di violenza verbale».
Che cosa aveva detto Grillo, di “inaccettabile” (ripetuto due volte nella dichiarazione di D’Amato)? Aveva detto – utilizzando, appunto, la sua lingua, che NON è la lingua della politica, anche se lui non lo sa – che bisognerebbe radunarsi in “brigate di cittadinanza” per aggiustare i marciapiedi. Il passamontagna era tirato in ballo per rincarare la dose – l’iperbole è un tipico attrezzo del linguaggio comico – ovvero per attribuire un’aura polemica di “clandestinità” al senso civico. Per la serie, molto “grillina”: siccome il potere non fa abbastanza per i cittadini, dobbiamo mobilitarci e fare da soli.
Ognuno può dubitare di questo assunto; adottarlo o contestarlo. Ma, con tutta evidenza, solo un cretino può riconoscere nelle parole di Grillo un rimando al brigatismo e alla violenza. I brigatisti tutto fecero, tranne aggiustare i marciapiedi. E siccome D’Amato non è un cretino, e anzi nel suo proprio ambito (la gestione dell’emergenza Covid) è opinione diffusa che si sia distinto per impegno e per capacità, dobbiamo concludere che per il “suo” linguaggio, che è quello della politica, il linguaggio di un comico è una lingua straniera, indecifrabile. “Sento la voce e non capisco le parole” (cit. David Riondino).

Ovviamente, a orientare l’indignazione di D’Amato, avrà contribuito la sua contrarietà alla presenza della segretaria del PD alla manifestazione dei Cinque Stelle: come è noto, la questione delle alleanze, da quelle parti, è di bruciante attualità, e dunque D’Amato è stato aiutato a capire male, a tradurre male, dalla sua ostilità al partito di Conte. Era, diciamo così, già predisposto, prima che a capire male, a pensare male.
Ma va detto che fior di cronache politiche (quasi tutte, direi) mettevano anche loro l’accento su “brigate” e “passamontagna” come riferimenti “estremisti”, “provocatori”, decontestualizzando totalmente il discorsetto di Grillo, o meglio contestualizzandolo nell’attualità politica: avrà voluto dare un avvertimento a Conte? Avrà voluto dare un avvertimento al Pd? Del resto: quelle parole non erano state pronunciate in un teatro. Erano state pronunciate in una manifestazione politica… Grillo spesso, anzi sempre, confonde i due ambiti, con grave detrimento di entrambi.

Fin qui, vi sarà forse sembrato che io voglia “difendere” Beppe Grillo. Beh, da un certo punto di vista sì: non ha detto, o non voleva dire, quello che hanno voluto fargli dire molte cronache, e molti politici. E invece, tornando all’inizio del nostro discorso (comicità e politica sono ambiti radicalmente differenti): io credo che Grillo abbia fatto un imperdonabile errore a “scendere in campo”. E che di quell’errore abbiamo pagato e stiamo pagando, come comunità nazionale, pesanti conseguenze.
Grillo è stato (ai tempi) un grande comico, acre, efficace, irresponsabile, coraggioso. Ma ha costruito, “scendendo in campo”, un colossale, ferale malinteso. Ha fatto credere (e forse ha creduto lui stesso) che una battuta, un paradosso, un’invettiva potessero essere materia di un progetto. Ha fatto credere a milioni di persone (anche a chi non capisce le battute, e sono la maggioranza, ahimè) che esista una maniera sbrigativa, “brillante” di cambiare le cose; e invece le cose, nella loro invincibile mediocrità, costituiscono l’inerzia contro la quale non basta il lavoro delle generazioni, lo studio delle generazioni, a invertire la rotta.
Il comico non è mai umile – è imbonitore, è un fool, è un artista – il politico deve invece esserlo, deve addentare la materia densa e indigesta della vita con metodo, con tenacia, con pazienza. Il grillismo ha la colpa (secondo me imperdonabile) di avere fatto credere a molte persone di essere Grillo: cioè di poter domare il mondo con una battuta. Ma il mondo, le battute, non le capisce.

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Il tema “suffragio universale”, ovvero (se fossimo al bar) perché il voto di un cretino deve valere come quello di Einstein, ha spopolato. Molte decine di lettere. Tento qui di seguito un breve ma eloquente sunto. Dichiaro il problema irrisolto, e dunque, in quanto irrisolto, destinato ad affidarsi alla soluzione già in auge: il suffragio universale. Compreso l’inconveniente di cui sopra: uno vale uno, il cretino vale Einstein, rassegnatevi. Ma alcune delle “vie d’uscita” proposte sono ingegnose…

“Sono un millennial ma con la nascita di mio figlio due anni fa mi sto già preparando a diventare il boomer della sua generazione. Mi sono dato la seguente imposizione: raggiunta una certa età voterò secondo le indicazioni di mio figlio. Devo ancora decidere precisamente a quale età. Quando ne avrò 50 lui ne avrà 16, magari meglio 60, verosimilmente sarà più maturo e più conscio dei meccanismi della società. Avessi il potere di legiferare decreterei che il voto degli under40 vale il doppio del resto della popolazione. Di fatto le scelte politiche hanno un peso maggiore su chi ha più tempo ancora da vivere. Chiediamo ai nostri figli o nipoti che cosa votano, poi votiamo sulla fiducia!”
Damiano Drei

“Vorrei condividere con te e con i lettori di Ok Boomer un’idea che un boomer (mio padre) ha condiviso con me qualche tempo fa chiacchierando, riguardo a possibili coefficienti di voto: e se l’importanza del voto fosse inversamente proporzionale all’età? In fin dei conti, i giovani sono quelli che statisticamente vivranno più a lungo, quindi le decisioni a lungo termine della politica avranno effetti a lungo termine soprattutto su di loro”.
Elisa

“Vero che per quanto tutti noi abbiamo criteri per definire chi è cretino, i criteri oltre che i cretini cambiano dipendentemente dalle situazioni. Confermo che non possa essere il modo per selezionare chi dovrebbe votare. Da anni penso invece che una dichiarazione fiscale certificata e l’assoluta mancanza di pendenze con il fisco sia un buon metodo. In fin dei conti se non sei in regola con i pagamenti del circolo, non ti fanno votare per l’elezione del consiglio direttivo”.
Paolo Zanada

“Credo non guasti ricordare che la democrazia è il sistema nel quale la maggioranza decide, non quello in cui la maggioranza ha ragione. Il diritto della maggioranza di decidere, e di governare, non può trasformarsi nella pretesa di avere sempre ragione. Perché il sole si trova dove diceva Copernico. Perché si può buscare l’oriente per l’occidente, come diceva Colombo. Perché oggi anche la Chiesa cattolica incoraggia a leggere la Bibbia, come chiedeva Lutero. L’essenza della democrazia non è il potere della maggioranza, ma la tutela delle minoranze: in questo sta la sua unicità nella storia umana. Per questo le Costituzioni prevedono pesi e contrappesi, organi di garanzia, separazione dei poteri. E soprattutto la democrazia vive di libera informazione, libertà di associazione, di opinione e di parola. Vincere le elezioni non giustifica l’insofferenza verso il dissenso e la pluralità di opinioni: la democrazia non è una sorta di assolutismo a tempo determinato”.
Paolo Sibona

“Si potrebbe fare come nell’800, e dare il diritto di voto solo a chi paga tasse sopra una certa soglia: la Lega andrebbe allo zero per cento, e anche altri partiti si ridimensionerebbero”.
Giacomo Schieppati

“Sul tema dei cretini che votano, credo che la più bella lezione siano stati i padri costituenti, che non hanno vietato il voto agli ex fascisti, dimostrando un’apertura mentale che io di certo non possiedo. Continuo a pensare che il voto dovrebbe essere un atto consapevole, e in tal senso non lo vieterei ai cretini (sta a vedere che non mi fanno votare). Però un piccolo test, di bassissimo livello, quello lo vorrei. Penso a cose come “i Deputati e Senatori sono: 1-parlamentari 2-membri del governo 3-magistrati”. Cose così. Se non si ottiene un punteggio minimo, con quale consapevolezza si può usare un’arma – la fondamentale arma – della democrazia?”
Guido

“Da molti anni patisco il periodo elettorale, ci si arriva col fegato grosso per aver ingerito una dose insopportabile di bugie volontarie e non, di leader politici in passerella che ostentano sicurezze infondate, proposte indecenti e pure improponibili nel mondo reale. E penso: ma non sarebbe più giusto che il voto fosse a punti? Se prima di aprire la scheda elettorale ci fosse un test a crocette, dieci domande per misurare la consapevolezza del votante, da uno a dieci,
che male ci sarebbe? Se una persona non sa nulla di quello che succede nel mondo può senz’altro votare, tutti devono poter votare, ma vale 1. Se un votante legge i giornali, si informa, cerca di capire la realtà che lo circonda… vale 10! Ho esposto questa mia strana idea ad amici, in generale vengo ascoltata come una marziana, che strana idea! Ma perché no?! Non si può lasciare il paese in mano a chi riesce a manipolare meglio l’opinione pubblica”.
Lucia

“La persona che vive in questa terra, è cresciuta in questa terra, è stata educata nelle scuole italiane dovrebbe avere il diritto di votare. Se lo Stato ti educa, se lo Stato indica una formazione obbligatoria al conseguimento di quel titolo, si ha la patente per votare. Ma se molti patentati stentano nella guida è perché la scuola non è una buona scuola. È che la scuola italiana ha bisogno di essere aggiornata, portata nel 2023, dove siamo noi. Forse proprio votando possiamo eliminare i cretini, votando per chi propone una scuola veramente formativa per poveri e ricchi in egual misura. Altrimenti non lamentiamoci se vince la destra, perché i poveri sono e saranno sempre più dei ricchi”.
Stefania Apuzzo (classe di reddito 15.000 euro l’anno)

“I cretini sono ovunque, destra sinistra centro, e probabilmente nessuno di noi è totalmente esente da almeno una piccola percentuale di cretinaggine. Ma al suffragio universale metterei comunque un paletto. Un piccolissimo test di cultura di base. Tipo a con l’acca o senza e cose simili. Niente di trascendentale, ma basta farsi un giro su Facebook e c’è da inorridire. Anche alcuni laureati non sanno dove va l’apostrofo e dove l’accento. E io ogni volta impazzisco”.
Maurizio

“Sono diventata cinica. Non rinuncio mai a esercitare il diritto di voto ma sono estremamente cinica. Tuttə dobbiamo votare (tuttə dovremmo votare), cretini e non. Ma che il voto sia diventato poco determinante per la costruzione di una società che possa definirsi di destra o di sinistra è per me una certezza. Ecco il mio cinismo: i confini delle scelte di economia politica vengono predeterminati a prescindere dal governo in carica. Poi c’è il blablabla delle intenzioni o dei progetti (tipo il ponte sullo Stretto)… ma i cardini delle aperture di politica economica vengono decisi non dal voto del singolo. Chissà, forse sono diventata così perché non riesco più a capire il PD o gli altri partiti a sinistra e francamente detesto i 5 stelle. Spero che questa destra al governo mi faccia riappassionare alla politica perché diventerà indispensabile partecipare ai PRIDE per difendere l’integrità delle persone a qualsiasi sfera sessuale appartengano. Chissà, forse il mio cinismo è una fase passeggera…”
Mariella Palana

“Penso che la democrazia sia stata travolta dalla società connessa. Il marketing, assieme all’informazione non mediata, la stanno totalmente privando di senso, e realizzare un sistema d’istruzione che formi persone con senso critico e indipendenza di giudizio, oltre che difficile, per quanto sacrosanto sarebbe un piano pluridecennale. L’analfabetismo funzionale in Italia è circa al 28%, ma ben sappiamo che la soglia per esprimere un voto consapevole supera di molto il saper comprendere un testo semplice. A Trump rieletto – non oso pensare a quel che potrà combinare al secondo giro – mi dirà se avevo torto”
Giorgio Paoli

“La cosa che manca di più oggi è il senso di appartenenza alla comunità. Quindi propongo un’utopia. Per votare potrebbero occorrere un certo numero di crediti che potrebbero essere acquisiti attraverso varie forme di partecipazione sociale (dal volontariato al servizio civile, dagli Scout alla creazione e gestione dei seggi elettorali, ecc.). Non accesso al voto con la maggiore età, ma perché lo merito, avendo partecipato attivamente (e continuando a farlo) ai bisogni di tutti. Il voto non sarebbe un diritto ma una conquista e i partiti, forse, inizierebbero a prenderci per persone adulte e non per cretini a cui raccontare bugie”.
Ferruccio