Cataclismi e fatalismi
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Cataclismi e fatalismi
Michele Serra
Martedì 22 agosto 2023

Cataclismi e fatalismi

(EPA/RONALD WITTEK)
(EPA/RONALD WITTEK)

L’altro giorno, di pomeriggio, camminavo con il fratello di mia moglie (cognato è una parola che non uso mai: fa subito commedia all’italiana) in un grande prato riarso, senza un filo d’erba, di un giallo-bianco abbacinante. Temperatura sui quaranta gradi, l’aria era una vampa bruciante, gli alberi in lontananza sembravano vacillare, ad ogni passo saltavano decine di cavallette, quest’anno pullulanti. Africa, pura Africa in una valle dell’Appennino settentrionale, se avessimo impugnato una lancia saremmo stati due Masai e avremmo visto i leoni attendere la sera sdraiati sull’orlo del bosco, all’ombra.

I temporali, predetti dal meteo, qui non si sono visti. Tuoni in lontananza, ma nemmeno una goccia. Non piove da un mese e siamo in un ciclo siccitoso da almeno cinque o sei anni, i campi di erba medica, dopo il primo taglio, molto misero, sembrano estinti. Giù, verso la pianura, il mais e il pomodoro, colture molto idrovore, bevono migliaia di tonnellate d’acqua, attingendo alle riserve ancora sfruttabili, come se nulla fosse cambiato. Invece tutto sta cambiando e bisognerebbe prenderne atto: nel Nord-Ovest l’agricoltura non può rifarsi a “quello che è sempre stato”, perché quello che è sempre stato non è più. L’agricoltura (anche politicamente) è un ambiente molto conservatore, ma il paradosso vuole che sia il primo settore a essere investito frontalmente dal mutamento climatico, dunque il primo a dover cambiare abitudini, mentalità, prospettive.

Ma a leggere la rivista dell’associazione di agricoltori che mi vede tra i suoi iscritti, il clima non è tra i problemi più urgenti, né tra gli argomenti al centro del dibattito. L’impressione che mi sono fatto è che da un lato, inamovibile, ci sia il “pensiero magico” tipico di ogni assetto conservatore: “vedrai che prima o poi tutto si aggiusta”. Di qui attingono il negazionismo climatico e il suo parente più subdolo e più diffuso, che è l’indifferenza climatica.
Dall’altro lato, domina l’idea che la tecnologia, da sé sola, saprà risolvere tutto. Immaginare la tecnologia come una leva che si aziona da sola è l’ultimo totem al quale ci si aggrappa pur di non fare i conti con la realtà delle cose e, soprattutto, con il concetto di limite. Le biotecnologie possono produrre qualità di pomodori e di mais meno assetate? Benissimo, sarà un passo in avanti, la demonizzazione degli OGM non fa parte di un approccio razionale all’evoluzione delle attività umane. Ben vengano le piante che se la cavano con meno acqua: ma rischia di essere un rattoppo su un tessuto logoro, un accanirsi per difendere rendite di posizione. Un cambiare purché nulla cambi, con pomodori-gattopardo che continuano a imperare sul loro latifondo. Intorno: il deserto.

Nel frattempo i pomodori attualmente in produzione arrivano a maturazione grazie a una decina (ma c’è chi dice quindici) di trattamenti chimici all’anno. Se fossero l’equilibrio ambientale e la salute di uomini e pianeta a spingere sull’acceleratore tecnologico, l’abuso di chimica nei campi sarebbe un’emergenza già affrontata e forse già risolta. Ma non è così. Mi è capitato, ai margini delle distese di pomodori della Bassa piacentina, di vedere i trattori spargere diserbanti lungo gli argini dei fossi. Si fa prima e si evita di dover passare con la trincia tre o quattro volte a stagione. Si fa prima ma si avvelena l’acqua che andrà a irrigare campi già avvelenati. Morale: più della tecnologia può il profitto. La scienza conta a seconda dell’uso che vuole farne di chi può comperarsela. La neutralità della scienza vale nelle migliori intenzioni degli scienziati, assai meno nelle applicazioni concrete delle scoperte scientifiche – altrimenti non ci sarebbero, sul pianeta Terra, quasi diecimila testate nucleari.

A mio modo, comunque, sono fatalista anche io, e in quanto tale sto diventando un contadino vero. Non credo che l’umanità si attrezzerà seriamente per cambiare se stessa e il proprio modo di vivere: non solo i mutamenti strutturali, di portata drammatica, anche i minimi cambiamenti di abitudine sembrano fuori dalla portata della politica e degli Stati, ovvero dell’umanità organizzata. Si pensa al qui e adesso – anche in agricoltura, che pure dovrebbe avere, grazie ai cicli e alle rotazioni, la vista più lunga.
Cambieremo solo quando saremo costretti a farlo. Quando i cataclismi, le migrazioni di massa e le guerre per l’acqua ci metteranno di fronte all’evidenza, levandoci letteralmente il terreno sotto i piedi e spianando le nostre comodità come l’arsura cancella l’erba medica. La previdenza non è un fattore costitutivo della società del profitto (la previdenza in senso pensionistico, per altro, è una conquista politica, non un automatismo economico). Il limone va spremuto tutto e subito, i campi sfruttati così intensamente che diventeranno sterili, l’acqua consumata fino all’ultima goccia, tanto poi il buon Dio farà piovere. L’idea che il buon Dio non esista, oppure non sia per nulla bendisposto nei confronti dell’uomo, e che dunque spetti a noi essere all’altezza del cambiamento (climatico e non), per ora sfiora solamente piccole avanguardie.

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Nel dubbio di avervi messo di cattivo umore, anticipo lo spazio “techetechetè” estivo e vi propongo una mia satira del luglio 2022 dedicata proprio all’ansia climatica e a quelli che l’hanno trasformata in un business: i siti meteo sensazionalisti.

“Il direttore di “Extreme Meteo”, Cirillo Supinis, è stato trovato senza vita, in una pozza di sangue, nel suo appartamento di Ladispoli. Il delitto sarebbe maturato nel torbido mondo della meteorologia, da anni terreno di scontro tra gang rivali che si contendono i clic degli utenti a colpi di notizie spaventose sulle ondate di caldo e di freddo che minacciano di falcidiare l’umanità entro le quarantott’ore.

Le indagini – Il principale sospettato sarebbe Leonzio Pisquani, direttore di “Final Meteo” e tradizionale rivale di Supinis. La vittima gli avrebbe sottratto migliaia di clic da quando ha inserito, nelle sue previsioni meteo, anche la pioggia di rane e la strage dei primogeniti, incontrando grande favore di pubblico. “La pioggia di rane è una idea mia, era il tema della mia tesi di laurea, Supinis me l’ha copiata”, avrebbe confidato il Pisquani, molto amareggiato, ai suoi collaboratori. Final Meteo aveva cercato di contrastare il dilagante successo dell’agenzia concorrente aggiungendo alle sue previsioni anche gemiti umani, muggiti di animali morenti, rombo di frane e altri rumori sinistri, ma con scarsi risultati. Di qui la decisione di sopprimere lo storico rivale.

Il lato umano – Vittima e assassino si conoscevano da molti anni. Avevano lavorato insieme a Cinecittà come esperti di effetti speciali nei film horror, tra i quali “Maciste contro le isobare” e “Cindy, la nuvola maledetta”, storia di un cumulonembo fuori controllo che distrugge la Terra. Da quelle prime, entusiasmanti esperienze la scelta di intraprendere la carriera di meteorologo, rivoluzionandola. Basta con la noiosa informazione scientifica, con le cartine geografiche, i disegnini, le musichette in sottofondo. Basta anche con le ragazze avvenenti che mostrano le nuvole mentre tutti guardano le tette.

La nuova era – Il gioco si è fatto duro, il pubblico aveva bisogno di sensazioni più forti. Dopo una fase di transizione (nuvole a forma di tetta) si è capito che in una società decadente anche l’erotismo esercita un fascino limitato. La merce più richiesta, più in linea con lo spirito dell’epoca, è lo spavento. Ed ecco le perturbazioni dai nomi ferali, Caronte, Apocalisse (in arrivo Godzilla, Polifemo e Putin), ecco l’annuncio ininterrotto dei picchi di caldo record – ogni giorno un nuovo picco – che stanno spingendo migliaia di italiani a fare testamento, mettendo in seria difficoltà gli studi notarili, che con il personale in ferie faticano a fare fronte alle richieste.

La scienza – Gli studiosi spiegano bene la differenza tra caldo reale e caldo percepito. Il caldo reale è quello indicato dal termometro, il caldo percepito è quello che avverti dopo avere letto sullo smartphone, o visto in tivù, un bollettino meteo. Sensazione di soffocamento, stati d’ansia e veri propri attacchi di panico, sudorazione che triplica in pochi istanti: sono gli effetti, molto apprezzati, che spingono gli utenti a preferire i siti meteo più terrificanti. Tra i più recenti “l’Ultimo Meteo”, che monitorizza il clima nelle principali città del mondo con una rete di web cam nei cimiteri, e il divertente “Meteo Crash”, con il conduttore che indossa il casco sotto una grandinata artificiale. Nella prossima stagione televisiva sono molti i talk-show che vogliono rimpiazzare i virologi, che hanno fatto il loro tempo, con i meteorologi. Molto richiesti il meteorologo negazionista, convinto che la volta celeste sia finta, come in Truman Show, e la meteorologa new age, che legge le previsioni del tempo sulla mano dei clienti.

Il concorso – Messi di fronte a una stessa grandinata, aspiranti conduttori meteo, richiesti di descriverla, hanno dato luogo a una appassionante sfida. Il primo ha detto che i cicchi erano grandi come limoni, il secondo come meloni, il terzo come angurie, il quarto come la cupola del Brunelleschi. Ha vinto il quinto, dicendo che i chicchi di grandine erano grandi come pianeti, e forse erano proprio pianeti di un’altra galassia che stavano collassando sulla Terra”.

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Sospendo momentaneamente il dibattito sulla cosiddetta lotta di classe per dare spazio a una lettera che è abbastanza in controtendenza rispetto a quello che spesso scrivo sul mondo digitale; e mi rivela pensieri ed esperienze che non mi appartengono. Viene da un mondo che non conosco. Anche a questo serve, o dovrebbe servire, Ok Boomer!: raccontarsi delle cose che non si sanno.

“Caro Michele,
da timorato lettore dell’Amaca e di Satira Preventiva, è un piacere leggerti sul Post. Trovo il coraggio di scriverti solo perché nel tuo ultimo articolo proprio non ce la faccio a leggere: la tecnologia è metafisica. Di formazione sono ingegnere dei materiali, sono cresciuto tra Alessandria e Torino ed emigrato a Milano per lavorare – caso vuole nel settore della comunicazione. Ho conosciuto il lavoro operaio come scaffalista dei supermercati, l’esperienza dell’impiegato fantozziano (all’ultimo piano, nell’ufficio del direttore, non c’era un acquario ma una farmacia d’epoca) e la flessibilità dialettica come consulente. Solo ora sperimento una vita congrua da tecnico specializzato, analizzo codici in Javascript per verificarne il corretto funzionamento sui server di compravendita pubblicitaria. A un boomer potrebbe sembrare un lavoro nuovo, uno di quelli complicati da smanettone informatico, ma ti assicuro che è un lavoro già vecchio, complicato solo per noi italiani e per quelli come noi tanto orgogliosi del proprio patrimonio umanistico da essere rimasti fermi a contemplarlo e vivere di rendita, mentre altri si sono arricchiti creando nuovi strumenti (armi) per il genere umano […]
Tanto lavoro terziario di noi italiani non è alienante e malinconico perché immateriale, è alienante e deprimente perché obsoleto. Nella mia esperienza fantozziana passavo giornate a copiare e incollare tabelle tra i fogli di calcolo, fino a quando ho scoperto codici (script) per automatizzare il processo, che nessuno si era mai sforzato di imparare. Conosco tanti ragazzi ridotti a fare lo stesso mestiere: spostare dati da un foglio all’altro, ammaliati dal circo mediatico, in attesa di un’occasione di fuga o trattenuti dalle radici famigliari. Consapevoli dei problemi dell’energia, dell’ambiente, dell’invecchiamento demografico; desiderosi di risolvere dei problemi concreti, incapaci di trovare soluzioni. Evito di addentrarmi in esempi tratti dalla burocrazia e dal suo indotto, ma credo che lo Stato abbia fatto della burocrazia un feticcio proprio per la sua capacità di generare lavoro superfluo […]
Il progresso della tecnologia è inevitabile, bisogna imparare a leggerne e scriverne gli algoritmi o venirne trascinati. Non è metafisica, è concreta quanto ciascun pixel che si illumina su questo schermo, dopo essere stato modulato e rimodulato da numero a impulso di luce, attraversando oceani, sospinto dal potenziale elettromagnetico generato dal movimento di una turbina, avvolta in spire di rame, sotto la forza dell’acqua trascinata dalla gravità. È un viaggio straordinario che dovremmo cercare di immaginare più spesso, così come Primo Levi immaginava il viaggio di un atomo di carbonio. Con affetto, dalla mia scrivania, nella casa di mia moglie nella campagna del Monferrato – dove sono tornato grazie al mio spirito critico, alla tecnologia moderna e alle imprese lungimiranti”.
Simone Panati

Caro Simone, in breve e anzi in brevissimo: che il mondo digitale abbia evidenti ricadute materiali – anzi, sia esso stesso materia – è una cosa che capisco perfino io. Il mio timore è che per qualcuno sia un mondo “sostitutivo”, che ruba spazio all’esperienza fisica e alle relazioni umane; e per qualcuno altro (gli happy few) uno strumento di controllo, di dominio e di profitto. Mi piace molto quello che ha detto, in proposito, Paolo Giordano: quello che ci serve è “cultura scientifica in una cornice umanistica”. Bill Gates, alla domanda di Fabio Fazio “in futuro ci serviranno più gli ingegneri o i filosofi?” rispose, sgranando gli occhi: “Filosofi?”. Era sbalordito dalla parola e anche dalla domanda. Tu che sei ingegnere l’avrai invece capita bene.